Il ducato, il mezzo ducato, il tarì e il carlino, monete napoletane di propaganda negli anni della Guerra delle riunioni contro la Francia del Re Sole
di Roberto Ganganelli | È l’inizio degli anni Ottanta del Seicento la sete di potere di Luigi XIV, il Re Sole, non sembra avere limiti. Così, l’ambizioso sovrano inizia a guardare a nord est, in particolare ai ricchi Paesi Bassi, sbocco commerciale e marittimo di strategica importanza, che sono in mano ad uno dei nemici per eccellenza della Francia, la Spagna retta da Carlo II d’Asburgo.
Scoppia così quella che passerà alla storia come la Guerra delle riunioni (1683-1684) che vede Luigi XIV e le sue armate contrapporsi alla Spagna e al Sacro Romano Impero cui si unisce, come alleata, la Repubblica di Genova.
La Spagna dichiara guerra alla Francia il 26 ottobre 1683 e da quel momento al giugno seguente le forze spagnole nei Paesi Bassi sono costrette a cedere progressivamente terreno, fino a ritirarsi nei territori del Sacro Romano Impero dopo scontri sanguinosi.
Il Trattato di Ratisbona, il 15 agosto 1684, pone fine al conflitto e Luigi XIV ottiene, oltre a parte dei territori conquistati sul campo, anche la città di Strasburgo e il Lussemburgo rinunciando però alle città contese di Courtai e Dixmude.
In realtà, si tratta di una tregua che tuttavia durerà per un ventennio e che viene firmata nel convento domenicano di Ratisbona (in Baviera) tra Luigi XIV, l’imperatore Leopoldo I e il re di Spagna Carlo II, coinvolto in quanto sovrano dei Paesi Bassi spagnoli, che fanno parte del Sacro Romano Impero.
Mezzo ducato per Napoli e Sicilia, anno 1684 (argento, mm 35, g 14)
Lontano dai teatri di battaglia, il Regno di Napoli e di Sicilia è fra i tanti possedimenti di Carlo II, che regna già dal 1665 e che lo farà ancora fino al 1700. E proprio nei territori spagnoli del Meridione italiano viene coniata una magnifica moneta di propaganda, un mezzo ducato in argento che al dritto riporta un fine ritratto del re, drappeggiato e corazzato, con legenda CAROLVS II D G HISP E VTR SICIL REX.
Al rovescio, invece, una figura femminile siede sul globo terrestre, la penisola italiana in bella evidenza, e regge con la destra uno scudo con l’araldica del Regno e con la sinistra un ramo di palma. Il tutto al motto di RELIGIONE ET GLADIO (“Con la fede e con la spada”), in allusione alle armi – concrete e spirituali – con cui si sperava di vincere la guerra.
Ducato di Carlo II con lo scettro, la corona e i “due mondi” (argento, mm 42, g 28)
La moneta viene coniata solo nei due anni del conflitto – 1683 e 1684 – e rappresenta una delle più belle coniazioni napoletane del XVII secolo; si inserisce peraltro in modo mirabile in una serie di emissioni che comprende il ducato d’argento con i “due mondi”, lo scettro e la corona al motto di VNVS NON SVFFICIT ossia “Uno solo [di mondo] non basta” e il tarì con il globo sormontato da corona, fascio e cornucopia abbinato allo stemma e con con legenda HIS VICI ET REGNO (“con queste [le armi e il benessere della popolazione] ho vinco e regno”).
La Spagna e l’Italia in evidenza su questo tarì del 1684 (argento, mm 27, g 5,60)
Completa questa bellissima serie di tipologie in argento della zecca di Napoli il carlino sul quale, al classico ritratto del re, si abbina un leone accosciato a guardia dei simboli regi della corona e dello scettro, e al motto di MAIESTATE SECVRVS (“Sicuro nella [sua] maestà”).
Colpisce soprattutto, di queste monete napoletane, quella ricorrente presenza del globo terrestre, addirittura raffigurato da due diversi punti di vista sul ducato: una iconografia che mette in luce in modo esemplare la geopolitica della Spagna nel tardo Seicento e che mostra come questo paese fosse, all’epoca, ancora una superpotenza planetaria.
I simboli del potere e l’animale “regale” per eccellenza sul carlino (argento, mm 23, g 2,90)
Il ducato e il mezzo ducato, come accennato, vengono coniati solo nel biennio di guerra 1683-1684 mentre il tarì e il carlino avranno maggior fortuna, venendo battuti a Napoli anche per alcuni degli anni successivi; tutto questo, fino a che sulle monete napoletane in argento di Carlo II non si affermeranno, come iconografie standard, il ben più prosaico stemma coronato e il pendente del Toson d’oro.