In merito ai massimi nominali in argento della zecca siciliana di Messina, a pagina 166 del fondamentale libro di Rodolfo Spahr Le monete siciliane dagli Aragonesi ai Borboni (1282-1836), II edizione 1982, possiamo leggere: “Nel 1563 tutta la monetazione, per ordine del Vicerè Don Garcia de Toledo, subì un radicale mutamento: vennero introdotti lo scudo del valore di 10 tarì ed il mezzo scudo”.

Le copertine dei due importanti volumi di Rodolfo Spahr sulle monete siciliane

Coerentemente con ciò, alla pagina 180 il noto studioso avvia l’elencazione della Serie degli scudi e loro frazioni, partendo dalla descrizione delloScudo o Dieci Tarì, monete inizialmente recanti il profilo di Filippo II di Spagna rivolto a sinistra mentre, dal 1570, la testa di profilo del re diventa più grande e rivolta destra, e al rovescio la legenda PVBLICAE COMMODITATI articolata su più righe, entro circolo ingentilito da una corona di spighe di frumento.

massimi nominali in argento zecca di messina monete scudo tarì riforma oro valore numismaticaIn alto, reale (e non scudo) battuto a Messina per Filippo II di Spagna, 1565 (testa del re a sx.), 25,68 g. Valore nominale: 10 tarì; in basso, reale (e non scudo) battuto a Messina per Filippo II di Spagna, 1572 (testa del re più grande e a dx.), 26,39 g. Valore nominale: 10 tarì

Per entrambe queste monete Spahr indica, oltre al diametro, alcuni pesi, variabili tra un minimo di 25,70 grammi ed un massimo di 26,50 grammi. Dunque secondo Spahr lo “scudo” messinese battuto a nome di Filippo II di Spagna si spendeva per 10 tarì.

Dettaglio del busto bronzeo di Filippo II di Spagna opera di Leone Leoni, eccellente medaglista oltre che scultore (realizzazione 1554-1556)

Passiamo, adesso, alle pagine 192-193 del libro del noto studioso siculo-tedesco: sotto la sezione Scudo sono elencati i massimi nominali in argento battuti a Messina per Filippo III di Spagna, coi millesimi 1610, 1611 e 1612. Per essi sono indicati i pesi minimo e massimo rilevati: 31,47-31,60 grammi.

massimi nominali in argento zecca di messina monete scudo tarì riforma oro valore numismaticaA sinistra, ritratto equestre in armatura di Filippo III di Diego Velázquez (Museo del Prado, Madrid); a destra, scudo per Messina a nome di Filippo III, 1611, 31,66 g. Al R/ evidenti segni di slittamento del conio e le iniziali D C del Maestro di zecca Decio Cirino. Si spendeva per 12 tarì

A questo punto è evidente che, tra la seconda metà del XVI secolo e i primi anni del XVII secolo, in Sicilia la moneta che Spahr definisce come “scudo” ha subito un importante e non casuale aumento di peso: va fatta perciò chiarezza sui massimi nominali in argento di cui stiamo parlando. Se si trattasse della stessa tipologia di moneta, come ha pensato Spahr e come credono tanti altri cultori di numismatica siciliana moderna anche oggi, ciò significherebbe che in quel lasso di tempo l’argento subì un sensibile deprezzamento rispetto all’oro.

Passiamo dunque allo studio delle fonti e analizziamo, pertanto, le disposizioni ufficiali che hanno regolato all’epoca le emissioni di Filippo II e di Filippo III, in particolare i massimi nominali in argento per la zecca di Messina, unica officina monetaria a quel tempo attiva in Sicilia.

Scudo battuto a Messina per Filippo III, 31,52 g, millesimo 1612, di elevata rarità. Al R/ le iniziali I P del Maestro di zecca Giovanni del Pozzo. Valore nominale 12 tarì. Esemplare in ottimo stato e ben centrato

Stando alle informazioni tramandate da Antonino Della Rovere nel XVIII secolo e da Vincenzo Ruffo nel Novecento, si possono fare con sicurezza le seguenti considerazioni:

  • dal 1547, ovvero dalla riforma monetaria del vicerè di Sicilia Giovanni De Vega, fino al 1609 si registrano nell’isola tre riforme monetarie (tutte pianificate nell’intento di risolvere la perenne crisi di circolante che ha attanagliato la Sicilia attraverso i secoli), ovvero quella dell’anno 1565 ad opera del vicerè Duca di Medinaceli, quella dell’anno 1586 voluta dal vicerè Duca di Albadelista e quella dell’anno 1609 del vicerè Marchese di Vigliena;
  • le quattro riforme monetarie appena menzionate adottarono sempre, per la monetazione argentea, un peso legale del tarì pari a 2,64 grammi, variando esclusivamente il titolo della lega d’argento delle monete (riforma del 1547: titolo argento 10 once e 3 sterlini per libbra, pari a 845,83 millesimi; riforma del 1565: titolo di 11 once per libbra, pari a 916,67 millesimi; riforma del 1586: titolo di 10 once e 1,5 sterlini per libbra, pari a 839,58 millesimi; riforma del 1609: si ritorna al piede monetario voluto dal vicerè De Vega nel 1547, con un titolo di 845,83 millesimi).

Sul presupposto che il peso legale del tarì d’argento al prescritto titolo, dal 1547 al 1609, rimase sempre fisso e pari a 2,64 grammi, come si spiega che massimi nominali in argento per Messina battuti a nome di Filippo II si appellino “scudi”, abbiano un peso che si avvicina a 26,4 grammi e che, dunque, abbiano valore nominale di 10 tarì, e che i massimali argentei messinesi a nome di Filippo III si continuino ad appellare “scudi” pur avendo un peso che si avvicina a 31,68 grammi e, dunque, un valore nominale di 12 tarì (31,68/2,64 = 12)?

massimi nominali in argento zecca di messina monete scudo tarì riforma oro valore numismaticaCalcografia della città di Messina di Pierre Mortier (Amsterdam, 1704). E’ riproposta un’immagine anacronistica, in quanto è assente la Cittadella sul braccio di San Raineri, costruita dopo la rivolta antispagnola del 1674.

E’ evidente che i due massimi nominali in argento in argomento abbiano avuto all’epoca un valore nominale diverso, l’uno pari a 10 tarì, peraltro coerentemente con quanto affermato da Spahr, l’altro invece da 12 tarì: ne discende che non possono entrambe essere appellate “scudo”.

Per rendersi conto delle imprecisioni che imperano su queste monete siciliane è sufficiente cercare su internet le descrizioni adottate per esse sui cataloghi d’asta e dai diversi rivenditori professionisti, anche molto rinomati nel contesto commerciale numismatico nazionale ed internazionale.

Questo apparente enigma si può risolvere agevolmente, tuttavia, studiando la storia delle monete siciliane battute nella zecca di Messina. Il giusto metodo è sempre lo stesso: si devono studiare i documenti coevi.

Reale d’oro di Sicilia, battuto a Messina a partire dal 1466 per Giovanni II d’Aragona, 3,40 g. Valore nominale: 10 tarì

Da essi risulta che la prima moneta siciliana battuta in riva allo Stretto, da spendersi per 10 tarì, è stato il pezzo d’oro di cui all’ordinanza del vicerè Lope Ximen Durrea del 27 gennaio 1466. Questa moneta d’oro doveva avere un titolo (definito “tenuta” nell’ordinanza) pari a 24 carati, analogamente al ducato di Venezia e si dovevano ricavare da ogni libbra d’oro al prescritto titolo monete 80 e 4/9 (il che significa che il peso legale di ogni pezzo era pari a grammi 317,39/80,44 = 3,90 grammi circa). Queste monete si dovevano chiamare, riportando testualmente,reali de oro de Sicilia”.

Allo stesso modo, è facilmente verificabile che la prima moneta siciliana, coniata come sempre nella zecca peloritana, avente un nominale di 12 tarì, è ancora una volta un pezzo d’oro, questa volta al titolo di 22 carati sulla base delle istruzioni dettate del vicerè Ferdinando Gonzaga con ordinanza del 25 luglio 1541: da ogni libbra d’oro al prescritto titolo si dovevano ottenere monete 94 e 13/24 (peso legale di ogni moneta, grammi 317,39/94,54 = 3,35 grammi circa), che dovevano appellarsi “scudi”.

massimi nominali in argento zecca di messina monete scudo tarì riforma oro valore numismaticaScudo aureo battuto a Messina per Carlo V d’Asburgo nel 1542, 3,33 g. Si spendeva per 12 tarì

Queste informazioni, oltre a certificare che dal 1466 al 1541 il valore commerciale del biondo metallo in Sicilia era nettamente aumentato (nel 1466 3,90 g d’oro monetato valevano 10 tarì, mentre 75 anni dopo 3,07 grammi valevano 12 tarì, con un apprezzamento del biondo metallo del 34,4% circa), ci consentono finalmente di fare chiarezza sui menzionati massimi nominali in argento battuti a Messina a nome dei re spagnoli Filippo II e Filippo III:

  • i massimali argentei battuti per Filippo II si spendevano per 10 tarì, dunque non potevano che appellarsi “reali”;
  • i massimali argentei battuti per Filippo III si spendevano per 12 tarì e non potevano che essere appellati “scudi”.

Ad ulteriore conferma, si legga il documento n. 41 reso noto da Vincenzo Ruffo in appendice al suo importante lavoro che vide luce negli anni 1913-1916 nell’Archivio Storico Siciliano. Trattasi di una fede degli ufficiali della zecca di Messina in cui si specifica come eseguire il saggio di tutte le monete da coniarsi in Sicilia, secondo le istruzioni vicereali del 4 giugno 1609.

Nel documento, ad un certo punto, si dice che, secondo esperienza, durante la fusione dei reali di bontà di once 11 si registrava un determinato calo nel titolo della lega d’argento: ora le monete argentee siciliane in circolazione alla data del 4 giugno 1609, aventi titolo di once 11 per libbra, non potevano che essere quelle battute a Messina, per Filippo II di Spagna, conformemente alla riforma monetaria dell’anno 1565, i cui pezzi di massimo valore erano, dunque, appellati reali.

Ad onor del vero il documento n. 41 del lavoro del Ruffo è importante anche per un altro motivo: rivela il nome dell’incisore che, nella zecca di Messina, lavorò i conii delle monete argentee battute negli anni 1610, 1611 e 1612, nome che, da quanto mi consta, risulta essere ignorato da tutta la letteratura numismatica posteriore al lavoro del Ruffo.

Nel menzionato documento, infatti, si legge che con mandato del 29 maggio 1610 è comunicato al “mastro di zecca”, tra le altre cose, che per volere del vicerè si dovevano pagare “onze 24 a Stefano Calliegoche fa i conii”. Un altro piccolo mistero numismatico ha trovato soluzione.

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Bibliografia essenziale
  • Vincenzo Ruffo, La Regia Zecca di Messina da documenti inediti, in Archivio Storico Siciliano, anni 1913-1916.
  • Benvenuto Cosentini, Un bando del 1609 per la moneta d’argento di Sicilia, in Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, Napoli 1920.
  • Carmelo Trasselli, Note per la storia dei banchi di Sicilia nel XV secolo, Parte I – Zecche e monete, Palermo 1959.
  • Antonino della Rovere, La crisi monetaria siciliana (1531-1802), a cura di Carmelo Trasselli, Salvatore Sciascia editore, Palermo 1964.
  • Rodolfo Spahr, Le monete siciliane dagli Aragonesi ai Borboni (1282-1836), I edizione Palermo 1959; II edizione Graz (Austria) 1982.
  • Lucia Travaini (a cura di), Le collezioni della Fondazione Banco di Sicilia.Le monete, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI) 2013.