Tanti appassionati di numismatica medievale italiana hanno sentito nominare il castruccino di Lucca, moneta piccola del XIV secolo, ma non altrettanti ne conoscono l’intrigante storia. Castruccio degli Antelminelli, detto “Castracani”, fu un condottiero ghibellino precursore della potenza signorile che verrà affermandosi nella seconda metà del XIV secolo prendendo prepotentemente il posto delle repubbliche e dei liberi comuni.

Castruccio nacque il 29 marzo 1281 a Lucca, dove visse fino al 1300, quando fu cacciato dai “neri” di quella città. Esiliato si rifugiò prima a Pisa, e poi in Inghilterra, dove accrebbe la sua fama alla corte di Edoardo I per le sue capacità militari. Successivamente fuggì in Francia, dopo aver commesso un assassinio d’onore, assumendo il ruolo di condottiero di cavalleria per Filippo il Bello. Rientrato in Italia al seguito di Arrigo VII, nel 1314 si unisce all’esercito ghibellino di Uguccione della Faggiola, capo dei ghibellini toscani e signore di Pisa ed Arezzo, nell’assedio di Lucca, allora guelfa, vendicando i suoi trascorsi.

Castruccio Castracani in una medaglia ottocentesca di Giuseppe Girometti (Ae, mm 54,00, g -)

Si distingue, nel 1315 sul campo della battaglia di Montecatini, dove diviene il vero artefice della prima grande disfatta fiorentina; nello scontro si fronteggiarono gli eserciti ghibellini di Lucca e Pisa da una parte contro quelli guelfi di Firenze, Siena, Prato, Pistoia, San Gimignano, Volterra e le truppe angioine dall’altra. La schiacciante superiorità numerica non fu sufficiente ad arrestare la forza di Uguccione e Castruccio, i quali potevano contare su 1800 cavalieri mercenari tedeschi animati dall’argento e dall’odio profondo che nutrivano per guelfi e angioini. Il terreno paludoso non lasciò via di fuga ai soldati guelfi, causando lutti e riscatti presso la quasi totalità delle famiglie nobili gigliate.

La fama che aveva raggiunto allarmò presto Uguccione, il quale, temendo per la sua posizione, fece imprigionare Castruccio con sentenza di morte. In quei giorni, una rivolta del popolo contro la tirannia di Uguccione lo depose e Castruccio venne liberato; da lui i lucchesi vollero essere governati nel 1316, così, dopo un breve riassetto della sua signoria, si preparò, nel 1320, a riprendere l’azione contro Firenze. Nel 1324, Ludovico il Bavaro confermò la nomina a vicario imperiale per Lucca, Lunigiana e Val di Nievole.

Se mai ci fu un anno che Castruccio poté definire memorabile, quello fu sicuramente il 1325: annus horribilis per la Repubblica Fiorentina in cui, a distanza di dieci anni dallo scontro di Montecatini, Gli uomini di Lucca e quelli di Firenze, comandati dallo spagnolo Ramon de Cardona, si trovarono nuovamente a poca distanza dal luogo della disfatta. Il casus belli fu la conquista ghibellina di Pistoia; l’esercito gigliato contava oltre 15.000 fanti e 2500 cavalieri.

Altopascio, paese fortificato poco lontano da Lucca: ecco il teatro della grande vittoria di Castruccio Castracani del 1325 

Mentre l’Antelminelli attendeva impaziente i rinforzi sulla collina di Montecarlo, i guelfi assediarono Altopascio che, dopo ben 26 giorni, cedette dando riparo alle forze fiorentine, le quali, tuttavia, sfiancate dalle risse e dall’insalubrità dei luoghi arrivarono stremate sul campo di battaglia, il 25 settembre, quando furono sconfitti appena dopo la prima carica di cavalleria. Le paludi furono ancora una volta motivo di disfatta per i guelfi, i cui fanti furono travolti dagli stessi cavalieri in fuga; molti furono i morti e oltre cinquecento i prigionieri, tra cui il condottiero Ramon de Cadorna.

Presto Castruccio, nominato da Ludovico IV duca di Lucca, insieme ad Altopascio, poté conquistare molti castelli della zona sino a raggiungere Signa, il 29 settembre, dove l’esercito fiorentino aveva tagliato il ponte sull’Arno, abbandonando quel castello ed i suoi abitanti all’esercito nemico. Il 2 ottobre l’esercito lucchese si impossessava di Pretola. La città di Firenze si trovava impotente, priva di un esercito; i cittadini, terrorizzati, si nascondevano dietro le mura mentre colonne di fumo si ergevano dalle case del contado saccheggiate. L’esercito lucchese, tuttavia, non era in grado di assediare la città, tra le più grandi del mondo conosciuto, forte di quasi 100.000 abitanti, volle comunque dileggiare i popolani e dimostrare la propria superiorità.

Così si fece correre un palio dei cavalli, uno di uomini a piedi ed un terzo con le prostitute al seguito dell’esercito. Nella notte i razziatori affissero un proclama sulla Porta al Prato nel quale dichiaravano la possibilità di assediare la città in qualsiasi momento. In questa stessa occasione, Castruccio batté anche moneta volendo palesare la propria autorità.

Chiamato a Roma dall’imperatore, che lo voleva presente alla sua incoronazione, Castruccio lasciò il campo fiorentino. L’11 novembre 1325, giorno di san Martino il condottiero di Lucca tornò in patria con il titolo di grande vicario imperiale per l’Italia, accolto dalla città festante che esibiva i resti e le arme capovolte della campagna fiorentina.

L’odio verso Firenze non cessò mai, tanto che, pochi anni più tardi, si elaborò un piano, mai realizzato, che prevedeva l’alluvione di Firenze attraverso la chiusura dell’Arno presso Lastra a Signa. Il 3 settembre 1328 Lucca piangeva la scomparsa dell’ultimo importante caposaldo del ghibellinismo medievale nella celebrazione dei funerali solenni.

Dipinto raffigurante l’imperatore Ottone IV con i simboli del potere

 Nel 1860, Domenico Massagli, nella sua Storia della zecca e delle monete lucchesi, descrive per la prima volta un castruccino di Lucca, attribuendolo correttamente al condottiero e riconoscendone il corretto valore di 1/12 di grosso. La moneta presenta, in luogo del tipico volto santo, l’immagine dell’imperatore Ottone fregiato di tutti i segni imperiali: lo scettro, la corona ed il globo crucifero.

Questa scelta iconografica, singolare nel suo genere, ha motivazioni politiche, testimoniando la sottomissione della città all’imperatore, pur non ricorrendo all’effige di Ludovico, ma a quella del suo predecessore al quale la moneta lucchese era legata, rafforzandone l’immagine e la simbologia . La dizione INPERIALIS, inoltre, chiaramente riferita alla città, il cui nome campeggia all’interno del cerchio perlinato, doveva palesare l’ideologia ghibellina e ribadire la sottomissione al potere temporale dell’imperatore.

Il castruccino di Lucca fu inizialmente battuto “in campo”, di fronte alla città nemica, poi le coniazioni continuarono nell’officina monetaria lucchese

Come Massagli ci fa notare, colpisce l’assenza del nome di Castruccio, il quale, nel suo ruolo di signore della città avrebbe facilmente potuto apporlo alla propria moneta; è facile immaginare che questa assenza deve essere stata determinata dalla mancanza di volontà piuttosto che all’impotenza. Massagli ci informa anche della presenza di alcuni falsi del Settecento recanti il nome di Castruccio, realizzati dal falsario fiorentino Faber (che probabilmente altri non fu che Giovanni Zanobino Weber).

Il commercio della lana e della seta di cui i lucchesi erano importanti attori dovette senz’altro contribuire alla diffusione del castruccino di Lucca che nel 1330 troviamo documentato nella vendita di un terreno a Barga: “[…] pro pretio librarum quadraginta et quinque Denariorum Lucensium Castruccinorum ad rationem […]” (l’atto, riportato in Massagli 1860, p. 67, è riscontrabile nell’Archivio di stato di Lucca, Atti di Ser Lorenzo di Ser Buonaccorso da Barga fino al 1414, f. 47 e sgg.).

Lorenzo Bellesia identifica due tipologie relative al castruccino di Lucca di cui una è caratterizzata dalle ridotte dimensioni della testa del sovrano, dalla maggiore accuratezza e dalla profondità dei rilievi; le indichiamo di seguito eliminando le varianti di punteggiatura insignificanti ai fini di questo articolo.

Castruccino di Lucca | Variante 1

Denaro picciolo, detto castruccino. D/ OTTO . REX, Ottone IV di fronte a mezza figura coronato tiene uno scettro nella destra ed un globo grucigero nella sinistra; R/ + INPERIALIS,  lettere . L U C A disposte in croce attorno ad un globetto. Mistura, mm 14-15, g 0,56-0,62. Bibliografia: Mir 130; Bellesia 2007 1/A; Massagli 1870 4; Cni 1-5.

Castruccino di Lucca | Variante 2

Denaro picciolo, detto Castruccino. D/ OTTO . REX, Ottone IV di fronte a mezza figura coronato tiene uno scettro nella destra ed un globo grucigero nella sinistra; R/ + INPERIALIS, lettere . L U C A disposte in croce attorno ad un globetto. Mistura, mm 14-15, g 0,48-0,62. Bibliografia: Mir 130; Bellesia 2007 1/B; Massagli 1870 3; Cni 1-5.

Giovanni Villani, cronista d’eccellenza del medioevo toscano, scrive che Castruccio “venne a Lecore nel contado fiorentino e pose il suo campo sui colli di Signa, e più a dispetto de’Fiorentini fece battere moneta picciola in Signa, con l’impronta dello ‘mperadore Otto, e chiamarsi castruccini” (cap. CCCXXII, Come Castruccio venne a oste a Prato).

Il motivo per cui Castruccio decise di coniare questa moneta è palese: irridere la città attaccata svolgendo una azione di sacra spettanza dell’autorità sovrana. Tali coniazioni, dette “per dispetto” o “vituperose”, si ritrovano in diverse altre occasioni, soprattutto in Toscana, alcune certamente avvenute e diverse narrate dallo stesso cronista: ne sono esempi la coniazione di Riglione, quella di Lucca del 1264 ad opera dei pisani, il caso di Genova del 1299, ma anche quello di Arezzo ad opera dei perugini o quello di Rifredi.

Quasi duecento anni dopo, Niccolò Machiavelli, nel descrivere la vita del Castracani, scrive: “Non contento di questo, occupò Prato e tutte le castella del piano, così di là come di qua d’Arno; e si pose con le genti nel piano di Peretola, propinquo a Firenze a dua miglia; dove stette molti giorni a dividere la preda e a fare festa della vittoria avuta, faccendo in dispregio de’ Fiorentini battere monete, correre palii a cavagli, a uomini e a meretrici”.

Fiorino coniato “per dispetto” dai fiorentini nel 1256 a San Jacopo al Serchio: si riconosce dal piccolo trifoglio ai piedi del Battista

In questi episodi, l’azione della battitura di moneta, simbolo dell’autonomia cittadina e della protezione del santo patrono, diviene metodo di abbattimento morale di un popolo assediato, che può, assieme ad altre azioni, facilitare l’espugnazione della città, oppure, come in questo caso, sbeffeggiare l’avversario trovandosi nell’impossibilità di sconfiggerlo sul campo. Almeno in questo caso, non sussiste alcun motivo di dubitare sull’affidabilità della cronaca trecentesca quando, anzi, c’è da sorprendersi che un fiorentino possa aver descritto un simile episodio di irrisione della propria città.

Un’ultima puntualizzazione necessaria concerne, per finire, la durata delle emissioni: se, infatti, è estremamente probabile che il castruccino di Lucca sia stato battuto in occasione dell’assedio di Firenze, è altrettanto ovvio che debba averla ripetuta in seguito in patria; questo dato si evince chiaramente dal numero elevato di esemplari oggi noti, oltre che dalle molteplici citazioni nelle fonti dell’epoca.

Tale attività posteriore, che può essere riferibile anche ad altre coniazioni per dispetto coeve, come quella di San Jacopo al Serchio, continuava ad avere una matrice di propaganda: continuare a coniare una moneta battuta per la prima volta in un assedio diffamante per il nemico significava mantenerne viva la memoria ed il disonore.