A Firenze si fonde moneta: un provvedimento senza precedenti per salvaguardare il prestigio del fiorino
a cura della redazione | Lo sapevate che nel 1380 la Repubblica di Firenze decise di ritirare e fondere quattrini per 2.000 fiorini ogni due mesi per ben otto anni?
Nel 1380 a Firenze si fonde moneta, perchè?
Lo scopo era di ridurre il valore del fiorino da 75 a 70 soldi. E poiché era impensabile – sia politicamente che economicamente – ridurre l’intrinseco del fiorino, si ricorse a questo eccezionale espediente. Dato che il corso del fiorino era di 75 soldi, la somma di 2.000 fiorini equivaleva a circa 450.000 quattrini.
Se, come si prevedeva, si fossero fusi 450.000 quattrini ogni due mesi per otto anni consecutivi si sarebbe avuta complessivamente la fusione di oltre 21 milioni di quattrini. L’operazione venne però sospesa bruscamente alla fine del 1381 quando erano già stati fusi 2 milioni e mezzo di quattrini.
La moneta fiorentina tra crisi e svalutazioni nel secondo ‘300
La moneta fiorentina venne svalutata solo due volte tra il 1315 e il 1380 per circa un 30% in riferimento ai grossi e ai quattrini, per un 40% in riferimento ai piccioli e solo per cause di natura puramente monetaria: la crisi dell’oro nel 1345-1347 e l’invasione della moneta pisana nel 1366-1371.
Svalutazione resa necessaria dal pesante debito pubblico che passò da 50.000 fiorini nel 1303 a 600.000 fiorini nel 1343, a 1.500.000 fiorini nel 1364 e a 3.000.000 di fiorini nel 1400.
Questo colossale aumento del debito pubblico fu dovuto in gran parte alle vicende politiche che attraversò Firenze e che ebbero rilevanti conseguenze economiche e finanziarie: le guerre contro i Visconti del 1351-1353 e del 1369-1370, la guerra contro Pisa che costò più di un milione di fiorini, la guerra contro il papa (1375-1378) che costò 2,5 milioni di fiorini senza contare i danni materiali provocati dall’interdetto papale e dalle lotte di fazione che a Firenze erano sempre all’ordine del giorno.
Il fiorino, simbolo intoccabile del prestigio della Repubblica
Ma se si guarda alla storia di Firenze limitandola ai documenti di zecca non ci si accorgerebbe di nulla. Il paradosso si spiega con il fatto che, contrariamente a quanto avviene oggi, nella Firenze del ‘300 lo Stato non si finanziava con la svalutazione della moneta, bensì il finanziamento avveniva attraverso la tassazione e il ricorso all’indebitamento pubblico.
Se la moneta veniva svalutata chi ci guadagnava nella differenza che si veniva a creare tra il valore nominale e il valore intrinseco, non era lo Stato ma erano i privati, ossia i grandi mercanti che trafficavano anche in metalli preziosi, i banchieri ed i cambiavalute in grado di rastrellare le vecchie monete in massa per portarle in zecca per la riconiazione.
E tuttavia i Fiorentini – che si distinguevano per la loro più accesa faziosità e gli eccessi più spinti – mostrarono sempre verso la loro moneta un ritegno ed una prudenza eccezionali, trovandosi tutti d’accordo nella sua difesa ad oltranza.
Firenze aveva goduto sempre in passato del prestigio della sua moneta e questo prestigio i Fiorentini volevano preservare e conservare anche in futuro. “Conveniens est quod civitas Florentina sicut olim precipue in monetis aureis et argenteis claruit ita etiam clareat in futurum”.