Giorno che vale di tanti anni il pianto” si legge al rovescio del cosiddetto “scudo”, in realtà una medaglia, della “Libertà Romana XXVII Piovoso Anno VII[1], la più prestigiosa e controversa[2] tra le coniazioni romane della Repubblica giacobina del 1798–1799, quella stessa repubblica che segna la prima, traumatica minaccia alla Santa Sede dai tempi del Sacco del 1527.

Legittimo chiedersi perché, in questo approfondimento dedicato a papa Clemente XI (1649-1721), vengano citate una medaglia giacobina di fine XVIII secolo e quello che, fino a poco tempo fa, era considerato un “endecasillabo non identificato[3]. La ragione risiede nel fatto che a comporre quelle parole, come verso di chiusura di un sonetto, fu tal Francesco Gaspari, poeta minore romano di cui si hanno solo pochw notizie che nel 1715 volle onorare – anche se, con un componimento non certo passato alla storia – i quindici anni di un pontificato già eccezionale, quello di papa Albani[4].

Fig. 1 | Frontespizio dell’opera di Saverio Scilla Breve notizia delle monete pontificie […] stampata a Roma nel 1715: si tratta del primo studio organico dedicato alla numismatica papale

Al 1715 risale anche, a firma dell’erudito siciliano Saverio Scilla[5], la Breve notizia delle monete pontificie antiche, e moderne[6] (Fig. 1) il primo studio organico e approfondito sulla numismatica papale che aprì la strada agli approfondimenti sulle serie numismatiche dei romani pontefici e costituì una base preziosa per successive ricerche sull’argomento[7].

Un’opera che venne ispirata sia dalla passione numismatica dell’autore che dalla ricca monetazione dell’Albani e, nel cui imprimatur, troviamo un esplicito apprezzamento dell’abate Francesco Valesio – figura di riferimento importante per la cultura a Roma a inizio Settecento – che ne sottolinea il valore “per la novità della materia, e per la varia erudizione” mentre Francesco bianchini, incaricato dal padre maestro del Sacro Palazzo Apostolico della lettura prima del canonico imprimatur, riferisce di avervi ravvisato, oltre alla necessaria correttezza teologica e morale dei contenuti, “molte utili notizie con istile compendioso raccolte”.

Come primo atto solenne del pontificato, papa Albani chiude il Giubileo 1700 aperto dal predecessore Innocenzo XII ed ecco apparire la prima delle “architetture” della sua serie monetale, la Porta Santa, impressa ad esempio sulla doppia in oro[8] (Fig. 2) al cui rovescio l’incisore Ferdinand de Saint–Urbain[9] tratteggia perfino quel mattonato che suggella, concretamente e simbolicamente, la conclusione di ogni Anno Santo.

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Fig. 2 | Doppia in oro per la chiusura del Giubileo 1700: la Porta Santa chiusa (si noti la stella araldica dello stemma Albani apposta sul timpano)

Citiamo questa moneta non tanto per ragioni cronologiche, ma soprattutto perché – nel suo soggetto, in fondo “prosaico” e già visto – rappresenta l’antitesi di quella che sarà la produzione numismatica dell’Albani: una monetazione variegata, elegante, propagandistica in modo raffinato, ricca di citazioni e ispirazioni artistiche, riflesso di un’attenzione alle arti e di un fervore architettonico che segnano l’intero pontificato[10]. Non a caso, papa Albani era considerato da alcuni l’uomo più colto del suo tempo.

La moneta – per la sua diffusione più capillare rispetto alla medaglia, dato il suo ruolo funzionale di denaro – offre al pontefice, come ai suoi predecessori e successori (almeno fino alla seconda metà del Settecento) un mezzo formidabile sia per la catechesi che per la propaganda: Clemente XI è “sovrano” a tutti gli effetti e non rinuncia a mettere in evidenza in tondelli monetati la propria visione della Chiesa e dello Stato, le migliorie al decoro dell’Urbe e delle province e naturalmente ogni azione volta a influenzare quello che oggi chiameremmo “lo scenario geopolitico internazionale”.

Già intenzionato ad abbellire Roma, papa Albani riceve un impulso alle sue politiche di ammodernamento della città dopo il “Grande terremoto” del 1703 che distrugge L’Aquila e altri centri causando quasi 9700 vittime e gettando nel panico anche la capitale. A seguito della scossa del 2 febbraio crollano alcuni archi del secondo ordine del Colosseo assieme a cornicioni in varie parti dell’Urbe. Il palazzo del Quirinale rimane danneggiato, come le basiliche maggiori di San Pietro e San Lorenzo fuori le Mura, oltre a una serie altri edifici.

Fig. 3 | Piastra “votiva” dell’anno 1704 emessa a seguito del “Grande terremoto” e dipinto di Mattia Preti sullo stesso soggetto eseguito fra il 1653 e il 1670

Lo scampato pericolo corso da Roma il giorno della Candelora è ricordato in una piastra[11] incisa da Pietro Paolo Borner[12], perfetto esempio di coniazione “votiva” che Clemente XI vuole con effigiata la Presentazione al Tempio di Gesù: una moneta “pittorica”[13] che richiama nell’impostazione generale, come in tanti dettagli, dei dipinti celebri sullo stesso soggetto, in particolare quello – magnifico – di Mattia Preti dipinto fra il 1653 e il 1670 per la chiesa di Santa Barbara a Taverna, in provincia di Latina (Fig. 3).

Le pietre rovinate giù dall’Anfiteatro Flavio non spaventano il papa urbinate che, anzi, dà ordine di usarle per la ristrutturazione del porto fluviale di Ripetta, sul Tevere, che assieme a quello di Ripa Grande collega per via d’acqua la città di Roma con l’entroterra e il Tirreno permettendo l’afflusso di materie prime, derrate alimentari, mercanzie e viaggiatori. Così, nel 1706 dai torchi della zecca papale escono mezze piastre[14] con la prospettiva dello scalo fluviale, opera di Giuseppe Ortolani[15] e con legenda LAETIFICAT CIVITATEM (“Rallegra la città”)[16].

Da notare la raffinatezza dei dettagli: le imbarcazioni, le chiese di San Rocco e San Gerolamo degli Schiavoni, le personificazioni del Tevere e del Tirreno, le scalinate che scendono al fiume. E non possiamo non notare, nel loro intento di rendere “animata” la scena, i personaggi e il carro trainato da un cavallo: elementi che troveremo in altre monete e medaglie papali.

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Fig. 4 | Mezza piastra del 1706 che celebra il rinnovato porto fluviale di Ripetta, spazio architettonico e commerciale di vitale importanza per Roma, e incisione di Alessandro Specchi sullo stesso soggetto

La similitudine tra la moneta e una magnifica incisione d’epoca (Fig. 4) realizzata di Alessandro Specchi è esemplare: la produzione di stampe artistiche, del resto, nella Roma del primo Settecento è costellata di autentici capolavori di quest’arte figurativa tutt’altro che “minore” e che, di lì a qualche decennio, avrà in Giovan Battista Piranesi il suo più fenomenale e visionario esponente.

Passando alle “arti maggiori”, nell’intreccio con la numismatica di papa Albani spicca – è l’anno VII di pontificato – una citazione pittorica che rasenta la perfezione: la troviamo sulla mezza piastra[17] su cui Tobia e l’angelo, presi di sana pianta dal capolavoro di Pietro da Cortona del 1656 oggi a Palazzo Barberini, dominano un rovescio anepigrafe di rara bellezza (Fig. 5). Peccato che, incidendo il conio “in diretta”, ossia in negativo, l’artista Ermenegildo Hamerani raffiguri la scena in modo speculare, con l’angelo che con la mano sinistra, e non con la destra, indica la luce divina uscente dalle nubi[18].

Fig. 5 | La mezza piastra con al rovescio l’angelo e il piccolo Tobia e il dipinto L’Angelo custode di Pietro da Cortona realizzato 1656 per papa Alessandro VII Chigi e oggi a Palazzo Barberini

Un “errore di prospettiva” veniale, in fondo, ma che qualche tempo prima, regnante Innocenzo XI, era apparso anche su un quattrino della zecca di Gubbio dove è Gesù Bambino ad alzare, benedicente, la mano sinistra: moneta ritenuta “blasfema”[19], venne ben presto ritirata e sostituita da un quattrino su cui il Bambino si limita ad abbracciare Maria. Chissà se il maldestro incisore venne punito per l’imperdonabile errore?

Dopo questa digressione torniamo al pontificato e alla serie monetale di Clemente XI: sotto il profilo delle opere architettoniche e delle relative celebrazioni numismatiche, ecco la chiesa di San Teodoro al Palatino di cui l’Albani affida progetto e ricostruzione a Carlo Fontana, che esegue i lavori nel periodo 1703–1705 e disegna anche il cortile, tuttora esistente. La moneta, emessa a inizio lavori, nel 1703, è dunque una sorta di “rendering”, un’anticipazione a scopo di propaganda di come, una volta terminata la ristrutturazione, sarebbe apparso il complesso (Fig. 6).

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Fig. 6 | La piastra che, nel 1703, celebra l’inizio dei lavori a San Teodoro al Palatino: la nuova chiesa e il giardino, in realtà, non ci sono ancora e in moneta finisce il progetto di Carlo Fontana

Oltre agli edifici di culto, anche le infrastrutture viarie dello Stato Pontificio si trasformano in soggetti per massimi moduli d’argento, come nel caso del ponte di Civita Castellana, detto non a caso “Ponte Clementino” e costruito nel 1709 per unire due aspri crinali di tufo su cui si trovano il centro storico e la parte nuova della città (Fig. 7).

Fig. 7 | La maestosa architettura a due ordini di arcate del Ponte Clementino di Civita Castellana sulla piastra dell’anno IX e in un dipinto del 1844 eseguito dal pittore Edward Lear, oggi alla National Gallery di Londra

Il progetto viene affidato all’architetto romano Filippo Barigioni e, una volta completato, diviene subito un importante arteria per l’intero Lazio, collegandosi al tracciato dell’antica Via Flaminia. Ermenegildo Hamerani[20] rende onore alla maestosa costruzione con una piastra[21] che al rovescio reca un’incisione prospettica senza sbavature, calata in un paesaggio agreste e impreziosita, in secondo piano, dalla mole degli edifici della città e del Forte Sangallo. Continua…

Note al testo (per la bibliografia si rimanda alla seconda parte)

  • [1] Data espressa nel calendario rivoluzionario e corrispondente al 15 febbraio 1799 nel calendario gregoriano.
  • [2] Ganganelli 2016.
  • [3] Traina 2006, p. 174.
  • [4] Ganganelli 2016.
  • [5] Nato a Messina nel 1673, figlio di Agostino Scilla, Saverio dal padre ereditò – oltre all’estro artistico – anche l’amore per gli antichi nummi diventando un attento collezionista di monete papali, serie dalle quali nel 1715 scaturì la sua opera. Ambizione dell’autore sarebbe stata quella di pubblicare, negli anni seguenti, un’edizione ampliata distribuendone i contenuti in tre volumi corredati da circa 1500 disegni realizzati dallo stesso Scilla. L’autore, tuttavia, morì nel 1735 e nel 1746 la sua raccolta di 5067 monete  e quella di disegni venne offerta alla Biblioteca Vaticana. Il cardinale Domenico Passionei concluse la trattativa per la cifra di 950 scudi, a fronte dei 2000 richiesti dagli eredi dello Scilla e in seguito, nel 1754, la collezione Scilla ebbe un proprio medagliere dedicato, costato 370 scudi, in cui fu sistemata assieme ai disegni. Durante il pontificato di Clemente XIV Ganganelli (1769-1774), infine, la parte meno prestigiosa della raccolta fu ceduta riducendo la consistenza dell’insieme a 2595 esemplari.
  • [6] Scilla 1715 (2006).
  • [7] Sia Ludovico Muratori che Giuseppe Garampi e, in seguito, Angelo Cinagli, Edoardo Martinori e Francesco Muntoni trassero sia informazioni puntuali sia elementi metodologici dall’opera dello Scilla.
  • [8] Muntoni 1972-1974 (1996). Volume III, p. 77 n. 5.
  • [9] Nato nel 1654 o 1658 e morto nel 1738 a Nancy, in Francia, Saint-Urbain fu disegnatore, architetto e finissimo incisore di coni per monete e medaglie. A Roma lavorò per papa Innocenzo XI, Alessandro VIII e poi per Innocenzo XII e infine Clemente XI. Nonostante la grande notorietà acquisita a Roma, accettò di tornare in Lorena nel 1703 per far parte della locale Aaccademia di pittura e scultura.
  • [10] Per approfondire questi aspetti si consiglia Mariano e Papetti 2000.
  • [11] Muntoni 1972-1974 (1996). Volume III, p. 82 n. 43.
  • [12] Nato nel 1656 o 1657 a Lucerna, Borner lavorò come incisore di monete e medaglie alla zecca pontificia di Roma durante i regni di Alessandro VII, Innocenzo XII e Clemente XI. Di lui sappiamo, ad esempio, che nel periodo 1677-1697 il suo salario mensile era stato fissato in 10 scudi d’oro. Il suo stile, sia nelle monete che per le medaglie, è caratterizzato da figure piene e baroccheggianti. Morì nel 1727.
  • [13] Per approfondimenti si veda Ganganelli 2021.
  • [14] Muntoni 1972-1974 (1996). Volume III, p. 84 n. 55.
  • [15] Ortolani, veneziano d’origine, nacque attorno al 1674 e iniziò la sua carriera giovanissimo, come medaglista. La sua attività alla zecca di Roma è documentata già dal 1689 e lavorò per i papi Alessandro VIII, Innocenzo XII e Clemente XI. Morì a Roma nel 1734.
  • [16] Traina 2006, p. 234.
  • [17] Muntoni 1972-1974 (1996). Volume III, p. 84 n. 58.
  • [18] Per approfondimenti si veda Ganganelli 2014.
  • [19] Per approfondimenti si veda Ganganelli 2020a.
  • [20] Esponente della celebre famiglia di artisti del bulino di origine bavarese, nacque nel 1685 e morì nel 1756. Fu incisore sotto i papi Clemente XI, Innocenzo XIII e Benedetto XIII; incise anche numerose medaglie e rimane uno degli esponenti più noti della “dinastia” assieme a Giovanni Martino, Ottone e Beatrice Hamerani, singolare figura femminile di incisore e medaglista attiva tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo.
  • [21] Muntoni 1972-1974 (1996). Volume III, p. 82 n. 42.