Alla scoperta di un passaggio storico epocale per l’Impero di Roma e il suo declino: i nummi di Teodorico ne sono lo specchio
di Francesco Billi | Riferisce il cronista Giordane che nel 476 d.C. “l’Impero occidentale del popolo romano” ebbe fine con la deposizione dell’ultimo augusto, il giovanissimo Romolo Augustolo, da parte del re barbarico Odoacre. Sul finire del secolo, tuttavia, l’imperatore d’Oriente Zenone nominò patrizio e adottò Teodorico, capo ostrogoto della dinastia Amala, incaricandolo di migrare in Italia con la sua gente, il suo esercito e i mercenari, per liberarla dal dominio dell’inviso Odoacre. Così, dopo una complicata campagna militare, Teodorico riuscì ad imporre il suo potere e a mantenerlo per oltre trent’anni, dal 493 al 526 d.C.
Con il titolo di re d’Italia (fig. 1) il sovrano ostrogoto governò formalmente per conto dell’imperatore d’Oriente, conservando una posizione alquanto ambigua, ma che gli permise di espandere la propria influenza nelle antiche province imperiali e coltivare il progetto politico della Grande Gothia, cioè un rinnovato regno d’occidente riunito sotto la propria autorità, nel quale le genti di lingua latina e quelle di origine germanica potessero coesistere pacificamente, pur senza amalgamarsi.
Fig. 1 | Il ritratto di Teodorico sul medaglione aureo di Senigallia coniato nel primo quarto del VI d.C.: ad oggi è l’unica fonte certa raffigurante il volto del re ostrogoto
Il graduale deteriorarsi dei rapporti con i successori di Zenone, deceduto già nel 491 d.C., non impedì a Teodorico di organizzare il suo stato attraverso il restauro di monumenti e infrastrutture nelle principali città, l’attenzione alla capitale imperiale di Ravenna, l’attività di corte, il coinvolgimento di illustri intellettuali provenienti dai ranghi dell’aristocrazia romana e, ovviamente, la predisposizione di un accurato sistema monetale.
La monetazione teodoriciana
La monetazione teodoriciana è ancora oggi argomento di dibattiti e ricerche, a cominciare dalle zecche coinvolte che, verosimilmente, dovettero essere almeno tre: Mediolanum, Roma e Ravenna. I nominali ordinari in oro (solidus, semissis e tremissis) e in argento (mezza siliqua e un quarto di siliqua) replicavano dal punto di vista sia tecnico, che iconografico, quelli bizantini prodotti a Costantinopoli (figg. 2-3).
Figg. 2-3 | A sinistra Teodorico, solido aureo a nome di Anastasio I, Roma, 493-518 d.C., BMC 61; D/ Busto di Anastasio I di prospetto, elmato, diademato e corrazzato; R/ Vittoria stante a sinistra che regge una lunga croce gemmata. D destra Anastasio I, solido aureo bizantino, Costantinopoli, 491-518 d.C., MIBE 4a; D/ Busto di Anastasio I di prospetto, elmato, diademato e corrazzato; R/ Vittoria stante a sinistra che regge una lunga croce gemmata
I ritratti monetali, dunque, raffigurarono gli imperatori d’Oriente Zenone, limitatamente ad alcune emissioni del 490 e 491 d.C., Anastasio I (491-518 d.C.) e Giustino I (518-526 d.C.): una scelta evidentemente dettata dalla prudenza politica per non incorrere in accuse di usurpazione dei diritti imperiali. L’unico accenno all’autorità ostrogota comparve nella legenda al dritto di alcuni solidi anteriori al 518 d.C. e al rovescio dei quarti di siliqua d’argento, tramite l’inserimento del monogramma teodoriciano (fig. 4).
Fig. 4 | Teodorico, quarto di siliqua d’argento a nome di Giustino I, Ravenna, 518-526 d.C., BMC 27; D/ Busto diademato e paludato di Giustino I; R/ Monogramma di Teodorico sormontato da croce entro corona d’alloro
Le emissioni di bronzo rivelano, invece, una maggior libertà d’iniziativa da parte del Re goto ed ebbero forse una maggior diffusione di quanto ancora si pensi. Il nominale bronzeo di riferimento era il nummus, coniato in multipli da 5, 10, 20 e 40 nummi di elevato valore fiduciario, per evitarne la tesaurizzazione sotto forma di risparmio.
Nonostante le ipotesi formulate da diversi studiosi, pare complicato stabilire una corrispondenza esatta fra il sistema monetale del bronzo ostrogoto e quello bizantino. Del resto, mentre le serie auree erano destinate prevalentemente al mercato internazionale e ai commerci con la stessa Costantinopoli, quelle ènee servivano esclusivamente alla circolazione locale.
L’esempio di Costantino il Grande
I nummi ostrogoti si prestano ad una interessante riflessione dal punto di vista delle scelte iconografiche. Infatti Teodorico sembra essersi ispirato alla propaganda monetale di Costantino il Grande, modello politico impareggiabile per qualsiasi regnante tardo antico, riproponendo, in particolare, la retorica celebrativa delle “capitali sorelle”.
Il precedente è quello delle emissioni parallele fatte coniare dal famoso Augusto, presso ogni zecca imperiale e in grandi quantità, dopo la fondazione di Costantinopoli, avvenuta nel 330 d.C. L’obiettivo di queste serie ènee era quello di celebrare la fratellanza delle due città ai vertici dello stato: Roma, capitale dell’Impero, e la stessa neonata Costantinopoli, capitale personale dell’Imperatore e della sua vittoria.
Figg. 5-6 | A sinistra Costantino, follis di bronzo, Antiochia, 330-335 d.C., RIC 91; D/ Busto elmato e trabeato di Roma; R/ Lupa romana che allatta i gemelli, due stelle sopra. A destra Costantino, follis di bronzo, Nicomedia, 330-333 d.C., RIC 196; D/ Busto elmato e drappeggiato di Costantinopoli; R/ Personificazione o tyche della città come Vittoria con scudo, scettro e un piede sulla prua di nave
Nel primo caso (fig. 5) vennero raffigurate Roma elmata al dritto e, al rovescio, la lupa con i gemelli Romolo e Remo, inequivocabile omaggio alle origini della romanità. L’emissione parallela (fig. 6) mostrava analogamente Costantinopoli elmata al dritto e, al rovescio, la personificazione, o tyche, della città, rappresentata da una vittoria alata con scettro, scudo e piede appoggiato sopra la prua di una nave. Per la capitale d’Oriente l’identificazione con la Vittoria era naturale, poiché venne fondata proprio per esaltare il trionfo di Costantino il Grande che aveva riunito tutto l’Impero nelle mani della sua famiglia. La prua di vascello, inoltre, accennava alla fortunata e decisiva battaglia navale dell’Ellesponto (324 d.C.) o comunque evidenziava lo stretto rapporto della nuova fondazione con il mare, essendo stata scelta come sede della flotta imperiale al posto dell’italica Miseno, schieratasi a favore dello sconfitto Massenzio.
Due capitali per un Regno
Anche Teodorico, benché in uno scenario diversificato di tipi e di valori, si prodigò a celebrare sul bronzo monetato le sue due capitali, ovvero Roma, che per vestigia e influenza restava un imprescindibile riferimento politico e spirituale, e Ravenna, sede ufficiale della corte imperiale d’occidente. La città romagnola, vale la pena ricordarlo, era divenuta capitale occidentale per volere dell’Imperatore Onorio che, nel 402 d.C., si trasferì da Milano sentendosi minacciato dai Visigoti di Alarico: la posizione ravennate era meglio difendibile e garantiva l’accesso immediato alla flotta, assicurando un collegamento diretto con Costantinopoli dove all’epoca governava l’imperatore Arcadio, suo fratello associato al trono nell’ambito della dinastia valentiniano-teodosiana (fig. 7).
Fig. 7 | Onorio, solido aureo, Ravenna, 402-403 o 405-406 d.C., RIC 328/1287; D/ Busto di Onorio diademato, drappeggiato e corrazzato; R/ L’imperatore, con stendardo e globo, calpesta un prigioniero
La nuova condizione di Ravenna comportò fin dall’inizio del V secolo d.C. l’insediamento di una zecca imperiale, situata probabilmente fra le attuali vie Roma e Mariani, sotto il lungo porticato monumentale che doveva collegare l’area del Palazzo con la sede del Vescovo e l’antica Cattedrale Ursiana, sostituita dal Duomo nel XVIII secolo. Proprio a Ravenna venne ucciso Odoacre nel 493 d.C. e sempre lì Teodorico, acclamato Rex Italiae, ristrutturò la residenza imperiale prendendo come modello quella di Costantinopoli: all’interno della Basilica Palatina, consacrata come quella costantinopolitana a Nostro Signore Gesù Cristo, ma nota oggi col nome di Sant’Apollinare Nuovo, si possono ancora ammirare alcuni mosaici coevi e i sontuosi arredi in marmo greco importati direttamente dalla capitale d’Oriente (fig. 8).
Fig. 8 | A sinistra, Basilica di sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, ex Basilica palatina teodoriciana di Nostro Signore Gesù Cristo. A destra, mosaico di inizio VI secolo all’interno della Chiesa di sant’Apollinare Nuovo a Ravenna raffigurante il nuovo palazzo della capitale commissionato da Teodorico
I nummi dedicati a Roma
Tornando alla monetazione di Teodorico, le emissioni dedicate alla celebrazione di Roma, coniate dalla fine del V secolo d.C. nella stessa città e, forse, anche presso la zecca ravennate, riguardarono principalmente i multipli da 40, 20 e 5 nummi: valori indicati in numeri romani al rovescio, nel campo o in esergo. In queste serie il tipo di dritto appare piuttosto constante, con il busto femminile di Roma, elmato, drappeggiato, ornato da collana e orecchini, e abbinato alla legenda INVICTA ROMA.
Figg. 9-10 | A sinistra Teodorico, XX nummi di bronzo, Ravenna o Roma (?), inizi VI secolo d.C., BMC 33; D/ Busto elmato e drappeggiato di Roma con orecchini e collana; R/ Lupa che allatta i gemelli e cristogramma fra due stelle (questo tipo è copiato dal rovescio del follis costantiniano coniato nel 336 d.C. presso la zecca di Arelate, RIC VII, 400). A destra Teodorico, XL nummi di bronzo, Roma (quarta officina), 519 d.C. o primo quarto del VI secolo d.C., BMC 14; D/ Busto elmato e drappeggiato di Roma con orecchini e collana; R/ Aquila romana ad ali spiegate, rivolta a sinistra e con il capo all’indietro
L’iconografia scelta per il rovescio, invece, conta almeno tre varianti significative, compresa quella della lupa che allatta i gemelli, evocativa delle emissioni costantiniane, se non direttamente copiata (fig. 9). Una seconda tipologia di rovescio, presente nel nominale da venti nummi, mostra due aquile ai lati del ficus ruminalis, pianta sacra nei pressi del fiume Tevere anch’essa collegata al mito fondativo di Romolo e Remo.
Infine per i quaranta nummi, coniati all’inizio del VI secolo, fu scelta l’immagine dell’aquila romana verso sinistra, ad ali spiegate e con il capo rivolto all’indietro. Quest’ultima variante è stata collegata da alcuni studiosi alle celebrazioni svoltesi a Roma nel 519 d.C. per la nomina a console di Eutarico, marito di Amalasunta, figlia del Re ostrogoto (fig. 10).
I nummi dedicati a Ravenna
La celebrazione monetale di Ravenna, capitale ufficiale del regno, coinvolse invece i multipli da dieci e cinque nummi, coniati presumibilmente nella zecca locale durante il primo quarto di VI secolo d.C.
Come per le emissioni dedicate a Roma, il tipo di dritto appare costante e consiste nel busto femminile di Ravenna abbinato alla legenda FELIX RAVENNA: un’interessante novità nello scenario numismatico antico. Per la personificazione della città venne scelta una donna drappeggiata, ornata di collana e orecchini, ma soprattutto identificata dalla corona turrita, che la distingueva da Roma elmata (fig. 11).
Il ricorso a questo attributo è riconducibile alla complessa tradizione mediterranea orientale della tyche cittadina, che era insieme personificazione e divinità tutelare della città. Infatti la prima e la più conosciuta tyche dell’antichità fu quella di Antiochia, realizzata in bronzo da Eutychide, scultore allievo di Lisippo, nel 296 a.C. circa, in occasione della sua fondazione ellenistica.
Figg. 11-12 | A sinistra Teodorico, X nummi di bronzo, Ravenna, fine primo quarto del VI secolo d.C., variante del BMC 36 (Eugubium 9, 192); D/ Busto drappeggiato di Ravenna con corona turrita, orecchini e collana; R/ Monogramma della città, per Ra(venna) Fe(lix), entro corona d’alloro. A destra copia romana in marmo della Tyche di Antiochia dall’originale ellenistico in bronzo di III secolo a.C. attribuito allo scultore Eutychide, Musei Vaticani
Di questa opera è sopravvissuta una bella copia romana in marmo esposta presso i Musei Vaticani: l’elegante personaggio femminile, che indossa un lungo chitone, è seduto su una roccia (il monte Silpio) con le gambe accavallate, mentre un giovane, che simboleggia il fiume Oronte, nuota ai suoi piedi. La figura si distingue per il fascio di spighe che tiene in mano e, soprattutto, per la corona turrita (detta anche corona muraria) (fig. 12).
Tale modello iconografico ottenne un successo internazionale, diffondendosi progressivamente in tutto l’Impero Romano: del resto la città di Antiochia godette di grandi attenzioni fin dai tempi di Cesare, che la premiò per essersi schierata contro il suo rivale Pompeo, e una particolare considerazione da parte degli augusti si evince dai numerosi tipi monetali ispirati alla tyche antiochena (fig. 13).
Ancora riprodotta in statuette portafortuna nella Sicilia di IV-V secolo, l’elegante donna con la corona turrita finì per diventare il modello per eccellenza delle personificazioni di città, Costantinopoli compresa, o entità geografiche maggiori: un simbolo destinato a sopravvivere fino ai giorni nostri se consideriamo le tante rappresentazioni, anche numismatiche, dedicate all’Italia Turrita dal XIX secolo in poi (figg. 14-15).
Fig. 13 | Ottaviano Augusto, tetradramma d’argento, Antiochia, 27 a.C.-14 d.C., RPC 4152; D/ Testa laureata di Ottaviano Augusto; R/ Tyche della città di Antiochia seduta, con corona turrita, ramo di palma nelle mani e personificazione del fiume Oronte che nuota ai suoi piedi
Al rovescio di Ravenna, come per i nummi celebranti Roma, troviamo diverse soluzioni iconografiche. Sul decanummo vennero raffigurati l’aquila romana, fra due stelle e con le ali aperte, oppure semplicemente il monogramma ravennate RF (Ravenna Felix) all’interno di una corona d’alloro chiusa dal numero romano X.
Il conio di rovescio scelto per i cinque nummi rappresenta invece un caso particolare ed è caratterizzato dalla Vittoria marciante con corona e ramo di palma: questa emissione, secondo alcuni esperti, andrebbe collegata alla conquista della capitale e sarebbe da collocare negli anni immediatamente successivi al 493 d.C., mentre secondo altri studiosi la serie festeggerebbe la grande vittoria ottenuta nel 509 d.C. contro i Burgundi.
Figg. 14-15 | Monumento all’Unità d’Italia di Reggio Calabria con personificazione femminile della Nazione caratterizzata dalla corona turrita, opera dello scultore Rocco Larussa in marmo bianco di Carrara, 1868. A destra, dritto delle 100 lire italiane con testa dell’Italia turrita coniate dal 1993 al 2001
In conclusione
La politica di Teodorico conserva ancora molti misteri in attesa di essere risolti, ma rivela un’indiscutibile consapevolezza nell’organizzazione del sistema monetale e nelle scelte numismatiche. Rinnovando il repertorio iconografico dei nummi e interpretando i prestigiosi modelli di influenza costantinopolitana, il re ostrogoto, benché subordinato alla prevaricante autorità imperiale bizantina, tentò di ricavare significativi margini di iniziativa per promuovere la legittimità del proprio potere e perseguire il progetto della Grande Gothia.
Fig. 16 | Teodato, XL nummi di bronzo, Roma, 535 d.C. circa, MIB I 81; D/ Ritratto con baffi, corona e mantello del re ostrogoto; R/ Vittoria su prua di nave che regge una corona e un ramo di palma, tipo integralmente copiato dai medi bronzi romani di età flavia
Tuttavia alla sua morte, avvenuta nel 526 d.C., i rapporti con la corte di Costantinopoli erano ormai compromessi e ben poco poterono fare i suoi successori di fronte alla potenza del nuovo imperatore d’Oriente, Giustiniano I, determinato a ripristinare un Impero romano universale.
Nel 535 d.C. il volto di un re goto, Teodato (fig. 16), comparve sul circolante ordinario per la prima volta e solo sulle serie da 40 nummi: stava però per iniziare la lunga guerra greco gotica che nel 540 d.C. avrebbe portato il generale bizantino Belisario a riconquistare Ravenna. L’ambizioso sogno romano barbarico coltivato da Teodorico era destinato a non avverarsi mai.