Realizzati nel XVI secolo, i “sesterzi” di Giovanni Cavino sono ambiti dai collezionisti al pari degli originali
di Robero Salati | Giovanni da Cavino, contemporaneo di Benvenuto Cellini, nacque a Padova nel 1500 ed ivi morì nel 1570. Fu orafo, medaglista ed incisore di gemme. Nonostante la sua indubbia perizia in queste arti, Cavino è noto per le sue perfette imitazioni di antiche monete romane, note come “padovanini”.
Brevi notizie biografiche su Giovanni Cavino
Le notizie biografiche pervenuteci sul suo conto sono piuttosto scarne. Il padre Bartolomeo era incisore e da lui appresero l’arte i figli Giovanni e Battista. Dei due, Giovanni prevalse per abilità tecnica e ricchezza inventiva.
La sua fama ben presto varcò la ristretta cerchia della città di Padova e la sua opera venne richiesta in diverse città, da principi e studiosi dell’epoca. Giovanni Cavino ebbe tre figli, Camillo, Vincenzo ed Antonio. Quest’ultimo fu l’unico a proseguire l’attività dopo la morte del padre, probabilmente continuando ad usare i coni da lui incisi.
L’imitazione dall’antico: moda, e non frode
L’imitazione di oggetti di arte antica fu tradizionale nel XVI secolo a Padova, sede di una delle più antiche università italiane. La frequentazione degli eruditi dell’epoca, in particolare di Alessandro Bassiano, autore di una biografia dei primi dodici cesari, permise a Cavino di partecipare della nascente passione per le antichità classiche. Più di centoventi coni originali incisi dal maestro padovano sono conservati alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Furono acquistati nel XVII secolo da una famiglia padovana e descritti da Claude du Molinet in uno studio del 1692.
E’ opportuno precisare che i “sesterzi” di Giovanni Cavino nacquero come imitazioni dell’antico e non come falsi. E’ contro la sua volontà che le sue opere si diffusero nel nascente mercato antiquario, spacciate per monete antiche. A causa della perfetta esecuzione e del grande valore artistico di queste imitazioni, i “sesterzi” di Giovanni Cavino entrarono nelle più prestigiose collezioni di antichità europee e furono considerati autentici da numerosi numismatici del passato (Barthélemy e Mionnet, ad esempio).
I “sesterzi” di Giovanni Cavino del XVI secolo
Prima di assimilare ad altri pacchiani falsi queste pregevoli riproduzioni, è opportuno collocarle nell’ambiente antiquario ed erudito della seconda metà del XVI secolo. Roma era stata appena “riscoperta”. Il fertile suolo dell’Italia restituiva con prodigalità marmi, bronzi, monete, viste per la prima volta come importanti tracce di un vetusto passato e non come materiale da reimpiego.
Il Cavino ebbe rapporti stretti con gli intellettuali della sua epoca, tra i quali divampava l’interesse per le cose antiche di Roma ed in particolare per le “medaglie” di cui si iniziava proprio in quel periodo uno studio scientifico e classificatorio. E’ bene precisare che l’identificazione dei personaggi rappresentati su monete cammei e marmi a quel tempo era tutt’altro che scontata.
Lo studio dei nummi antichi nel XVI secolo
Proprio nella seconda metà del XVI secolo vedeva la luce l’opera fondamentale di Fulvio Orsini Imagines virorum illustrium (1570, Roma) che affronta per la prima volta, confrontando monete, gemme intagliate e busti marmorei, la definizione sistematica del patrimonio figurativo antico.
Fu il dato desunto dai nummi che permise di trovare il bandolo della matassa, dato che le monete riportano il nome dell’imperatore nella legenda, e sicuramente i sesterzi ebbero un ruolo centrale nel riconoscimento dei volti, dato l’ampio modulo della moneta. Il trattato, per il rigoroso metodo scientifico e l’apparato illustrativo, valse all’Orsini il titolo di “padre dell’iconografia antica”.
Entro questa cerchia di persone giravano anche copie ben fatte, a scopo didattico, oggetti pregevoli da mostrare nel corso di discussioni, ma del quale il possessore aveva ben presente l’origine contemporanea. Tuttavia, se assolviamo il Cavino con i suoi intenti eruditi e speculativi, è fuori discussione che le fusioni successive prodotte a partire dai suoi originali sono falsi tout court, volti a frodare gli entusiasti neocollezionisti di anticaglie classiche, allora come ora privi di difese di fronte ad un falso ben fatto.
La produzione artistica del Padovanino
Possiamo distinguere nella produzione del maestro padovano tre tipi di monete: 1) monete classiche dalla tipologia completamente inventata, ma ispirata all’arte monetale antica; 2) varianti significative di monete realmente esistenti; 3) monete identiche agli originali, riprodotte con grande perizia e con uno stile molto simile a quello degli antichi incisori.
Queste monete sono stilisticamente omogenee e molto fedeli agli originali, prive di quelle stonature stilistiche tipiche delle riproduzione moderne. L’assoluta credibilità di questa produzione ne decretò il successo sul mercato antiquario.
Sulla base delle caratteristiche stilistiche le monete del Cavino sono ancora catalogabili in tre classi: 1) monete prodotte dal Cavino in persona; 2) produzioni della sua bottega, anche postume; 3) produzioni attribuibili ad altre botteghe padovane coeve.
Cavino e Svetonio: rivivono i dodici cesari
L’attività del Cavino si incentrò prevalentemente sul periodo storico coperto dal testo di Svetonio Vite di dodici Cesari. Nerone, Galba, Vitellio, Vespasiano, ebbero delle magnifiche riproduzioni di alto livello artistico. Cavino, per amore di completezza, arrivò a creare anche sesterzi di Othone e di Cesare, che pur non coniarono del tutto questa tipologia di moneta.
Alla sua bottega, forse successivamente alla sua morte, sono attribuiti “sesterzi” ottenuti per fusione dai primi, di qualità nettamente inferiore. Queste monete fuse non hanno ancora cessato di fare la loro comparsa nel mercato numismatico e nelle aste. Alla serie dei dodici Cesari, con certezza attribuiti alla mano del Cavino, fecero seguito riproduzioni di sesterzi e medaglioni del II e III secolo, anche in questo caso ad esemplari coniati di qualità artistica superiore si aggiungono monete fuse di qualità artistica modesta.
Il rapporto tra esemplari coniati e fusi è nettamente a favore di questi ultimi. E’ probabile che l’attività di produzione di sesterzi fusi sia continuata per un lungo periodo dopo la morte di Cavino, dato il largo favore che questi esemplari avevano raccolto.
Come riconoscere i “sesterzi” di Giovanni Cavino?
I “sesterzi” di Cavino si presentano con il tipico color giallo/nocciola dell’oricalco. Data la difficoltà ad ottenere lo zinco nel XVI secolo (la sua riscoperta era nell’aria ma ancora non era disponibile per la metallurgia di allora) è probabile che i tondelli siano stati ottenuti fondendo monete romane antiche oppure arricchendo la lega di stagno e piombo in alternativa allo zinco. Una analisi metallografica su questi esemplari produrrebbe sicuramente risultati interessanti.
La maggior parte degli originali di Cavino sono di un colore nocciola chiaro (un colore molto simile alla tanto decantata “patina Tevere”), compatibile con l’invecchiamento della moneta in medagliere. Alcuni esemplari invece presentano delle patine aggiunte per rendere più credibile l’antichità della moneta. Tuttavia non ci sono elementi per ritenere che queste patine artificiali siano coeve con la produzione della moneta, anzi, è più probabile che siano frutto di interventi successivi, conseguenti a mutamenti del gusto dei potenziali acquirenti. Talune patine sono dense e nerastre, tipiche del gusto del XIX secolo, altre sono verdastre, ottenute probabilmente con lacche organiche, resine o esposizione a vapori di ammoniaca.
Bisogna poi distinguere i sesterzi fusi da quelli coniati, ben più insidiosi. I falsi ottenuti per fusione sono identificabili per la presenza di rilievi molto attenuati e per le bolle d’aria rimaste intrappolate sulla superficie della moneta. Inoltre questi falsi fusi sono spesso riedizioni di scarsa qualità, facilmente riconoscibili.
I “sesterzi” coniati: individuarli è una sfida
I “sesterzi” coniati invece sono di tale livello artistico da richiedere maggiore esperienza e conoscenza dello specifico conio, tuttavia alcune osservazioni possono aiutare: a) i padovanini sono in genere troppo rotondi e regolari nel bordo; b) il tondello è troppo sottile; c) la perlinatura è in genere completa e ben in rilievo, cosa rara nei sesterzi antichi; d) le lettere sono basse e squadrate, soprattutto le N, la M è larga alla base e stretta in alto, la H e la D sono massicce e squadrate, la A e la V sono troppo esili e nette.
Gli originali coniati da Cavino (ma i coni furono usati ancora dopo la sua morte) sono piuttosto rari e possiedono un discreto valore commerciale, Essi costituiscono una interessante testimonianza dell’evolversi del gusto e dell’amore per la classicità nel Rinascimento.
La “galleria delle meraviglie”
I “sesterzi” di Giovanni Cavino che seguono appartengono alla collezione di medaglie cinquecentesche appartenuta allo stesso Padovanino e conservata presso le Raccolte artistiche del Comune di Milano.
Gli autori e Cronaca Numismatica ringraziano il dottor Rodolfo Martini, curatore del Gabinetto numismatico di Milano, per la disponibilità offerta e la possibilità di riproduzione delle immagini. Tutti i “sesterzi” di Giovanni Cavino qui illustrati misurano mm 35 circa di diametro.
Giulio Cesare, inv. 1241 del Medagliere di Milano, esemplare coniato. Si tratta di una invenzione probabilmente di bottega padovana.
Tiberio per il Divo Augusto, inv. 1268 esemplare fuso. Variante non esistente, nel sesterzio originale al posto del ritratto c’è la sigla S C.
Caligola, inv. 1318 esemplare fuso e ripatinato. La legenda a diritto è diversa dagli originali antichi (TRPIIIIP invece che TRPOT)
Caligola, inv. 1333, esemplare coniato.
Caligola, inv. 1346, esemplare fuso.
Claudio, inv. 1362 esemplare fuso e scurito.
Nerone, inv. 1386, esemplare fuso.
Nerone, inv. 1389, esemplare coniato e ripatinato ad arte.
Galba, inv. 1452 , esemplare fuso e dorato.
Galba, inv. 1429 esemplare fuso e ripatinato.
Galba, inv. 1442, esemplare fuso, attribuibile a bottega padovana.
Othone, inv. 1489 esemplare fuso, “Sesterzio” d’invenzione, dato che questo imperatore non coniò nominali in bronzo.
Vitellio, inv. 1513, esemplare coniato.
Vitellio, inv. 1518, esemplare fuso, patinato ad arte.
Vespasiano, inv. 1553, esemplare fuso e ripatinato, attribuito a bottega padovana.
Tito, inv. 1592, esemplare fuso.
Tito, inv. 1607, esemplare coniato.
Domiziano, inv. 1627, esemplare coniato e ripatinato.
Adriano, inv 1660, esemplare coniato, di bottega padovana.
Antinoo, inv 1695, “medaglione” coniato. Celebre riproduzione di un pregevole bronzo di Corinto coniato in pochissimi esemplari (Blum p. 36, A).
Faustina, inv. 1730, esemplare fuso, di bottega padovana.
Elio, inv. 1685, esemplare coniato, di bottega padovana.
Per saperne di più
- Du Molinet Claude, Le cabinet de la Biblioteque de Saint Genevieve , pp. 92-118, 1692.
- Gorini Giovanni, New studies on Giovanni Cavino in Studies in the history of art 21, 1987.
- Hoe Lawrence R., The Paduans: medals by Giovanni Cavino, 1883.
- Klawans Zander H., The Cavino dies in the Bibliotheque Nationale, 1991.
- Martini Rodolfo e Johnson Cesare, Bollettino di Numismatica. Monografia 4.II.2, 1987.
- Martini Rodolfo, Note per un “sesterzio” di Otho rinvenuto a Strozza (Bg) in Valle Imagna, in Medaglia 21, pp. 6-32, 1987.
- Pesant Roberto, Additional notes on Giovanni Cavino, Renaissance medallist, 1987.
- Reich Joseph, Imitations of ancient coins: remarks by Dr. Joseph Reich at a meeting of the Chicago Coin Club, 1950.