di Roberto Ganganelli | Mi fa piacere riproporre, a distanza di cinque anni, questo breve contributo sulle testimonianze medaglistiche legate alla figura del Milite Ignoto, simbolo di tutti gli anonimi o dispersi caduti italiani della Grande guerra. Grato al Circolo Culturale Numismatico Roveretano che, per primo, volle dare spazio a queste riflessioni tra storia e collezionismo, arte e ricordo, nel suoi “numero unico” edito in occasione della mostra di filatelia, numismatica e cartofilia del 2014.
“Finalmente!”: una sola parola, liberatoria quanto attesa, accompagna una bella cartolina (fig. 1) firmata dall’artista Leopoldo Metlicovitz (1868-1944) in cui l’Italia coronata, spada al braccio, accoglie due giovani donne – personificazioni delle “terre redente” – che si ricongiungono alla Madrepatria alla fine della I Guerra Mondiale.
Dal 24 maggio 1915 al 4 novembre 1918 l’Italia, che ha circa 35,6 milioni di abitanti, conta quasi 1.240.000 vittime, delle quali 651.000 militari e il resto civili, in gran parte decimate – queste ultime – dalla malnutrizione e dall’influenza spagnola. Tra quanti vestono il grigioverde e le stellette, a decine di migliaia rimangono anonimi, i resti sepolti in luoghi sconosciuti o di fortuna, le generalità impossibili da censire con esattezza. Altrettante famiglie, così, si trovano senza neppure la consolazione d’una tomba sulla quale piangere i propri cari.
E’ partendo da questo comune dolore che, al termine del conflitto, il colonnello Giulio Douhet propone di onorare l’eroismo e il sacrificio di tutti i militari d’Italia con la deposizione della salma di un soldato sconosciuto in un luogo simbolo della Patria. Si decide così che le esumazioni dei soldati ignoti vengano effettuate nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia e undici salme vengono prelevate dalle sepolture di Castel Dante a Rovereto, dal Pasubio (al cimitero realizzato dai fanti della Brigata “Liguria”), dal Monte Ortigara (Altopiano di Asiago), dal Grappa e quindi da Montello, Cortina d’Ampezzo, dal Basso Piave e dal Monte Rombon, dal San Michele, da Castagnevizza del Carso e, infine, tra Castegnevizza e il mare.
Raccolti a Gorizia, i corpi vengono trasportati nella Basilica di Aquileia e qui, per scegliere la salma da trasportare a Roma, viene designata Maria Bergamas (fig. 2) il cui figlio, Antonio, aveva disertato dall’esercito austriaco per combattere nelle file italiane ed era caduto in combattimento sul Monte Cimone senza che il corpo potesse essere identificato.
La “Mamma d’Italia” – così sarà da allora chiamata la Bergamas – si sofferma sulla seconda bara e, incapace per la commozione di andare oltre, depone il suo velo nero segno della scelta. Così il 29 ottobre 1921, alle ore 8 di mattina, il treno con la salma del Milite Ignoto parte da Aquileia, per arrivare dopo innumerevoli soste tra due ali di folla quasi ininterrotte lungo il percorso, alla stazione di Roma Termini alle 9 di mattina del 2 novembre.
Nella capitale il feretro è accolto dal re Vittorio Emanuele III, dalle rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti, e dalle le bandiere di tutti i reggimenti in segno di onore. Un gruppo di decorati di medaglia d’oro accompagna il corpo nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri e la salma viene infine collocata nell’Altare della Patria (fig. 3) il 4 novembre, terzo anniversario della Vittoria. In seguito, negli Anni ’30 il feretro del Milite Ignoto sarà traslato all’interno del Vittoriano dove tuttora si trova e parti della cripta e del sepolcro vengono realizzate con pietre provenienti dal Grappa, dal Carso e da altre montagne teatro degli scontri della Grande Guerra.
Enorme è l’ondata di emozione suscitata in tutt’Italia dal viaggio e dalla tumulazione del Milite Ignoto che viene insignito da Vittorio Emanuele III, motu proprio, della Medaglia d’oro al Valor militare. Quel fante senza nome, infatti, incarna non solo le vittime militari ma anche le cicatrici dei feriti e degli invalidi, il dolore delle vedove e lo smarrimento degli orfani, il sacrificio di un popolo intero a completamento della propria unità di Nazione. Per ricordare lo storico evento vengono composte poesie, stampati libri e cartoline celebrative e, naturalmente, vengono coniate anche alcune medaglie e placchette opera di importanti artisti; ad alcune di esse, al loro significato nell’Italia di un secolo or sono e al profondo potere suggestivo che conservano tuttora sono dedicate queste pagine.
In vista delle solenni cerimonie del 1921 viene costituito a Roma il Comitato Esecutivo per le Onoranze al Soldato Ignoto che decreta di far produrre su modelli di Aurelio Mistruzzi (1880-1960), presso le rinnovate officine Regia Zecca di Roma, una grande medaglia in bronzo di mm 70 di diametro (fig. 4) sul cui D/ una Vittoria alata sorregge, sullo sfondo delle cime alpine, il corpo di un caduto in battaglia che, nella destra, stringe un gladio. In circolo APOTHEOSIS | IV NOV . MCMXXI. Al R/, lungo il bordo corre l’iscrizione COMITATO PER LE ONORANZE AL SOLDATO IGNOTO. Destinata agli alti gradi delle Forze Armate, la medaglia di modulo maggiore viene prodotta in grande serie anche con anello di sospensione e diametro di mm 31.
Lo Stabilimento Johnson di Milano, invece, commissiona al grande scultore Ludovico Pogliaghi (1857-1950), su conii incisi da Enrico Faré (notizie 1898-1930), una medaglia per la tumulazione avente mm 60 di diametro (fig. 5), in bronzo, al cui D/ è raffigurata l’Italia turrita in piedi, verso sinistra, con Vittoriola nella mano sinistra mente, con la destra, depone un ramo d’alloro sulla salma del Milite Ignoto adagiata su una barella; nel campo IGNOTO | MILITI, in esergo IV NOVEMBRE | MCMXXI. In piccolo, in basso a destra, L. POGLIAGHI MOD. | E FARE’ INC. Al R/, l’Altare della Patria con, in esergo, la legenda ELETTA VNA MADRE FRA I MILLE | LA MADRE ROMA L’ACCOGLIE | DALL’ARA DELL’ITALICA FEDE | VIGILA IL FANTE IGNOTO | G. BERTACCHI (1869-1942, autore dei versi); in piccolo S. JOHNSON.
Di vivo gusto Liberty, solenne nel dritto quanto raffinata nei dettagli architettonici del rovescio, la medaglia viene riprodotta – in argento e bronzo – anche con diametro ridotto a mm 28 (fig. 6) dotata di cambretta o anello di sospensione e legende modificate: al D/ IGNOTO | MILITI, monogramma dell’autore LP e sigla di zecca SJ con le date 1915-1918 in esergo; al R/ la data della tumulazione, IV NOVEMBRE | MCMXXI. Il nastro è tricolore.
In questo formato la medaglia verrà riconiata, in seguito, anche dal movimento fascista – una tra le tante “decorazioni” non ufficiali che arditi, ex combattenti e squadristi usano appuntarsi al petto – con D/ identico e R/ occupato da un fascio littorio circondato dal motto GIOVINEZZA | GIOVINEZZA…; in basso a sinistra, lungo il bordo, JOHNSON in caratteri piccoli. In mancanza di fonti certe, se ne può ipotizzare l’uso come ricordo per la partecipazione alla traslazione del Milite Ignoto o alla cerimonia del 4 novembre 1921 a Roma, oppure a indicare l’appartenenza del “decorato” ad una famiglia di cui faceva parte un militare la cui sepoltura non era stata identificata. In questo caso il nastro è nero con tricolore al centro e, della variante in oggetto, sono noti anche rarissimi esemplari in oro, con ogni probabilità destinati a gerarchi e alti gradi del Partito Nazionale Fascista.
Un altro, interessante oggetto in metallo coniato prodotto nel 1921 è rappresentato da una spilla da bavero (fig. 7) a forma di gladio in metallo bianco (mm 30 x 12 circa), realizzata dalla ditta Lorioli & Castelli e destinata a rappresentare un ricordo “popolare” dello storico evento (sul fronte, IGNOTO MILITI). La stessa azienda conia poi, su modello di Egidio Boninsegna (1869-1958) una bellissima placca uniface in bronzo raffigurante la Vittoria alata che depone il corpo senza vita del Milite Ignoto sull’Altare della Patria. Ad accompagnarne le spoglie, in una composizione di grande effetto plastico, la vedova e i figli, in secondo piano alcune figure virili simboleggianti i commilitoni e il popolo italiano. In basso, ai lati di una targa sui cui è scritta la data IV . NOVEMBRE, due tripodi accesi, sulla destra la firma in corsivo dell’autore (E. BONINSEGNA).
Forse l’opera medaglistica più suggestiva legata alla figura del Milite Ignoto, la placca viene prodotta in due versioni, una piccola di circa cm 15 x 20 ed una grande che misura cm 30 x 40. In queste pagine (fig. 8) è illustrata un’inedita prova in bronzo argentato della versione piccola, proveniente dai fondi d’archivio della ditta Lorioli & Castelli, oggi in collezione privata. Presso gli stessi archivi si conserva anche una prova della versione più grande. Entrambe, nel 1921 vengono messe sul mercato a cura dell’Ufficio Tecnico di Propaganda Nazionale di Milano ed il ricavato viene destinato all’assistenza agli orfani di guerra.
Il modellato del Boninsegna (fig. 9) si caratterizza per uno stile classico e solenne, e la composizione per una spiccata diagonale ascendente che, partendo in basso a destra percorre – simbolico anelito di solidarietà e di umana compassione – il gruppo centrale di figure per elevarsi, infine, verso l’angolo superiore sinistro.
Il marcato rilievo delle figure della vedova e degli orfani, inoltre, sembrano quasi sottolineare come dal sacrificio dell’ignoto eroe abbia origine la prosecuzione stessa della vita, affidata a coloro che rimangono in una visione delicata e spirituale, e solenne al tempo stesso, che non indulge né alla retorica patriottica né ad un nazionalismo fine a se stesso (non a caso le figure virili, come lo stesso Vittoriano, appaiono sfumate sullo sfondo, appena accennate nei rilievi, quasi scenario inessenziale all’espressione del pathos della scena centrale).
Si è accennato, nelle pagine precedenti, alla Medaglia d’Oro concessa al Milite Ignoto in nome di tutti gli anonimi caduti italiani della Grande Guerra e la cui motivazione recita: “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria. Motu Proprio Sovrano, 24 maggio 1915 – 4 novembre 1918”.
Firmate dal capo di Stato Maggiore generale Armando Diaz, anche queste parole trovano spazio e ricordo in una medaglietta popolare, una piccola coniazione ricordo prodotta dalla ditta L. Fassino di Torino e raffigurante al D/ la dea Roma, elmata e con Vittoriola e lancia, così come è scolpita al centro della facciata dell’Altare della Patria.
Lo stesso, marziale soggetto viene riproposto anche sotto forma di placchetta uniface in bronzo, in dimensioni maggiori e su base in legno.
Queste, come altre coniazioni celebrative prodotte in Italia nel 1921 ci ricordano un tempo che appare lontanissimo eppure, al pari di medaglie e placchette ben più antiche e celebrate, documentano e raccontano la Storia, il gusto artistico di un’epoca, il modo di comunicare un sentimento popolare e ricordare un evento che rappresentò la più grande espressione di dolore collettivo della Nazione italiana dopo gli anni terribili del conflitto e quelli, altrettanto dolorosi, dell’immediato dopoguerra.
Medaglie che raccontano di un uomo rimasto senza nome né volto e, proprio per questo, rendono omaggio ad un’Umanità intera che, tra il 1914 e il 1918, perse definitivamente la propria innocenza.