Attraverso monete e medaglie papali, la vitale importanza politica del grano, tra produzione e approvvigionamento
di Roberto Ganganelli | Dopo la prima parte di questo studio (leggi qui) pubblicata la scorsa settimana riprendiamo, partendo dalla fine del Seicento, il nostro percorso che prende in esame le evidenze numismatiche e medaglistiche volute dai papi per propagandare le azioni compiute a favore di una costante disponibilità e di una equa gestione di quello che era la base dell’alimentazione del tempo: il grano, da cui derivavano le farine che servivano per il pane, principalmente, ma anche per dolici e pasta.
Al periodo di Innocenzo XII appartiene, oltre a quelle già elencate nella prima parte di questo studio, anche un’altra coniazione – una piastra, in questo caso – che venne incisa da Giovanni Hamerani e Ferdinand de Saint-Urbain e porta la data 1699, anno VIII di pontificato.
Al ritratto papale con camauro, mozzetta e stola sul dritto si abbina, al rovescio, una scena biblica dal forte valore simbolico dal momento che non è legata esplicitamente al grano né al pane quanto alla loro assenza, metafora delle difficili prove che il popolo di Dio deve superare per giungere alla salvezza.
Mancanza cui Dio sopperisce venendo in aiuto degli Ebrei con la manna: “E, evaporato lo strato di rugiada, apparve sulla superficie del deserto qualcosa di minuto, di granuloso, fine come brina gelata in terra.
A tal vista i figli d’Israele si chiesero l’un l’altro: ‘Che cos’è questo?’ perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: ‘Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo. Ecco ciò che ha prescritto in proposito il Signore: ne raccolga ognuno secondo le proprie necessità, un omer a testa, altrettanto ciascuno secondo il numero delle persone coabitanti nella tenda stessa così ne prenderete’.
Così fecero i figli di Israele e ne raccolsero chi più chi meno. Misurarono poi il recipiente del contenuto di un omer; ora colui che ne aveva molto non ne ebbe in superfluo e colui che ne aveva raccolto in quantità minima non ne ebbe in penuria; ciascuno insomma aveva raccolto in proporzione delle proprie necessità” (ES 16,16-18).
EGREDIATVR POPVLVS ET COLLIGAT (“Il popolo esca e raccolga [ciò che basta per il giorno]”, ES 16, 4) è l’invito rivolto ai fedeli che circonda la dettagliata incisione sul campo del rovescio: un messaggio biblico e al tempo stesso propagandistico, dal momento che la moneta celebra in realtà la diminuzione della tassa sul macinato decisa da Alessandro VIII.
La complessità della scena, soprattutto, fa riflettere: una composizione del genere, infatti, sia in termini di numero di personaggi che di geometrie e di impostazione appare, infatti, molto più simile ad un dipinto che ad un soggetto numismatico creato ad hoc.
Si tratta de Gli Ebrei raccolgono la manna nel deserto, un grande olio su tela (cm 200 x 149) oggi conservato al Louvre di Parigi e realizzato tra il 1637 ed il 1639. Dipinto da Nicolas Poussin (1594-1655), considerato un maestro da classicisti come Jacques-Louis David e Ingres, il quadro è di rilevante significato simbolico: ci aiuta a comprenderlo, e quindi a capire meglio la moneta, un articolo di Felix Thürlemann dal titolo La meraviglia come passione dello sguardo. A proposito della “Manna” di Poussin.
Evidenziando le diverse figure rappresentate, lo studioso si sofferma sui due livelli di lettura “carità divina / carità umana” che si rivelano dalle figure, che mutuamente si sostengono, e dalla presenza divina, impalpabile ma fondamentale. Questa, in particolare, si rivela nella discesa della manna e resta al tempo stesso immateriale e sottaciuta nell’evocare anche l’Eucaristia. Guardando da sinistra verso destra si sviluppa la narrazione per cui gli Ebrei, affamati e disperati, scoprono il dono divino e se ne saziano; scorrendo il quadro dal basso in alto si coglie invece la connotazione teologica del trinomio carità-cibo-redenzione. Le categorie fondamentali sono quelle della “meraviglia” (data dalla “Caritas” romana e pontificia), quindi il “miracolo” e infine il “mistero”.
Ovviamente, Saint’Urbain non poté – viste le dimensioni del conio – riprodurre tutte le figure del dipinto di Poussin ma, piuttosto, ne realizzò una “sintesi” selettiva ad uso emozionale ed espressivo approfittando tuttavia a man bassa sia delle anatomie che dettagli primari e secondari – dai vasi per la manna, alle tende – e addirittura del paesaggio di sfondo con rocce, alberi e nuvole.
Ma come fece l’artista conoscere (e quindi a “copiare”) la grande tela di Poussin? La risposta, probabilmente, è più semplice di quanto si creda, dal momento che a fine Seicento, a Roma, già circolavano da anni, sul mercato, eleganti incisioni a stampa del quadro in questione, fedeli nei minimi dettagli; stampe che, per un valido incisore e un personaggio di cultura quale era Ferdinand de Saint-Urbain (che, fra l’altro, era anche architetto), erano una delle fonti di ispirazione più ricche e importanti.
Dopo questa digressione nel campo della storia dell’arte, torniamo al tema principale annotando come il tramonto del XVII secolo ci regalo, per quanto riguarda la monetazione dei papi, un altro piccolo capolavoro, lo scudo del 1697-VII di Innocenzo XII Pignatelli, celebre per le sue elemosine e le pignatte dello stemma capovolte, su alcune coniazioni, a simboleggiare il suo aver dato tutto per i bisognosi.
Una misericordia terrena che, tuttavia, non è in grado di prescindere dalla provvidenza divina come evidenziato dal motto DET DEVS DE CAELO (“[Ci] dia il Signore [il pane] dal Cielo”) che sormonta al rovescio della moneta un armonioso fascio di undici spighe piantato per terra.
Grano come simbolo di crescita e di fertilità, dunque, come dono divino e scelto, perché no, anche per l’elegante simmetria pittorica che rende questa rara moneta un esempio di arte incisoria e a simboleggiare probabilmente nel numero, undici, gli Apostoli rimasti fedeli al Redentore.
Tra i pontefici più intraprendenti nell’ambito delle politiche annonarie è da ricordare poi Clemente XI Albani (1700-1721) che ampliò i granai eretti a suo tempo da Urbano VIII facendo costruire un nuovo edificio a tre piani nell’area delle antiche Terme di Diocleziano, vicino alla chiesa di San Bernardo; un’iniziativa ritenuta così importante da meritare addirittura più di una medaglia: sono due, infatti, le coniazioni che, datate 1704 e 1705, mostrano l’imponente costruzione. In prospettiva su quest’ultimasul cui rovescio, al motto di COMMODIORI ANNON[ae] PR[ae]SIDIO si abbina una magistrale incisione di Ermenegildo Hamerani che mostra il palazzo nell’ambito di una “veduta animata” con personaggi e animali, nubi nel cielo, un carro trainato da buoi; in basso, la cartella con la data è decorata di due cornucopie traboccanti di spighe.
L’anno precedente, il “cantiere” dell’Annona era già stato celebrato per mano dello stesso incisore con un conio inneggiante all’ADDITO ANNONAE PRAESIDIO e con la facciata vista di fronte. Su entrambe le tipologie, Clemente XI è effigiato al dritto con triregno e piviale, rivolto verso destra.
Risale invece al secondo anno di pontificato di Innocenzo XIII Conti (1721-1724) una delle più belle e rare monete papali sulle quali il grano si fa protagonista assieme a due mietitori intenti alla raccolta, uno con la falce e l’altro con in mano un covone di spighe.
La mezza piastra in argento opera di Ermenegildo Hamerani fonde in sé, infatti, il valore iconografico immediato della raccolta del grano – provvedere al bisogno primario del cibo – con l’immagine biblica (SAL 125, 5) secondo la quale “Qui seminant in lacrimis, in exsultatione metent” (“Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo”). CVM EXVLTATIONE, non a caso, è il motto che al rovescio corona la scena della mietitura.
La città di Roma continua ad alternare, sotto il profilo degli approvvigionamenti granari, anni di relativa tranquillità con altri di effettiva emergenza. De Cupis ci fornisce il quadro della produzione granaria, nel 1764, dell’Agro Romano, fu di soli 63.600 rubbi di grano, che dedotti 15.816 rubbi destinati alla semina non lasciarono per il consumo di Roma che 47.784 rubbi contro un fabbisogno di 146.825, pari a 318.610 quintali (la quantità effettivamente consumata tra il raccolto del 1764 e quello dell’anno successivo).
L’intera differenza, come in altri casi, venne acquistata all’estero e l’esborso cui è costretta la Camera Apostolica ammonta a ben 900.000 scudi, di cui 500.000 prelevati dal Tesoro e il resto dal Monte Annonario.
Problemi cronici, che i pontefici tentano di tamponare come possono e di “sfruttare” al meglio a beneficio della propria immagine. Nella seconda metà del Settecento è ad esempio Clemente XIV Ganganelli (1769-1774) a dedicare alla beneficenza pontifica una coniazione straordinaria incisa da Filippo Cropanese che, nel primo anno di pontificato, al ritratto dell’ultimo pontefice francescano della storia abbina un’allegoria complessa in cui una figura femminile è rappresentata nell’atto di alleviare le sofferenze dei poveri e sfamarli.
Un bambino al seno, un uomo sdraiato a destra mentre mangia, al motto di ELEVAT PAVPERES la medaglia raffigura anche un altro bambino al quale la beneficenza pontificia indica, con la mano, di raccogliere delle spighe mature. La legenda in esergo, VECTIGALIA REMISSA MDCCLXIX in riferimento alla riforma dei dazi attuata a tutela dell’economia degli Stati Pontifici e per una maggior protezione dell’economia – soprattutto agricola – delle regioni governatedalla Santa Sede.
Dopo secoli di editti, calmieri, azioni sul grano svolte all’insegna del “protezionismo” anche i romani pontefici, col declinare del XVIII secolo si convertono alle “liberalizzazioni”, tanto è vero che Pio VII Braschi (1775-1800) già nel 1790 abolisce una serie di leggi annonarie e tanta importanza dà a questo provvedimento da dedicargli la medaglia annuale del XVI anno di pontificato.
Opera di Giovanni o di Gioacchino Hamerani, la coniazione abbina, al consueto ritratto papale sul dritto, un rovescio in cui l’Annona personificata è ritratta in piedi, con nella mano sinistra un timone simbolo di buona amministrazione e che con la destra addita una cornucopia con spighe e frutti.
Esplicita anche l’iscrizione ANNONAE P R RESTITVTA. Come un’altra emissione del 1777 anche questa medaglia si riferisce a sgravi fiscali, in particolare alla decisione presa dal pontefice di abolire le vecchie e ormai superate leggi annonarie che ostacolavano il libero commercio dei prodotti alimentari, in primo luogo il frumento.
Le residue gabelle vengono soppresse ovunque ad esclusione della Legazione di Bologna. I provvedimenti presi per alleviare il carico fiscale dei produttori agricoli, riformando il sistema di tassazione, portano tuttavia risultati inferiori alle aspettative e il loro successo viene compromesso soprattutto da un generale rincaro dei prezzi.
Un omaggio medaglistico al grano e all’Annona, quello appena descritto, che sa di “ultimo atto” dato che un decennio più tardi, il 3 settembre 1800, Pio VII con un motu proprio smantella e dismettel’apparato che per lunghi secoli aveva controllato l’approvvigionamento frumentario dell’Urbe, l’Annona Pontificia.
Scrive il papa: “Le note sciagure, alle quali è stata sottoposta questa nostra Capitale, se sono state fatali a tutti i Rami della pubblica Amministrazione, hanno avuto in particolare la più funesta influenza sul primario, ed importantissimo oggetto della pubblica sussistenza, poiché cessato il concorso degli Uomini soliti ad accudire alla Coltivazione, diminuiti nel modo più sensibile per le straordinarie consumazioni, e per li trasporti di guerra gli animali in addietro impiegati al lavoro, e infine scoragiti gli Agricoltori dalla perdita delle proprie sostanze, e per conseguenza de’ mezzi, onde continuare nell’esercizio della loro utile industria, si è notabilmente diminuita la Coltura delle circonvicine Campagne, le quali pel loro stato particolare di spopolazione, hanno sempre richiesto sforzi, e spese non ordinarie per lavorarsi, e che pur troppo sono state sempre assai poco coltivate.
[…] In una così infelice situazione Noi vedemmo, che due soli mezzi potevano esservi per assicurare lo sfamo di questa nostra Capitale per il lungo spazio delli dieci mesi, che ancora rimangono alla futura raccolta, cioè di continuare come in passato a fare le occorrenti provviste per conto dell’Annona, ovvero di lasciare, che il Grano venga trasportato alla Capitale medesima per Commercio, come accade di tutti gli altri generi, che vi si recano in copia[…].
E siccome il vuoto grande, in cui attese le passate infelicissime circostanze si ritrovano tutte le pubbliche Casse non ci poteva in alcun modo permettere di abbracciare il primo degl’indicati due espedienti, trovammo essere assolutamente indispensabile di ricorrere all’altro.
Nel medesimo tempo però non potemmo non considerare, che questo stesso provvedimento, sebbene di sua natura efficacissimo, sarebbe riuscito del tutto infruttuoso se abolendo li vincolanti regolamenti della tuttora vigente Legislazione Annonaria non s’introducesse quella libertà nella Contrattazione, e nel prezzo dei Grani, che sola può animare li Possessori di tal genere, e soprattutto gli esteri Commercianti a recarne copia, e nella quantità, che si richiede al bisogno, con prescrivere contemporaneamente, che il saggio, o peso del Pane dovesse regolarsi, e variare a seconda, ed in proporzione delle variazioni del costo dei Grani […]”.
Le “note sciagure” sono, evidentemente, l’imposizione da parte francese della I Repubblica Romana, l’esilio del papa, la guerra e le requisizioni che l’hanno accompagnata. La preoccupazione di spiegare la decisione induce il successore di Pietro e futuro prigioniero di Napoleone a riconoscere il libero prezzo del pane già sancito da tutti i governi italiani ammettendo il ritardo della legislazione pontificia.