Le interpretazioni di due artisti del bulino per un soggetto antico e usato, nei due casi, per propaganda demografica e come allegoria della Carità
di Roberto Ganganelli | Quando il capo del governo Benito Mussolini, fra il 1935 e il 1936, mise il suo “visto” e approvò i bozzetti definitivi di Giuseppe Romagnoli per la serie Impero, la monetazione destinata a celebrare l’apoteosi del regime, non avrebbe mai immaginato che uno dei soggetti da lui scelti sarebbe ‘sopravvissuto’, per merito un pontefice e di un altro artista, sulle monete vaticane e ben oltre il crollo del fascismo e della monarchia.
Certo, quella figura materna circondata da bambini che appare sulle 5 lire italiane in argento e quella che, invece, troverà spazio sia sui tagli da 5 e 10 lire (in argento, poi in italma) che su quello in oro da 100 lire del Vaticano sono diverse, ma è evidente come entrambe rappresentino declinazioni di una stessa simbologia, tanto da apparire quasi identiche.
La prima versione, quella “sabauda”, viene prodotta in argento 835 dal 1936 al 1941 ma solo le prime due date circolano effettivamente. Le monete dal 1938 in poi, infatti, vengono coniate in soli 20 esemplari per anno, destinate ai numismatici, mentre quella del 1940 è moneta non emessa. Al peso di 5 grammi per 23 millimetri di diametro, queste 5 lire mostrano al dritto il ritratto di Vittorio Emanuele II e al rovescio un’allegoria di quella fecondità delle madri italiane tanto propagandata dal regime: sono ben quattro, infatti, i figlioletti che “adornano” la figura femminile.
Il soggetto di Romagnoli viene in seguito ripensato dal Mistruzzi su incarico di papa Pio XII che, in piena Seconda guerra mondiale, lo sceglie per tre tagli della nuova serie emessa a partire dal 1942: sulle 5 e 10 lire in argento (mm 23 per g 5 e mm 27 per g 10, entrambe a 835 millesimi di fino), quella madre con bambini assume i contorni della Carità, quanto mai attuale in un mondo dilaniato dal conflitto armato e dalla miseria.
I bambini passano da quattro a tre, il volto della madre è assai meno marziale e più benevolo e, secondo l’iconografica cristiana, ha il capo ornato di una fiammella accesa. Lo stesso soggetto viene impresso anche sulle prestigiose e rare 100 lire in oro fino all’anno 1949. Queste monete, coniate sempre in appena mille esemplari per anno (solo nel 1942 in duemila e nel 1948 in tremila) a causa del diametro ridotto (mm 20,7) presentano un volto a destra di papa Pacelli in luogo del mezzo busto a sinistra dei tagli in argento.
Dietro le “madri” modellate da Romangoli e Mistruzzi c’è, in entrambi i casi, un forte richiamo ad iconografie più antiche, sia in termini di esempi pittorici che statuari e perfino medaglistici. Basti citare, per esempio, una creazione di Ottone Hamerani per papa Alessandro VIII, 1689-1691, realizzata in occasione dell’elezione al soglio pontificio, o il bel dipinto di Francesco de’ Rossi, risalente al XVI secolo, oggi alla Alte Pinakotek di Monaco.
Una simbologia universale e antichissima che, in moneta, se da un lato richiama una delle virtù cardinali del messaggio evangelico, nella 5 lire d’Italia riesce perfino a stemperare la retorica che pervade tutte le monete della serie Impero – dai 5 centesimi alle 100 lire – consegnando ai collezionisti del presente due piccoli, delicati capolavori.