Nel suo progetto di gestione dell’Impero, sebbene ai margini della dinastia, Costantino coinvolse due nipoti che solo le monete ci ricordano ancora
di Francesco Billi | Come ben noto ai numismatici, Costantino il Grande regnò per oltre trent’anni (306-337 d.C.): un record che lo consacrò come vero e proprio rifondatore dell’Impero, equiparabile solamente al primo augusto Ottaviano.
Ovviamente, cavalcando la scena romana per un periodo così lungo, gli affari e i legami interni alla famiglia costantiniana finirono per coincidere, o per entrare in attrito, con quelli statali.
Ciò fu soprattutto vero a partire dal 324 d.C. e cioè dal momento in cui Costantino, sconfiggendo a Crisopoli il rivale Licinio, rimase dominatore incontrastato di Roma, superando in senso assolutistico il modello tetrarchico di Diocleziano.
Un modello che, come noto, prevedeva la spartizione dei territori fra quattro regnanti, due augusti e due cesari, non imparentati fra loro.
Potere all’augusto e alla sua famiglia
In verità, il progetto costantiniano non abbandonò drasticamente l’idea di un potere gestito in modo collegiale, pur con la sostanziale differenza che ogni incarico di rilievo sarebbe stato affidato a un membro della sua famiglia secondo un ordine gerarchico.
Così, caduto in disgrazia il figlio di primo letto Crispo, giustiziato per oscuri motivi nel 327 d.C. circa, gli anni 330 d.C. definirono il seguente assetto dinastico: Costantino II, Costanzo II e Costante (l’ultimo ad essere aggiunto, nel 333 d.C.).
Tutti figli di Costantino I e Fausta, divennero i cesari designati a rappresentare, in quest’ordine d’importanza, la nuova tetrarchia familiare posta sotto l’egida “dell’augusto padre”.
Nel 335 il sistema di potere arrivò ad includere anche i nipoti di Costantino I, Dalmazio e Annibaliano, figli del suo fratellastro.
Dalmazio e Annibaliano, ai margini della dinastia
In posizione subordinata rispetto agli altri cesari, i due ricevettero incarichi “particolari”: al cesare Dalmazio, secondo alcune fonti (Anonimo Valesiano I, 6, 35), venne affidato ad esempio il solo controllo della Ripa Gothica.
Annibaliano, per parte sua, si attestò difesa del confine sull’Eufrate, senza essere nominato cesare, bensì Rex Regum (“re dei re”) e re del Ponto.
Questa nomina rappresentava, verosimilmente, solo un espediente formale per garantire al nipote un rango politicamente adeguato a gestire i rapporti con il regno persiano, il cui sovrano vantava il medesimo titolo.
E’ inoltre probabile che Annibaliano fosse coinvolto nei preparativi della grande campagna militare di conquista dell’oriente, fortemente voluta da Costantino I per ripercorrere le imprese di Alessandro Magno.
La morte di Costantino il Grande nel 337 d.C., tuttavia, pose fine ai progetti espansionistici romani e le faide interne alla dinastia presero il sopravvento. A pochissimi anni dalle nomine, Dalmazio e Annibaliano furono tra i primi ad essere assassinati su mandato degli altri membri del collegio imperiale.
I due sfortunati nipoti di Costantino I hanno tuttavia lasciato la loro traccia nella numismatica romana.
Dalmazio nella numismatica
La figura di Dalmazio si identifica per i numismatici in alcuni medaglioni aurei del 335 d.C. dedicati alla progenie costantiniana e coniati nelle zecche di Costantinopoli e Tessalonica (RIC VII, 89 e RIC VII, 204).
In entrambi i casi l’abbigliamento e gli attributi dei personaggi confermano la differenziazione di rango fra Dalmazio stesso, che semplicemente regge lo scudo o le aste, e gli altri cesari anziani, figli naturali dell’augusto, in abiti militari e armati di tutto punto.
Dal 333 al 335 d.C. Dalmazio coniò anche follis con al dritto il ritratto del nobile cesare laureato e loricato, e al rovescio il tipo Gloria Exercitus tipico del periodo, raffigurante due soldati armati ai lati delle insegne militari.
Annibaliano nella numismatica
Più originale l’approccio alla monetazione in nome di Annibaliano, coniata solamente a Costantinopoli – altra conferma del suo essere ai margini della dinastia e del potere – e mai posta in relazione con gli altri cesari, quasi come si trattasse di un “re vassallo”.
Tali emissioni, prodotte in argento e in rame, raffiguravano al dritto il ritratto di Annibaliano a capo scoperto e in armatura, mentre al rovescio, alla legenda Securitas Publice, venne abbinata la suggestiva personificazione dell’Eufrate semidisteso, con in mano uno scettro. La presenza nel campo di un giunco e dall’anfora rovesciata completa la caratterizzazione della divinità fluviale, poetica iconografia numismatica tardo imperiale a perenne memoria di un personaggio storico sfortunato.