INCIPIT | Era un personaggio particolare, Henry Dunant. Votato all’assistenzialismo dalla formazione familiare calvinista ed evangelica, l’imprenditore ed umanista svizzero era arrivato ai piedi del lago di Garda in quel giugno 1859 per incontrare Napoleone III e sottoporgli l’ambizioso scritto L’impero di Carlo Magno ristabilito, o il Sacro Romano Impero ricostituito, da Napoleone III.
Dopo averlo inseguito per qualche giorno, ormai cittadino francese da diversi mesi ed impegnato in una poco fortunata impresa in Algeria, Dunant aveva raggiunto l’Imperatore il 28 giugno a Cavriana, dove il comandante assoluto delle forze francesi dispiegate, al fianco di quelle del Regno di Sardegna, contro l’Austria aveva il suo quartier generale.
Henry Dunant (1828-1910), imprenditore e filantropo svizzero, dall’ecatombe di Solferino e San Martino trasse ispirazione per la creazione della Croce Rossa
Nel cuore del Lombardo-Veneto retto da appena pochi giorni, in vece dell’imperatore Francesco Giuseppe, dal vicere Heinrich von Hess, si stava combattendo la prima vittoriosa e decisiva guerra d’Unità per l’Italia. Sarebbe passata alla storia come Seconda guerra d’indipendenza e la storia che qui si racconta è quella della battaglia che ne decise, ineluttabilmente, le sorti lasciando sul campo migliaia di morti.
ALLEANZA | Stretti da tempo, anche per questioni linguistiche e territoriali, in un’alleanza di fatto, militarmente provata nella recente guerra di Crimea (1853-1856) l’Impero Francese e il Regno di Sardegna avevano definito un’effettiva vicinanza di interessi il 21 luglio del 1858 con l’accordo segreto di Plombières che, stipulato per i piemontesi dal potentissimo Camillo Benso di Cavour, gettava le basi per la guerra contro l’Austria.
L’accordo prevedeva reciproche concessioni in caso di successo contro il comune nemico ma su un punto non v’era e non vi sarebbe mai stata convergenza di vedute: Roma. Papalina era e papalina, secondo il cattolicissimo Napoleone III, avrebbe dovuto restare.
Camillo Benso conte di Cavour fu tra gli artefici del percorso risorgimentale italiano: qui lo vediamo su una medaglia del 1910, centenario della sua nascita
L’IMPERO ASBURGICO | Salito al trono nel dicembre 1848 dopo l’abdicazione dello zio Ferdinando I, Francesco Giuseppe aveva ereditato un Impero scosso dalle mille spinte secessioniste: dell’Ungheria, su tutti, ma anche dei popoli slavi meridionali (ed il conto sarebbe arrivato nell’estate 1914), dei boemi, dei polacchi e, chiaramente, delle popolazioni italiane del Lombardo Veneto.
Già nel 1848 i milanesi insorsero in un tentativo, la Prima guerra d’Indipendenza, che sarebbe rimasto tale dopo la decisiva sconfitta di Custoza che era costata la disfatta militare ed aveva portato all’abdicazione del re Carlo Alberto in favore del giovane figlio Vittorio Emanuele II. L’eroe in campo austriaco era stato in quell’occasione il maresciallo Radetzky, già particolarmente avanti con l’età.
L’IDEA DELL’ITALIA UNITA | Nel 1859 i tempi erano però cambiati. Il Regno di Sardegna nel 1859 era saldamente nelle mani di Cavour e del re che avevano trovato al proprio fianco i due repubblicani Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi: pur di visione profondamente opposta, i quattro indiscussi principali protagonisti del Risorgimento italiano si erano ritrovati nell’idea di Unità per l’Italia che avrebbero condotto sino al compimento.
Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Cavour e Mazzini: lo “strano quartetto” che di fatto diede vita al percorso di unificazione italiana culminato nel 1861
Studiata la forma migliore per provocare diplomaticamente l’Austria, la guerra – resasi inevitabile dopo il sostanziale rifiuto del Piemonte di disarmare – scoppiò formalmente il 27 aprile. Il Regno Savoia nei mesi precedenti aveva richiamato cinque classi in congedo e numerosi volontari da tutta la Penisola: la Francia, pur senza il sostegno della popolazione, si era mossa verso il Piemonte e dunque verso il confine col Lombardo-Veneto velocemente grazie alla fitta rete ferroviaria promossa dal Cavour.
Gli austriaci avevano reagito più lentamente ai preparativi dei nemici eppure le forze in campo erano quasi in equilibrio. Dopo le prime schermaglie in campo piemontese, il teatro degli scontri – ancora di entità limitata – si era spostato da Montebello a Palestro a Magenta col finale arretramento degli austriaci sul Ticino.
È GUERRA | Si stava preparando quello che sarebbe accaduto il 24 maggio. Quel mattino gli opposti schieramenti non conoscevano l’esatta collocazione del nemico: Napoleone III era a Cavriana, Vittorio Emanuele II più a nord ed ai piedi del Garda agivano i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Francesco Giuseppe (che nel non distante Tirolo meridionale, insieme all’imperatrice Elisabetta era spesso di casa), al comando di un esercito di oltre 130mila uomini era attestato a Valeggio, sul Mincio.
Al mattino di quel 24 giugno i due eserciti opposti si affrontarono lungo un fronte lungo oltre 20 chilometri, dalle sponde del Garda, da San Martino, a Solferino, a Medole, sino a Castel Goffredo. In campo si schierarono direttamente i 3 sovrani. La battaglia, lunga e particolarmente cruenta, mise a ferro e fuoco la linea di confine tra Lombardia e Veneto, lasciando sul campo migliaia di morti anche se sui numeri le fonti non trovano accordo.
L’assalto finale dei francesi a Solferino in un famoso dipinto di Carlo Bossoli del 1859
Quando anche il colle di San Martino cadde in mani piemontesi, l’esito dello scontro, combattuto corpo a corpo, con la cavalleria, i fucili e la baionette, i cannoni ed il fuoco, era segnato. Gli austriaci si ritirarono prima dietro il Mincio, che dal lago di Garda taglia in basso verso Mantova, e quindi dietro l’Isonzo temendo di essere inseguiti dal nemico: l’inazione dell’alleanza franco-piemontese convinse poi gli Asburgo a rinculare sulle posizioni del veronese.
L’armistizio di Villafranca dell’11 luglio 1859 porta al Regno di Sardegna, via Francia, la Lombardia. Il trattato di Torino del 24 marzo 1860 sancisce poi la cessione alla Francia da parte del Regno di Sardegna, di Nizza e della Savoia: il Regno ottiene però anche la Toscana (che era degli Asburgo Lorena) ed il Ducato di Modena.
La medaglia di Francesco Grazioli che, nella serie di otto celebrative del Risorgimento, ricorda le battaglie di Solferino e San Martino del 1859
ECATOMBE | La distesa di morti e feriti gravi avrebbe segnato tra Solferino e San Martino (poi “della Battaglia”) lo scontro più cruento dell’800 post napoleonico. Quando, raggiungendo Napolone III, Duvant passò per Castiglione delle Stiviere dove si curavano i feriti francesi, comprese l’inadeguatezza delle cure e dell’assistenza. Da lì avrebbe iniziato il percorso che nel 1863 lo avrebbe portato, insieme ad altri quattro fondatori, alla costituzione della Croce Rossa.
Il 15 giugno 1864 sarebbe poi nata quella Croce rossa Italiana per omaggiare la quale lo scorso 23 giugno 2024 il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella si è recato a Solferino incontrando delegazioni dall’Italia ma anche dall’Austria e da diversi altri Paesi.
I due ossari di Solferino e San Martino conservano i resti di migliaia di caduti
LA MEMORIA | Poche altre battaglie hanno lasciato, ad ormai 165 anni di distanza, tanto retaggio. Il 24 giugno 1870, ospitando 1274 teschi e le ossa di oltre 2600 piemontesi ed austriaci, è stato inaugurato – all’interno della Cappella Treccani – l’ossario di San Martino, nel comune di Desenzano (BS).
Nello stesso anno, ospitato nella chiesa di San Pietro in vincoli, viene inaugurato l’ossario di Solferino (MN): all’interno sono custoditi 1413 teschi e le ossa di 7000 caduti. Nel 1880 erano poi iniziati, sul colle di San Martino, i lavori per la realizzazione della torre monumentale dedicata a Vittorio Emanuele II (morto il 9 gennaio 1878) poi conclusi nel 1893 con la solenne inaugurazione: la torre, alta 74 metri, domina la piana a sud del Garda e comprende al suo interno affreschi e memorie che celebrano l’intera epopea risorgimentale. Al suoi piedi su trova anche il museo, coevo.
LA MEDAGLIA | Nel 1893 viene emessa, a cura della Società Solferino e San Martino, una celeberrima medaglia che celebra i tre luoghi della memoria della battaglia, la più nota legata ai fatti di guerra del 1859 e ai tanti caduti di quei giorni.
La famosa medaglia di Luigi Ciocchetti con al dritto la torre monumentale inaugurata nel 1893 in onore di Vittorio Emanuele II e i due ossari
Realizzata su bozzetto dell’artista Luigi Ciocchetti in metallo bianco, bronzo e argento, la “medaglia di Solferino” ha un diametro di poco inferiore al 60 millimetri ed un peso compreso tra 66 e 87 grammi, a seconda del metallo.
Su una faccia è rappresentata la torre di San Martino, sull’altra le facciate dei due ossari. Assieme a questa, altre coniazioni illustrate in questo articolo hanno fatto memoria di quella ecatombe di cui abbiano appena celebrato il 165° anniversario.