Il grande astronomo Cassini e la città emiliana, negli anni in cui l’incisore lorenese portò la zecca ad un livello artistico mai più raggiunto
di Michele Chimienti | Alcuni anni fa, la NASA ha lanciato una sonda verso Saturno che è stata battezzata col nome “Cassini”. Anche a Bologna, in pochi ne conoscono il motivo eppure Gian Domenico Cassini, illustre scienziato, insegnò nell’ateneo del capoluogo emiliano e il suo nome rimase legato alla scoperta di alcuni satelliti di Saturno e alle ricerche sui famosi anelli del pianeta.
Per i numismatici e i collezionisti di medaglie, tuttavia, il nome Cassini significa anche qualcos’altro. Nel 1695, infatti, il Senato bolognese, volle dedicargli una medaglia e l’artista scelto per inciderla fu il lorenese Saint Urbain, giunto giovanetto dalla Francia e nominato incisore della zecca di Bologna nel 1692. Ma procediamo per ordine e vediamo prima chi era Gian Domenico Cassini.
Gian Domenico Cassini, un talento astronomico precoce
Nato il 6 giugno 1625 a Perinaldo, in Liguria, Cassini mostrò subito spiccato interesse per l’astronomia. A soli venticinque anni il Senato bolognese, su raccomandazione del marchese Cornelio Malvasia, lo chiamò a occupare la cattedra di astronomia. Il suo interesse principale riguardava il moto dei corpi celesti e la teoria eliocentrica che tante polemiche aveva suscitato negli scritti di Galileo nel 1632.
Erano passati pochissimi anni dalla famosa frase “Eppur si muove!” e Cassini, per approfondire le proprie ricerche, propose di rifare la meridiana che esisteva all’interno della chiesa di San Petronio ma che non era in grado di raggiungere la precisione da lui voluta. La nuova meridiana fu inaugurata nel 1655 e si rivelò uno strumento di eccezionale precisione che permise a Cassini di effettuare importanti scoperte.
Il suo prestigio crebbe grandemente e il Senato bolognese, affascinato dalle sue capacità, gli affidò importanti incarichi che andavano ben oltre l’astronomia. Fu associato al Marchese Tanari, come consulente tecnico presso il pontefice Alessandro VII per risolvere le dispute tra Bologna e Ferrara a causa delle frequenti inondazioni del Po. Per l’occasione studiò i problemi idraulici che riguardavano questo fiume e ne pubblicò le conclusioni scientifiche, chiarendo numerosi aspetti relativi alle difficoltà per la sua navigazione.
Per meglio illustrare le proprie conclusioni effettuò esperimenti alla presenza dei cardinali che componevano la Congregazione delle acque i quali rimasero stupiti dalla sua chiarezza e precisione. Il Senato bolognese gli affidò allora la soprintendenza delle Acque dello Stato. Si trattava di una carica importante perché buona parte della pianura bolognese era occupata da paludi formate dai fiumi che scendevano dall’Appennino e vi si disperdevano.
Per l’esperienza idrogeologica che il Cassini si era fatta, il pontefice lo inviò in Valdichiana per risolvere una questione insorta con il Granduca di Toscana a proposito del corso del fiume Chiana. Gli venne affidato anche l’incarico di sistemare Forte Urbano, la fortezza dello Stato Pontificio situata al confine orientale con Modena e in seguito di ispezionare la fortezza di Perugia e il ponte Felice sul fiume Tevere. Tutte le manifestazioni della natura lo affascinavano e la sua curiosità scientifica lo spinse ad eseguire osservazioni sugli insetti e ad effettuare esperimenti sulle trasfusioni di sangue.
La stima del pontefice giunse al punto di offrirgli delle condizioni vantaggiosissime se avesse voluto abbracciare la carriera ecclesiastica, ma Cassini oppose un netto rifiuto non sentendone la vocazione.
La sua fama divenne internazionale e, ogni volta che passava da Firenze nei suoi viaggi da Bologna a Roma, il Granduca di Toscana faceva riunire l’Accademia del Cimento per avere i suoi pareri. Nel 1666 Luigi XIV chiese al pontefice il permesso per il suo trasferimento a Parigi dove avrebbe fondato e diretto un Istituto Astronomico e una nuova grande Accademia.
Naturalmente, né il papa né il Senato di Bologna avevano intenzione di perdere un personaggio di quella statura e le pratiche diplomatiche andarono per le lunghe. Solo nel 1669 Cassini si recò a Parigi, col patto di rimanere in Francia solo per alcuni anni. Con questa convinzione gli furono conservati gli emolumenti delle cariche che ricopriva. L’esperienza francese, tuttavia, si rivelò troppo importante, sia dal punto di vista scientifico che da quello affettivo, dato che si sposò con una donna francese e così non tornò più indietro.
Nel 1700 ebbe la possibilità di prolungare, a sud di Parigi, la triangolazione per il meridiano di Francia che in seguito fu ulteriormente prolungata da altri ricercatori e, un secolo dopo, servì a definire il sistema metrico decimale.
Se Cassini non venne più in Italia per lavorare, dopo trent’anni vi tornò come “turista” per rivedere i luoghi della gioventù. A Bologna rivide anche la sua meridiana di San Petronio che aveva già bisogno di qualche restauro. Tornato in Francia, vi morì il 14 settembre del 1712.
A Parigi i suoi discendenti diedero luogo ad una vera e propria dinastia di astronomi posti a capo dell’Osservatorio di Parigi. Dopo Giandomenico toccò al figlio Giacomo, poi al nipote Cesare Francesco ed infine al figlio di questo che portava il nome dell’illustre avo, Gian Domenico, e che chiuse la dinastia morendo nel 1845.
Dall’ammirazione dei bolognesi, una medaglia del giovane Saint Urbain
I bolognesi rimasero delusi del fatto che Cassini non tornò più nella loro città, ma ciò non diminuì la stima che gli portavano. Infatti, nel 1695 gli dedicarono una medaglia che raffigurava lo scienziato e la sua meridiana e la fecero incidere dal miglior incisore che abbia lavorato per la zecca di Bologna nel XVII-XVIII secolo: Ferdinand di Saint Urbain.
Il Saint Urbain nacque a Nancy nel 1658 ma se ne allontanò giovanissimo e giunse a Bologna nel 1673, quindicenne. Da allora il suo legame con la città fu sempre molto forte, nonostante l’attrazione esercitata dallo splendore e dalla corte di Roma. Ma anche i bolognesi ebbero sempre grande ammirazione ed affetto per l’artista francese, che era però troppo grande per le scarse possibilità che la città emiliana gli poteva offrire.
Per i bolognesi la sua figura divenne quasi un mito avvolto in un’atmosfera da leggenda. Da molti anni, dai tempi dei Carracci e Guido Reni, la città non aveva avuto un artista di tale livello, ma proprio la grande tradizione pittorica faceva passare in secondo piano tutte le altre manifestazioni artistiche, comprese l’incisione e la scultura.
A proposito dei legami affettivi tra la città ed il Saint Urbain esiste, presso la biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, un divertente manoscritto settecentesco che racconta in stile un po’ romanzato come il ragazzo si fosse incontrato con il Marchese Ludovico Albergati che lo prese sotto la sua protezione.
A Bologna, il giovane Ferdinand iniziò un tirocinio di disegno sotto la guida di Emilio Taruffi ma, con delusione del suo protettore, non mostrò eccessiva attitudine alla pittura. Lo stesso Taruffi consigliò di educarlo piuttosto alla scultura, ma la grande passione del Saint Urbain era l’incisione. Peccato che a Bologna, in questo campo, non vi fosse nessun grande maestro tanto che, nel 1683, il giovane dovette recarsi a Roma per maturare artisticamente e trovare la propria strada. Tornò a Bologna solo nel 1692, in tempo essere nominato incisore della zecca, dato che Cristoforo Todeschi, il vecchio incisore, era ammalato e si cercava una sostituzione provvisoria.
Così, il 24 luglio 1692, Ferdinand di Saint Urbain ebbe l’incarico provvisorio da parte degli Assunti di Zecca con parere unanime (Le Assunterie erano, in pratica, i ministeri del Senato bolognese; erano composte da cinque senatori, eletti annualmente e chiamati Assunti; quella di Zecca si occupava degli affari monetari e poteva eleggere le principali figure che lavoravano nell’officina monetaria).
Dopo nemmeno tre mesi dalla nomina, tuttavia, anche il Saint Urbain si ammalò in modo piuttosto serio al punto di non poter lavorare. Poiché il Todeschi non si era ancora ripreso, si decise di mettere definitivamente a concorso il posto di maestro dei coni. Le uniche domande presentate furono quelle del Saint Urbain e del vecchio Todeschi che, nel frattempo, erano guariti entrambi. A favore del Saint Urbain c’era il nuovo fonte battesimale per la cattedrale di San Pietro che stava scolpendo e di cui tutti erano entusiasti.
Anno 1693: l’incisore francese diventa “maestro dei coni”
Così il 25 febbraio 1693 il Senato bolognese scelse il Saint Urbain che nel breve periodo in cui aveva lavorato per la zecca aveva allestito dei coni di ottima fattura. Lo stipendio era di 250 lire annue pagate in due rate semestrali; la sua fideiussione, indispensabile per chi ricopriva importanti cariche in zecca, venne garantita per una cifra di 100 scudi dall’orefice Girolamo Bevilacqua che dopo pochi anni fu nominato zecchiere.
Il Saint Urbain era un artista di troppo valore per fermarsi a lungo in una zecca piccola come quella bolognese. Nel 1696 inviò a Roma alcuni campioni della sua arte, una piastra ed una mezza piastra di tipo romano oltre ad una medaglia raffigurante il pontefice che piacquero molto per cui fu chiamato ad operare in quella zecca.
Il suo comportamento non fu molto corretto nei confronti del Senato bolognese in quanto sparì improvvisamente e fu l’ambasciatore bolognese nella capitale a scrivere agli Assunti avvisandoli che il loro maestro dei coni lavorava nella zecca di Roma. Gli Assunti risposero di essere felici che facesse la carriera che si meritava, ma erano dispiaciuti che si fosse allontanato senza chiedere il dovuto permesso.
Sospettando che il loro incisore non sarebbe più ritornato, il 24 luglio gli Assunti di zecca elessero Bartolomeo Galli come suo sostituto. Ma dopo pochi giorni il Saint Urbain era nuovamente a Bologna, mandatovi da monsignor Farsetti, presidente della zecca di Roma, per finire il fonte battesimale che aveva lasciato incompiuto nella cattedrale di San Pietro.
Il 18 agosto 1696 si presentò chiedendo di essere reintegrato nel suo ufficio e gli Assunti dapprima furono ben lieti di accontentarlo, ma si resero conto che il Saint Urbain temporeggiava in attesa di essere richiamato a Roma. In effetti l’anno seguente fu chiamato definitivamente a Roma ed in dicembre fu nominato il nuovo incisore della zecca bolognese.
Nonostante il suo comportamento poco corretto, l’artista venne perdonato, tanto che nel febbraio del 1702 gli Assunti di Zecca cercarono di far eseguire a Roma i coni per una lira da 20 soldi e per una madonnina da 6. Evidentemente non erano soddisfatti dell’opera di Tommaso Bajard, un altro francese che aveva sostituito il Saint Urbain come incisore della zecca. Gli Assunti scrissero all’ambasciatore a Roma perché trovasse nella capitale un artista di valore aggiungendo che avrebbero preferito il Saint Urbain.
L’ambasciatore riuscì ad accontentarli e scrisse a Bologna che i coni erano già pronti. Gli Assunti rimasero molto soddisfatti dei coni ed inviarono a Roma l’importo richiesto di 10 scudi e 50 baiocchi. I coni delle lire vennero utilizzati il 25 novembre ed oltre a quelli del Saint Urbain fu battuto un migliaio di lire con dei coni preparati dal Bajard. Inutile dire che questi ultimi sfigurarono nel confronto.
Il legame affettivo che univa il Saint Urbain a Bologna, che era in pratica la sua patria adottiva, era forte, al punto che quando nel dicembre del 1702 venne indetto un nuovo concorso per incisore della zecca di Bologna, l’artista lorenese ripresentò la propria domanda.
Evidentemente la permanenza a Roma non lo soddisfaceva. A Bologna non venne, ma non restò nemmeno a Roma perché nel 1703 ritornò per sempre, dopo tanti anni, in Francia, in quella Nancy da cui era fuggito ragazzo.
La lira incisa dal Saint Urbain nel 1692 è di stile innovativo rispetto a quelle del Todeschi. Lo stemma del pontefice è decisamente più leggiadro ed elegante. Si sente già l’atmosfera del ’700, mentre gli altri anno ancora tutto il peso del barocco bolognese del ‘600. La lezione del Saint Urbain è acquisita solo in parte dagli incisori che lo hanno seguito nella zecca di Bologna. Anche rispetto al Bajard e al Lazari il disegno del suo stemma, sia per Innocenzo XII che per Clemente XI, è più slanciato e moderno. Purtroppo in queste monete mancano dei ritratti che avrebbero evidenziato meglio la differenza di stile. Questa si coglie molto meglio nelle medaglie eseguite dal Saint Urbain, assolutamente non paragonabili a quelle degli incisori bolognesi dell’epoca.