È andata all’asta da Heritage, parte della “stellare” Paramount Collection, una eccezionale moneta da dieci doppie coniata per Ferrante II nel 1610
a cura della redazione | Condottiero, uomo di fiducia di Carlo V d’Asburgo, Ferrante I Gonzaga (1507-1557) acquistò la Contea di Guastalla per 22.230 scudi d’oro nel 1539 dalla contessa Ludovica Torelli e sfruttò al meglio le ampie autonomie di cui il feudo di Guastalla godeva nell’ambito del Sacro Romano Impero, compreso il diritto di monetazione.
Suo nipote Ferrante II (1563-1630) fu invece il terzo conte di Guastalla dal 1575 al 1621 ottenendo l’elevazione del feudo a Ducato nel e regnandovi fino alla morte, avvenuta non prima di averci lasciato alcune monete belle e rare, fra le quali è di recente tornata alla ribalta quella che è considerata il capolavoro assoluto – per rarità e per bellezza – della monetazione gonzaghesca per il piccolo feudo.
Si tratta di un esemplare da dieci doppie in oro (CNI IX, 17) millesimato 1610, di estrema rarità e in condizioni praticamente fior di conio, al peso di 66,35 grammi e con diametro di quasi 45 millimetri. La moneta – ovviamente di ostentazione, e non certo destinata a circolare – è nota in un massimo di quattro esemplari e quello andato in asta il 25-27 marzo da Heritage Auctions, negli USA, è lo stesso illustrato dal Friedberg al n. 458 nel ben noto catalogo sulle monete in oro di tutto il mondo.
“La lucentezza pura dell’esemplare, unita a una precisione medaglistica dei dettagli – scrivono gli estensori del catalogo di vendita della Paramount Collection – cattura l’attrazione dell’occhio a un livello ulteriore rispetto a quanto usuale per la pur splendida conservazione. Una scintillante brillantezza aurea si diffonde con chiarezza dai campi, riflettendosi su superfici quasi intatte, tempestate da fini linee di lucidatura. Ogni dettaglio è nitido e chiaro, con il ritratto di Ferrante presentato in abito romano, proiettato audacemente verso chi osserva la moneta”.
Mentre, per quanto riguarda il rovescio delle dieci doppie, invece, si legge: “La scena dell’Annunciazione biblica è ancora più sorprendente nel suo impatto visivo e rivela un’espressione di emozione e chiarezza che invita a un’ammirazione prolungata, stimolata dalle qualità scintillanti degli spazi aperti circostanti, che sono inondati di luce calda e tonificati un attraente colore dorato simile a un intenso tramonto”.
Poesia, certo, perché una moneta del genere rappresenta un assoluto capolavoro d’arte incisoria e come tale, non solo per la sua rarità, ha visto susseguirsi sul tavolo del banditore ben 23 offerte che l’hanno portata al realizzo stellare di 384 mila dollari, diritti inclusi.
Un prezzo da capogiro, almeno per una moneta di zecca italiana, ma che non fa certo scalpore come i 41,94 milioni di dollari realizzati in tre giorni, a Dallas, dalla vendita Paramount Collection nel suo insieme.
E la riprova di come i grandi capolavori della numismatica italiana si confermino ai massimi livelli di attenzione da parte del mercato internazionale, passando per le più prestigiose collezioni del pianeta.
Una simbolica “rivincita numismatica” per Ferrante II, che perse il Ducato a causa del suo lontano cugino, Carlo III duca di Nevers, e morì nel corso dell’epidemia di peste di manzoniana memoria, in un lontano giorno dell’anno 1630.