Alle origini di uno degli istituti bancari più importanti d’Italia e di quattro secoli di fedi di credito
di Guido Crapanzano | La storia delle origini del Banco di Napoli ci mostra come, nel nostro Paese, i primi istituti di credito siano sorti non a fine di lucro quanto grazie a quei sentimenti di pietas che sono alla base della nostra cultura e vivi, ancora oggi, ad esempio nel volontariato.
Anno 1862, la nascita del Banco di Napoli
Il Banco di Napoli viene ufficialmente istituito nel gennaio 1862, pochi mesi dopo la nascita del Regno d’Italia, ma le sue origini sono molto antiche.
Nella prima metà del Cinquecento, Napoli è sotto il dominio di Carlo V, sul cui impero “non tramonta mai il sole”. Per mantenerlo, l’imperatore impone pesanti imposte che rendono la vita difficile persino ai ricchi: figuriamoci ai poveri.
Una delle piaghe che affliggono maggiormente il popolo è l’usura, in particolare quella esercitata nei confronti di chi abbisogna di piccole somme per la sopravvivenza famigliare. La legge è dalla parte dei ricchi, usurai compresi, al punto che, chi non può pagare, finisce in prigione.
Proprio per venire incontro alle vittime dell’usura, già nel XV secolo sorgono in tutta la Penisola delle pie confraternite, fondate da frati francescani, denominate Monti di Pietà che, attraverso la concessione di sovvenzioni e piccoli prestiti senza interesse, cercano di sottrarre i più bisognosi alla morsa degli usurai.
Alle origini, il Sacro Monte di Pietà
Con questi intenti, per iniziativa dei due imprenditori napoletani Aurelio Paparo e Nardo Di Palma, presto aiutati dal notaio Di Lega e dal padre gesuita Salmeron, viene fondato a Napoli nel 1539 il Sacro Monte della Pietà.
Già da tempo i due gentiluomini praticavano il così detto “grazioso impronto” ossia il prestito su pegno senza alcun interesse, ma dopo la creazione del Monte, come narra lo storico Rocco: “Paparo e Di Palma, animati da una carità senza pari, con proprio denaro, riscossero dagli ebrei la roba tutta che avevano in pegno e la trasportarono nella loro casa, ove ne fecero i disimpegni, anzi diedero principio alla grande opera prestando denaro sopra il pegno senza alcun interesse. Napoli è portata per le opere di pietà, quindi vari ricchi e pietosi cittadini concorsero al glorioso fine”.
Ben presto il Monte diventa un faro che non solo indica la via del riscatto ai più miserevoli e a tutti gli uomini di buona volontà, ma risveglia dal torpore egoistico le coscienze di molti. Da una piccola scintilla può nascere un grande fuoco, allo stesso modo la sensibilità d’animo dei due fondatori si diffonde e induce radicali trasformazioni sociali in tutta la provincia napoletana. L’iniziativa del Monte non resta isolata e, nei decenni successivi, sorgono numerosi altri Monti e Banchi, tutti originariamente creati con intenti caritatevoli.
Una vicenda emblematica, da cui traspaiono le motivazioni che hanno portato alla creazione degli antichi banchi di Napoli, è quella di un avvocato che, dopo aver fatto imprigionare un poveruomo che non era riuscito a rimborsare il debito a un usuraio, con l’aiuto di amici gentiluomini e di alcuni prelati, riesce a istituire un fondo destinato a liberare i carcerati per debiti. Nasce così nel 1563 una confraternita chiamata “Santa Maria Monte de Poveri” che, dopo aver vagliato le storie dei carcerati per insolvenza, fa uscire di prigione molti padri di famiglia colpevoli solo di vivere nell’indigenza.
Nel 1599 la confraternita si fonde con un’altra associazione, intitolata al SS. Nome di Dio, creata per fini caritatevoli verso“carcerati e poveri vergognosi”, e prende il nome di “Sacro Monte de Poveri del nome de Dio”. Oltre a dedicarsi alla salvezza dei carcerati per debiti, il Sacro Monte si preoccupa di “riscattare gli schiavi dai barbareschi” e di “dotare fanciulle povere e oneste ancorchè abbiano sorte di maritarsi”.
In pochi anni il Monte guadagna la fiducia di molte famiglie patrizie che ne alimentano l’attività con donazioni e prestiti senza interesse e, nel 1632, con assenso Regio, il Monte assume la nuova denominazione di Banco e Monte dei Poveri.
L’evoluzione in Banco e Monte dei Poveri
Le vicende che hanno portato, prima alla creazione dei Monti e dei Banchi napoletani e poi del Banco di Napoli e delle sue fedi di credito, ci mostrano come il legame tra denaro e egoismo non sia così vincolante come talvolta saremmo portati a credere.
E non solo i Monti e Banchi degli Antichi Stati sono nati per scopi umanitari, ma all’origine della diffusione di gran parte dei moderni Istituti di credito troviamo, più che l’intento del lucro, l’intenzione di venire incontro ai bisogni della popolazione, come emerge dalla storia delle origini delle Casse di Risparmio, delle Banche Popolari e delle Casse Rurali.
Antiche fedi di credito nelle collezioni italiane
La Banca d’Italia possiede nella sue prestigiose collezioni di cartamoneta una inedita fede di deposito, emessa nel 1615 dal Sacro Monte de Poveri nel Nome di Dio che, per quanto ci risultava, era la più antica di questo monte giunta sino a noi.
Considerando che, allo stato attuale delle ricerche, nemmeno nel patrimonio dell’Archivio Storico del Banco di Napoli – ricco di circa 250 milioni di documenti che rappresentano il principale punto di riferimento per l’approfondimento della storia economica dell’intero Mezzogiorno – era presente una fede del Banco de Poveri così antica che fu esposta nella mostra dedicata alle emissioni del Banco di Napoli a Vicenza Numismatica 2006.
Dopo la mostra di Vicenza, uno studioso della circolazione monetaria cartacea, ci ha informato che in una prestigiosa collezione privata erano conservate due fedi emesse dalla stesso Monte dei Poveri, ambedue più antiche di quella in mostra a Vicenza. La più antica, risalente al 1613, è stata acquisita dalla Banca che la esporrà nel proprio museo di Palazzo Koch in Roma.
Al fine di valutare la difficoltà di rinvenimento di fedi degli antichi Monti di Napoli, è opportuno sottolineare come, una volta rimborsate, queste venissero annullate e conservate negli archivi dei Monti emittenti.
Nel 1620 un incendio distrusse quasi completamente Palazzo Ricca, in cui aveva sede il Monte dei Poveri. Per questo motivo nessun reperto precedente a tale data è conservato negli attuali archivi del Banco di Napoli.
Ricordiamo anche che, le fedi di credito mantennero la convertibilità – e non caddero quindi in prescrizione – sino alla fine del 1794, anno cui, come sappiamo, il Banco Nazionale di Napoli incorporò i sette Monti fondati nel XVI secolo, e quindi solo le fedi non presentate all’incasso, ossia non esitate dagli intestatari o dai legittime eredi, potrebbero essere oggi eventualmente rinvenute in collezioni private.
Cosa sono le fedi di credito?
Vale la pena di dedicare qualche riga alla fede di credito, per quasi cinque secoli il mezzo di pagamento più utilizzato nelle transazioni commerciali e finanziarie dell’intero Mezzogiorno.
A partire dal 1572, oltre a svolgere funzioni di agenzia di mutui su pegni e beneficenza, i Monti vennero autorizzati a accettare anche il deposito di denaro, per il quale rilasciavano una fede di deposito.
In sostanza, era una ricevuta di versamento, che però, oltre a attestare l’esistenza del denaro nelle casse del Monte, ne consentiva anche il rimborso. La fede di credito, è una derivazione della fede di deposito ma, a differenza di questa ultima, veniva manoscritta su un doppio foglio, su cui era possibile annotare anche i successivi versamenti e prelevamenti, sia a favore proprio che di terzi. Diremmo oggi, un vero e proprio libretto di risparmio, e quindi un titolo di credito negoziabile e girabile, oltre che convertibile in moneta sonante presso il Monte emittente.
Dato che all’epoca non esistevano i biglietti di banca, ben presto le fedi vennero utilizzate come sostituto, o surrogato, della moneta metallica e, come tali, circolanti quali titoli fiduciari. Fiducia, però, ben riposta, sia perché i Monti selezionavano i depositanti affinché solo i galantuomini avevano accesso alle fedi sia per le rigide norme che ne regolavano l’emissione. Come afferma il Filangeri: “la circolazione cartacea era pienamente garantita dal ferreo principio, che i banchi napoletani sempre mantennero, che la fede di credito non potesse esistere se non vi fosse il corrispettivo in moneta metallica; principio in base al quale non concepivasi l’emissione di fedi a vuoto se non come delitto”.
Già nel 1580 l’autorizzazione all’emissione delle fedi venne limitata a quattro banchi pubblici assolutamente affidabili, per cui questo titolo di credito conquistò la piena fiducia della popolazione. Nel 1584, il viceré Don Pietro Giron ne ufficializzò il corso, stabilendo che le fedi di credito sarebbero state accettate come denaro sonante dai Cancellieri dei Tribunali e dalle casse dello Stato.
Anche a seguito di questa disposizione presso le popolazioni del napoletano si diffuse progressivamente l’abitudine ad utilizzare le fedi come strumento di pagamento alternativo alla moneta metallica.
Le fedi si diffusero in maniera imponente e l’abate Galiani, nel suo trattato Della Moneta del 1751 ne valutò la circolazione in circa tre milioni di ducati d’oro, somma enorme per l’epoca.
Nonostante le rivoluzioni, le occupazioni, i cambiamenti di regime e di governo e i molteplici travagliati avvenimenti che coinvolsero le province napoletane, le fedi vennero sempre onorate e continuarono a godere il favore del popolo, al punto che, come recitava un vecchio detto, i napoletani sapevano di poter contare solo su due cose: la fede in San Gennaro e le fedi di credito.
Dagli antichi Monti e Banchi all’origine del Banco di Napoli
Torniamo ora agli antichi Monti e Banchi, per esporre le complesse trasformazioni attraverso cui si giunse alla creazione del Banco di Napoli.
Nel 1794 Ferdinando VI di Borbone, al fine di esercitare un controllo amministrativo sui sette principali Istituti di credito li riunisce nel Banco Nazionale di Napoli.
Nel 1806, dopo l’invasione napoleonica, Giuseppe Bonaparte sopprime i banchi del Popolo e del Salvatore, e unifica nel Banco dei Privati i banchi della Pietà, dei Poveri, di Sant’Eligio e dello Spirito Santo, affidando il servizio di Tesoreria al Banco di San Giacomo e Vittoria sotto il nome di Banco di Corte.
Nel 1808 Giacchino Murat chiude il Banco dei Privati, la cui operatività è assorbita dal Banco di Corte, e istituisce il Banco Nazionale delle Due Sicilie che, nel 1909 fonde con il Banco di Corte, al fine di creare il Banco delle Due Sicilie; da quest’ultimo si arriva finalmente all’istituzione del Banco di Napoli.
Arriva finalmente, nel 1866, il diritto di stampare moneta
Abbiamo già indicato nel 9 gennaio del 1862 la data in cui il neonato Regno d’Italia ufficializzò la nascita del moderno Banco di Napoli, ma solo nel 1866 – dopo che l’amministrazione del nuovo Regno aveva constatato l’impossibilità di riservare alla Banca Nazionale l’esclusiva della creazione di banconote – questo ottenne il privilegio dell’emissione.
Occorre però ricordare che, anche senza la qualifica di Istituti di emissione, sia gli antichi Monti e Banchi partenopei sia il nuovo Banco di Napoli non avevano mai smesso di emettere le fedi, che svolgevano funzioni monetali.
In considerazione della tradizionale affezione del popolo alle fedi, il Banco di Napoli dopo l’autorizzazione del 1866, a differenza di altre banche che emettevano biglietti di banca o buoni di cassa, pose in circolazione biglietti denominati fedi di credito, su cui era riportata la vecchia formula “Il Banco di Napoli tiene creditore il Cassiere Maggiore per l’importo di lire…”.
L’emissione delle prime fedi avvenne in un periodo particolarmente critico per la circolazione monetaria perché, negli anni successivi alla costituzione del nuovo Regno, in tutta la Penisola si verificò una progressiva carenza di moneta divisionale, in particolare di quella d’argento. Presto, la mancanza di monete divenne così grave da rendere impraticabili le attività commerciali e, per supplirvi, esplose il fenomeno della circolazione abusiva.
La proliferazione degli istituti di emissione
Nel giro di pochi anni, approfittando dell’emergenza, oltre un migliaio di emittenti, tra cui istituzioni, aziende, ma anche privati, misero in circolazione biglietti di piccolo taglio per l’enorme valore di oltre 40 milioni dell’epoca, molti dei quali non vennero mai rimborsati.
Il fenomeno dei biglietti abusivi rimase però confinato nel Centro-Nord dell’Italia perché, nel Mezzogiorno, la situazione venne sanata dalle fedi di piccolo taglio emesse in grande quantità dai Banchi di Napoli e Sicilia.
Per mettere in circolazione un numero sufficiente di fedi di piccolo taglio, il Banco di Napoli rinunciò alla più profittevole emissione dei valori alti, mostrando ancora una volta di aver a cuore, non solo il proprio interesse, ma anche quello della popolazione.
Nella saggia convinzione che spesso l’immagine fa aggio sulla sostanza, il Banco di Napoli decise di produrre biglietti di elevato gusto estetico.
Tuttavia, non esistevano allora in Italia aziende specializzate nella fabbricazione di banconote, e il Banco affidò l’incisione delle lastre da stampa ad una tra le più qualificate ditte dell’epoca, la Bradbury Wilkinson & Co. di Londra. Con il risultato di mettere in circolazione biglietti assai più belli di quelli emessi dalla Banca Nazionale nel Regno d’Italia, capofila delle autorità emittenti della Penisola.
Leonardo, Galileoe i “cavallini” sulle fedi di credito
Possiamo chiederci: come mai su molte fedi appare l’immagine dei cavalli? Nella seconda metà del Quattrocento, Napoli era governata da Ferdinando I d’Aragona, il quale nel 1472 fece coniare una moneta sul cui rovescio era effigiato uno splendido cavallo andante a destra.
Il popolo chiamò questa moneta “cavallo” e, nei secoli successivi, molti altri sovrani fecero battere monete con questo nome, sino all’ultima emissione da tre cavalli del 1804. Nel rispetto della tradizione numismatica, il cavallo è raffigurato su numerose fedi di credito.
Le emissioni cosiddette “consorziali”
Nel 1874, a seguito della creazione del Consorzio delle banche di emissione, il Banco di Napoli entrò a farne parte, e venne quindi autorizzato a emettere banconote che, seppure fossero apparentemente cambiabili a vista al portatore e fruissero del privilegio del corso forzoso, non erano cambiabili in monete d’oro e d’argento, ed erano quindi, nella sostanza, inconvertibili.
Come è noto, l’acquisizione della fiducia richiede tempi lunghi. Le popolazioni meridionali mostrarono di non gradire l’iniziativa del Consorzio, principalmente per la scarsa fiducia nell’amministrazione del neonato e ancora non consolidato Regno d’Italia, mentre restava solida la fiducia nel Banco di Napoli e soprattutto nei suoi antichi strumenti finanziari.
Le nuove banconote emesse dalla banche del Consorzio venivano scambiate in Italia con aggio negativo che arrivò al 15%, con la sola eccezione di quelle del Banco di Napoli che circolavano nel Meridione ove subirono un 5% di aggio massimo.
Sotto la pressante richiesta dei depositanti che, al momento del versamento di monete pretendevano, non le banconote inconvertibili, ma le fedi di credito, il Banco di Napoli decise di continuare a rilasciare le fedi parallelamente alle banconote.
L’epiologodi una storia lunga quattro secoli
La legge del 1926 tolse definitivamente al Banco di Napoli il privilegio della emissione di banconote, ma lasciò immutata la facoltà di rilasciare fedi di credito, che le popolazioni napoletane, tradizionalmente affezionate a questo strumento finanziario, continuarono a richiedere addirittura fino all’avvento dell’euro, nel 2002, quando il glorioso quanto antico Banco, venne assorbito dall’Istituto Sanpaolo-Imi.
In base alla documentazione in nostro possesso, le ultime fedi di credito su moduli del Banco di Napoli vennero emesse, come souvenir e per l’importo di pochi euro, a favore di alcuni dipendenti della filiale di Caserta il 30 maggio 2003.