Ci occupiamo in queesto articolo di un oggetto monetale che si considera tradizionalmente prodotto dalla Regia Zecca di Milano con valore di 20 centesimi di lira in mistura d’argento, senza data ma pertinente ai primissimi anni del Regno d’Italia e conosciuto in letteratura numismatica come “saggio di un popolano“.
Ebbene, in seguito alle ricerche di archivio condotte per l’allestimento del MFM Museo del francobollo e della moneta della Repubblica di San marino, questo esemplare numismatico ha fatto scattare il classico “campanello” che, a seguito di ulteriori verifiche, permette qui di inquadrare meglio questo interessante saggio monetale.
Il “saggio di un popolano” nella bibliografia numismatica
Pubblicato e illustrato già nel 1915 da Edoardo Martinori nel suo La Moneta. Vocabolario generale a p. 399 a corredo della voce Popolano (“Era detto in Milano il pezzo da Cent. 20 coniato nel 1863 al tit. di 835”) con specificato “Fu fatta anche una prova di conio del popolano in metallo eroso misto, tit. 260”, l’esemplare è stato pubblicato poi da Simonetti, da Carboneri, Lanfranco e quindi dal Pagani per essere infine approfondito da Domenico Luppino nel fondamentale volume Prove progetti e rarità numismatiche della monetazione italiana. I. Casa Savoia (1713-1946) a p. 197.
Luppino censisce l’esemplare oggetto di questo articolo (mistura al 26% di argento e 74% di rame) con diametro di mm 21 e peso di g 2,73 e cita – senza possibilità, tuttavia, di ulteriori conferme – anche un esemplare in piombo (mm 21, g 3,82) e uno su cui al rovescio manca la dizione TITOLO 260. Pagani attribuisce il “saggio di un Popolano” all’officina monetaria di Firenze, Simonetti lo considera un progetto di medaglie e lo assegna alla zecca di Torino, Carboneri a quella di Milano. Anche il Lanfranco ne parla, ma qual è la verità?
Dagli archivi della Serenissima Repubblica a Palazzo Valloni
Nell’Archivio di Stato della Repubblica di San Marino è conservata una lettera manoscritta (Carteggio della Reggenza, B. 179/4, 26 Novembre 1864, Prot. N. 105) che l’incisore torinese Pietro Thermignon (1819-1901), ben noto per il progetto delle 5 lire sammarinesi mai emesse e datate 1867 (leggi qui l’approfondimento) spedì all’attenzione del cavalier Pietro Tonnini (1821-1894), poliedrico artista e per ben sei volte capitano reggente.
Nella missiva, risposta ad una precedente richiesta del Tonnini, in vista del fatto che San Marino si sarebbe dovuta dotare di francobolli propri – fatto che, tuttavia, si verificherà solo nel 1877 – Thermignon si propose come possibile autore allegando allo scritto gli schizzi per due valori postali (uno da 5 centesimi, per uso interno, e uno da 40 centesimi, per le affrancature verso l’estero), l’impronta di un timbro a secco di sua realizzazione e i disegni a inchiostro per due monete.
Due bozzetti per monete sammarinesi mai realizzate
Entrambe con al dritto il profilo del santo Marino a testa nuda, barbuto e rivolto a destra, al rovescio le proposte di monete firmate Thermignon presentano al rovescio un’allegoria della Repubblica, seduta verso destra, coronata e con nella sinistra una bandiera col motto LIBERTAS; in uno dei bozzetti la figura femminile poggia il gomito destro su uno scudo con le Tre Penne, mentre a destra è disegnato un fascio, nell’altro poggia il braccio sul fascio mentre a destra è delineato il Monte Titano.
Thermignon appone sui due disegni i valori di C. 20 e C. 50 e il motto NON OCCIDET (“Non tramonta [la Libertà]”) a completare le composizioni. E, come se non bastasse, a mostrare le proprie capacità l’artista piemontese allega una velina su cui è impressa a secco l’impronta di un timbro a nome delle CASE OPERAIE DI TORINO con indicazione R.D. 14 AGOSTO 1863, circondato da due rami d’alloro e il cui soggetto è quasi identico a quello del “saggio di un Popolano” proposto da Nomisma.
Quella figura femminile turrita così cara a Thermignon
Nel campo, una figura allegorica femminile, coronata e drappeggiata, seduta verso destra e con in secondo piano un leone accovacciato; il gomito destro poggiato su un fascio romano, senza scure, ha nella mano destra un archipendolo e con la sinistra regge una bandiera fluttuante. Rispetto al saggio di monetazione proposto in asta Nomisma, manca soltanto il piccolo stemma sabaudo che decora il fascio.
La paternità del saggio di monetazione in bassa mistura d’argento del valore di 20 centesimi, dunque, è svelata: a inciderne i coni fu Pietro Thermignon – non sappiamo se prima o dopo aver proposto a San Marino i bozzetti allegati alla lettera del novembre 1864 – a partire da un’opera precedente, di più modesta origine, ossia un timbro a secco inciso per il consorzio delle Case Operaie di Torino.
Questa istituzione, la prima di questo tipo creata nel capoluogo piemontese, realizzò fra il 1864 e il 1866 un grande caseggiato, oggi non più esistente, nell’isolato compreso fra le vie attuali Gioberti, Montevecchio, Legnano e San Secondo, nella zona di Porta Nuova, una parte della città prossima a numerosi opifici scelta per la comodità degli inquilini, che potevano così disporre di alloggi dignitosi non lontano dal luogo di lavoro. Insomma, il Thermignon cercò di “riciclare” quel soggetto, che evidentemente giudicava particolarmente ben riuscito, sia proponendolo a San Marino in forma di bozzetti che, spingendosi oltre, come saggio coniato da mostrare alle autorità della Regia Zecca sabauda.
Quale zecca per il misterioso “saggio di un popolano?”
Mario Lanfranco, nel volume del 1934 I progetti e le prove di monete del Regno d’Italia, esprimendo le sue perplessità sul fatto che il saggio fosse uscito da una zecca statale (Firenze, nello specifico), sottolinea che “la fattura del modello, dal lato artistico, è deficientissima e la coniazione, dal lato tecnico molto scadente”. Difetti simili – ad esempio per l’evanescenza di parte delle iscrizioni o il non perfetto allineamento di parti della legenda, si ravvisano, del resto anche sulle 5 lire non emesse di San Marino.
Non fu infine, è quasi certo, nemmeno l’officina monetaria di Torino né altra zecca statale a coniare il “saggio di un Popolano” dal momento che Thermignon disponeva di un proprio laboratorio con macchinari per la coniazione dove realizzò anche le prove della 5 lire sammarinese del 1867. Moneta che, a ben vedere, altro non ci appare che come l’ennesimo ritorno dell’incisore all’idea base di una figura femminile seduta, con labaro al vento e attributi vari come, del resto, il Marino coronato al dritto appare, ovviamente, derivato da quello a testa nuda dei bozzetti conservati nell’Archivio di Stato di Palazzo Valloni e qui pubblicati in esclusiva.
Torino, 1864, zecca privata di Pietro Thermignon: ecco svelata, dunque, la carta d’identità di quello che finora era il misterioso e rarissimo “saggio di un Popolano” con tanto di “dedica” al rovescio A RE VITTORIO EMANUELE II…