Un approfondimento sulla genesi legislativa della lira italiana dopo la proclamazione del Regno: i nominali, le parità, iconografia e curiosità
di Giulio Gianelli | Questo studio propone un profilo della “genealogia” della lira italiana ed esaminerà le motivazioni economico-monetarie che ispirarono il suo atto di nascita, la Legge 24 agosto 1862, n. 788, sulla scorta dell’inedito progetto Unificazione delle monete, ad essa propedeutico, esaminato dalla Camera dei deputati il 9 giugno 1862.
La norma estese al Regno d’Italia il sistema bimetallico oro-argento basato sulla “lira nuova di Piemonte” in circolazione già dal 1816. Erano d’oro le 100, 50, 20, 10 e 5 lire, d’argento le 5 e 2 lire, la lira, i 50 e 20 centesimi, di bronzo le monete da 10, 5, 2 e 1 centesimo.
Fino al 1861, come nel sistema sardo-piemontese, le monete coniate in metalli nobili erano al titolo 900/.. e perfettamente raccordate nel peso. Un determinato numero di lire, infatti, in qualsiasi tipo o taglio di moneta fosse pagato, rappresentava una stessa quantità di oro o di argento. Per quest’ultimo le cose cambiarono, come vedremo, con l’entrata in vigore della legge di unificazione.
Il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli (1825-1881) e Palazzo Carignano a Torino, prima sede del Parlamento italiano
La lira piemontese riproponeva in veste mutuata quelle del Regno d’Italia, con sovrano Napoleone I, del regno di Napoli di Gioacchino Murat, del Principato di Lucca e Piombino e dei territori della Penisola annessi alla Francia. Identiche negli intrinseci e diametri, si distinguevano soltanto per le simbologie e le epigrafi, come oggi il circolante metallico dell’Eurozona. Queste lire, i loro multipli e frazioni circolavano anche in Francia e facevano parte di un’area monetaria comune inserita nel progetto napoleonico di un’Europa sotto dominio francese, con pesi, misure e legislazione uniformi.
L’Impero francese aveva recepito la Legge 7 germinale anno XI della Repubblica (28 marzo 1803), voluta da Bonaparte primo console. Nell’introduzione disponeva che la nuova unità monetaria denominata franco, suddivisa, secondo il sistema decimale, in decimi e centesimi, equivalente alla tradizionale livre, divisa in 20 sous (soldi) e 240 deniers (denari), doveva contenere g 4,50 d’argento poiché doveva essere formata da g 5 d’argento a 900/.. di titolo.
La norma ordinò inoltre la coniazione nuove specie d’oro da 40 e 20 franchi. Quest’ultima – il “napoleon”, in Italia “marengo”- pesava g 6,4516 al titolo di 900/.., con un fino di g 5,806; un franco ne conteneva quindi g 0,2903225. Pertanto, la legge implicitamente decretò che un grammo d’oro equivaleva a 15,50 d’argento. Come vedremo, all’inizio degli anni Sessanta dell’Ottocento, data l’ancora limitata diffusione della cartamoneta e della moneta bancaria, il rapporto di scambio (bimetallic ratio) continuava a rivestire un’importanza rilevante nella struttura dei sistemi monetari dell’Europa continentale.
Le due pezzature cardine del sistema monetario napoleonico, derivato da quello rivoluzionario francese e dal quale scaturiranno prima la lira piemontese e poi quella italiana: il franco in argento (g 5 a titolo 900/..) e i 20 franchi oro (g 6,45 a titolo 900/..)
Contrariamente a quanto alcuni credono, per quanto riguarda la parità aurea e argentea, il progenitore della lira italiana è più antico del franco germinale. Il bimetallic ratio 1:15,50 era già stato stabilito con un decreto del 30 ottobre 1785 che, mentre nulla innovava per l’argento, aveva ordinato la sostituzione del luigi d’oro in circolazione con uno da 24 livres contenente g 6,967 di fino. Ad essa risale quindi la parità aurea del franco di g 0,2903 che contraddistingue la lira italiana del 1862, corrispondente a 1/5 dello scudo d’oro da 5 lire di g 1,613 a 900/.. di titolo.
La parità argentea della lira italiana risale invece alla riforma del 26 maggio 1726, che creò lo scudo “aux branches d’oliviers” da 6 livres, rimasto in circolazione fino alla Rivoluzione. Pesava g 29,48 al titolo di 917/.., pari a g 27,033 di fino, la livre quindi equivaleva a 4,505 grammi, coincidente con 4,50 a causa della tolleranza di peso, che, come si è detto, fu recepita dal franco.
Prima di affrontare i punti salienti della genesi della lira italiana e del progetto di legge di Gioacchino Napoleone Pepoli (1825-1881), ministro dell’Agricoltura, industria e commercio, allora competente in materia monetaria, è necessaria una premessa sulla struttura dei sistemi in vigore nel 1861.
Nel Regno di Sardegna, la riforma decimale basata sul modello francese – che definì la “lira nuova di Piemonte”- venne introdotta nel 1816: nelle foto, esemplari da 20 lire oro a nome di Vittorio Emanuele I e di Carlo Felice
Quello della Gran Bretagna, prima potenza economica del mondo, era monometallico aureo (gold standard). Solo per la sterlina d’oro (sovreign) e la sua metà il valore intrinseco coincideva sostanzialmente con quello nominale, erano cioè “monete piene”, e solo con esse si potevano assolvere i debiti di qualunque ammontare (legal tender illimitato). La loro coniazione era libera: chiunque poteva portare lingotti alla zecca e farlo trasformare in monete di peso legale, pagando le spese, peraltro tenui.
Il valore metallico di quelle d’argento corrispondeva al 93,55% di quello legale, molto più bassa era la percentuale del circolante di bronzo. La coniazione di queste “monete segno” era riservata allo stato e il legal tender era fissato, rispettivamente, a 2 sterline (equivalenti a 50,44 lire) e a uno scellino (1/20 di sterlina, pari a lire 1,16).
Altre due monete da 20 lire oro sul modello napoleonico coniate a nome di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II come sovrani del Regno di Sardegna
Gli Stati tedeschi, l’Impero asburgico e l’impero russo, l’Olanda, la Spagna, il Regno delle Due Sicilie adottavano il monometallismo argenteo (silver standard). Belgio, Svizzera, Regno di Sardegna e Ducato di Parma e Piacenza seguivano il bimetallismo francese, caratterizzato da monete d’oro e d’argento piene, coniabili liberamente e con legal tender illimitato. Come vedremo la loro appartenenza a quest’area monetaria dipendeva dagli intensi scambi commerciali e dai rapporti finanziari con la Francia.
Da tempo gli economisti dibattevano sui pregi e difetti di questi sistemi. Dagli anni Cinquanta sembrava prevalere il partito favorevole al gold standard. A seguito delle scoperte dei giacimenti della California (1848) e dell’Australia (1851), il bimetallic ratio era mutato a favore dell’argento. Da un lato l’offerta d’oro era aumentata enormemente (passò da circa 20 a 200 tonnellate l’anno) riversandosi in gran parte nei paesi bimetallisti, dall’altro era diminuita quella del metallo bianco.
Cinque furono i tagli in oro 900/.. – con nominali da 100, 50, 20, 10 e 5 lire – coniati in conformità al modello sardo-piemontese formalizzato e modificato dalla Legge 24 agosto 1862, n. 788. La moneta da 100 lire pesava g 32,25, le altre monete a proporzione. Di grande pregio e rarità sono oggi, oltre alle monete da 100 lire, le 50 lire (battute per Vittorio Emanuele II solo nel 1864), alcuni marenghi e le 10 lire “testa piccola” del 1861 per Torino
Mentre la produzione rimaneva stazionaria, gran parte affluiva nei paesi meno sviluppati a monometallismo argenteo, soprattutto in India, per i pagamenti inglesi delle spese militari, del cotone e della seta grezza. L’aumento del suo prezzo di mercato era stato talmente consistente che il valore intrinseco del circolante a titolo elevato (ad esempio scudi e talleri) superava quello ufficiale per cui tendeva a sparire dai paesi a regime bimetallico dove la legge stabiliva il rapporto oro/argento.
Pepoli ne sottolineò il difetto fondamentale. Quando il prezzo di mercato di uno dei due saliva notevolmente, il circolante del metallo più apprezzato era esportato o tesaurizzato, tranne, come osserva il documento, le monete consunte dall’uso e/o tosate e di basso titolo. Il vuoto era colmato da quello sottovalutato, in questo caso l’oro.
Tra le lire post unitarie spiccano varie date della moneta da 20 lire, molte delle quali comuni; un poco più pregiate sono le pezzature da 10 e 5 lire oro, i più piccoli tagli prodotti con questo metallo secondo la legge del 1862
In definitiva, per la cosiddetta legge enunciata per la prima volta dal filosofo John Locke (1632-1704), esperto di questioni monetarie, il bimetallismo tendeva strutturalmente a trasformarsi in monometallismo. I maggiori problemi sorgevano quando, come accadeva dai primi anni Cinquanta, aumentava il prezzo dell’argento che era indispensabile nelle transazioni interne ordinarie (commercio al minuto, salari, ecc…) per i quali l’oro non era idoneo.
Ne erano rimasti indenni la Gran Bretagna, perché la differenza fra il valore legale e quello intrinseco non rendeva conveniente l’esportazione del suo argento, e il Regno delle Due Sicilie, che, per il basso titolo (833/..), aveva conservato le sue piastre da 120 grana. Invece la Francia, mantenendo i 900/.., secondo Pepoli, aveva perso più di un miliardo di franchi.
Cinque anche i nominali – per nove tipologie differenti – previsti per l’argento dalla Legge di unificazione monetaria: si parte dallo scudo da 5 lire da g 25,00 a titolo 900/.. (titolo invariato rispetto al passato), per scendere alle 2 lire, alla lira, ai 50 e ai 20 centesimi, tutti coniati sia in versione “stemma” che “valore”
Per lo stesso motivo gli Stati sabaudi e la Lombardia austriaca erano rimasti privi d’argento, il Belgio aveva sospeso le emissioni, Stati Uniti, Portogallo, Brasile e altri stati dell’America meridionale avevano ridotto peso e titolo delle monete d’argento minute. La Russia lo aveva ritoccato da 868 a 750 millesimi, l’Olanda del 7,20%, la Svizzera stava coniando al titolo 800/.. anziché 900/.., in questo modo il valore nominale aveva superato di quasi l’8% quello intrinseco. Una commissione governativa francese, incaricata di ovviare alla sparizione dell’argento, aveva suggerito questa soluzione, proponendo però gli 835 millesimi.
Secondo Pepoli, il monometallismo aureo era il sistema “più logico, più perfetto e fecondo di ottimi risultati”, era inoltre convinto della sua futura adozione generalizzata. Osservò però che per l’Italia i tempi non erano maturi. Rilevava che alcuni economisti preferivano il silver standard; inoltre, a suo avviso, il regime aureo si poteva raggiungere solo col “mutuo accordo delle principali Nazioni d’Europa”.
La lira e i 50 centesimi d’argento nelle due versioni “stemma” e “valore”
Per l’Italia ciò presupponeva la piena sovranità finanziaria, realizzabile “quando avremo rassodato il nostro credito pubblico ed il principale mercato della nostra rendita sarà in Italia”. Ammoniva che sarebbero nate gravi difficoltà nei rapporti economici e finanziari con l’estero se, dopo un’eventuale adesione dell’Italia al monometallismo aureo, la Francia fosse passata al silver standard. In effetti, la sua egemonia sul nuovo regno era pressoché totale: era il principale partner commerciale, in particolare per le esportazioni di seta, determinanti per la bilancia dei pagamenti dell’Italia.
Dei 20 centesimi in argento è ben nota la vicenda: i 20 centesimi “stemmino” battuti a Torino nel 1863 in soli 463 esemplari, data la similitudine con la moneta da 5 lire oro, furono quasi subito ritirati e rifusi. Ad oggi, sembra che gli esemplari sul mercato non siano più di sette, così pochi da rendere questo “spicciolo” una tra le massime rarità italiane del XIX secolo
Parigi era il più importante mercato del suo debito pubblico poiché era posseduto prevalentemente da investitori francesi che avevano finanziato gli ingenti prestiti per realizzare l’unità. D’altra parte non escludeva un prossimo riavvicinamento del mercato all’1:15,50, dati i notevoli rientri d’argento che si verificavano da Marocco, Giappone e Cina e la grande quantità d’oro che si stava dirigendo verso gli Stati Uniti d’America a seguito della guerra di secessione. Ricordò anche la maggior flessibilità del sistema bimetallico che aveva il pregio di consentire, non solo la scelta del metallo al momento più conveniente per i pagamenti con i confinanti paesi bimetallisti, ma agevolava anche gli scambi con l’area tedesca, dove vigeva il silver standard.
In questa incertezza il governo ritenne opportuno mantenere il sistema del franco germinale e il bimetallic ratio 1:15,50 solo per l’oro e per lo scudo a intrinseco inalterato, che mantennero il legal tender illimitato. La conferma del peso e del titolo di quest’ultimo fu decisa perché, di fatto, era utilizzato negli scambi internazionali al pari dell’oro.
Per evitare la scomparsa dell’argento e perdite erariali, fino a nuova disposizione fu però deciso che fosse emesso solo su richiesta dei privati e che i tagli d’argento inferiori, in precedenza monete piene, fossero coniati con un intrinseco inferiore del 6,33% al nominale. A questo scopo si poteva mantenerne inalterato il titolo, riducendone il peso, oppure conservarlo e abbassare il titolo. Il governo scelse questa soluzione adottando gli 835/.. proposti dalla commissione francese perché considerati sufficienti a impedire le falsificazioni.
Nulla di nuovo accade, con l’unificazione monetaria, ai nominali in rame (960/..) che erano stati battuti fin dal 1861 nei tagli da 10, 5, 2 e 1 centesimo. Usate nelle minute transazioni, furono prodotte in gran numero soprattutto per le regioni meridionali nelle quali era più urgente sostituire – anche a livello di immagine – i segni monetari dei governi preunitari
Durante la discussione parlamentare, fu osservato che questa decisione avrebbe provocato il disagio e l’opposizione degli operatori economici. La parità argentea ufficiale della lira italiana, base del sistema e unità di misura del valore, era di g 4,50 di fino, ma la moneta di questo valore nominale, battuta a 835/.., ne conteneva solo 4,175.
Un creditore di 100 lire, si osservava, incassando scudi ne avrebbe ottenuto g 45, riscuotendo pezzi da 2 lire, lire e frazioni solo 41,75. Influenzato all’ideologia liberista allora dominante, e dalla proposta della commissione francese, il governo, per evitare “un’arbitraria e manifesta ingerenza del legislatore nella materia delle contrattazioni private”, stabilì di ridurre il legal tender dell’argento di titolo inferiore a 50 lire nei rapporti fra privati, ma lo mantenne illimitato per i versamenti nelle casse pubbliche.
In questo modo ne sanzionò la funzione di monete “di saldo, destinata ai minuti pagamenti”, ossia sussidiarie a circolazione interna. La discussione sulle monete di bronzo fu limitata alla quantità da emettere, in particolare quella dei 10 centesimi che costituivano una novità. Il loro potere liberatorio fu fissato a una lira italiana.
Il nuovo sistema monetario, instaurato “provvisoriamente”, come affermò Pepoli, in attesa della decisione francese, si mantenne inalterato per sedici anni e, dopo una variazione del 1878 riguardante l’emissione degli scudi, venne ufficialmente abolito solo nel dicembre 1927, quando l’Italia introdusse una forma modificata di gold standard.
LA MEDAGLIA CELEBRATIVA
Fatta l’Italia, nel 1862 venne formalizzata in modo definitivo anche l’impostazione del sistema monetario del neonato Regno. E, per celebrare la nascita della lira italiana, venne anche coniata una bella medaglia commemorativa in bronzo, incisa dall’artista Demetrio Canzani (1815-1887), attivo presso la Regia Zecca nelle sedi di Milano e Torino.
Proprio dalle presse del capoluogo piemontese, prima capitale dell’Italia unita, uscì una coniazione di grande modulo (mm 72) raffigurante al D/ re Vittorio Emanuele II con legenda VITTORIO EMANUELE II RE D’ITALIA e, al R/, una splendida e complessa allegoria dell’evento.
All’interno di un cerchio nel quale si legge UNIFICAZIONE MONETARIA LEGGE XXIV AGOSTO MDCCCLXII, infatti, trova spazio la figura dell’Italia turrita che, mentre con la mano destra porge alla la pergamena della Legge alla personificazione del commercio (che ha in mano il caudceo), con la sinistra attinge le nuovissime lire italiane da un vassoio sorretto da due geni “coniatori” dietro i quali si intravede una massiccia pressa da zecca.
Completano la raffigurazione, in primo piano in basso, un’ancora, una balla di merce, una cornucopia traboccante di frutti, un’incudine ed un martello, un alambicco, un forno e altri strumenti mentre sullo sfondo, dietro una balaustra e ad un colonnato neoclassico, spiccano gli alberi di un veliero ed una locomotiva, simbolo per eccellenza del progresso industriale del XIX secolo. Sulla linea di esergo vi è il cognome dell’autore, CANZANI, in esergo l’iscrizione MINISTRO PEPOLI, omaggio all’uomo politico promotore della Legge che aveva appena dato vita alla rinnovata monetazione del Regno.