Su una delle massime rarità milanesi a nome di Filippo II appare sant’Ambrogio che sembra benedire gli eretici di cui fu acerrimo nemico, perché?
di Roberto Ganganelli | Ario, chi era costui? Fu un monaco e teologo vissuto fra il 256 e il 336 che diede vita ad una delle eresie più combattute dalla Chiesa cattolica, l’arianesimo per l’appunto. Una dottrina che i teologi definiscono “subordinazionista”, condannata già dal Primo concilio di Nicea (325) e che sostiene che il Figlio di Dio sia un essere che partecipa sì della natura del Padre, ma in modo inferiore e derivato e che, dunque, c’è stato un tempo in cui il Verbo di Dio ancora non esisteva e che sia stato creato da Dio all’inizio del tempo.
Poco dopo la morte di Ario, nel 339-340 nasce a Treviri colui che sarebbe diventato sant’Ambrogio, patrono di Milano nonché vescovo della città a partire dall’anno 374. Ambrogio si mostra fermo nella lotta all’arianesimo, che aveva trovato seguaci a Milano e nella corte imperiale. Si scontra per questo anche con l’imperatrice Giustina, di fede ariana, e rimane fermo anche nel momento di massima tensione, fra il 385 e il 386 quando gli ariani chiedono l’appoggio imperiale per ottenere una basilica dove praticare il loro culto.
L’opposizione di Ambrogio culmina nel famoso l’episodio in cui, assieme ai fedeli cattolici, “occupa” la basilica destinata agli ariani finché gli eretici non si vedono costretti ad abbandonare i loro intenti. Appare inoltre importante, per la vittoria di Ambrogio nella controversia con gli ariani, il ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e Protaso, avvenuto nel 386 e che accresce in modo enorme la “popolarità” del futuro santo fra gran parte dei fedeli milanesi.
Esaltato in dipinti, stampe e pubblicazioni devozionali, il ruolo di sant’Ambrogio come “fustigatore degli ariani” – quindi, degli eretici in generale – finisce anche in moneta, ad esempio nel bel grosso di Galeazzo Maria Sforza (1466-1476) sul cui rovescio il vescovo in piedi, staffile alla mano, respinge un gruppo di armati, o sul grosso da otto dello stesso Sforza su cui appare a cavallo.
Gli esempi potrebbero continuare ma in queste righe vogliamo soffermarci sul periodo in cui Milano era sotto la “cattolicissima” guida dell’imperatore Filippo II di Spagna (tra il 1556 e il 1598) a cui nome la zecca meneghina emette un mezzo scudo d’argento su cui il santo, per l’appunto, torna a fustigare gli eretici a terra.
Un’iconografia di grande irruenza, ma del resto ampiamente diffusa in relazione al santo fin dagli anni che seguono battaglia di Parabiago del 1339, lo scontro in cui le truppe milanesi di Azzone Visconti, guidate dallo zio Luchino, combattono contro le milizie guidate da Lodrisio, anch’egli zio di Azzone e pretendente al titolo di signore di Milano.
Narrano le cronache dell’epoca che sant’Ambrogio sarebbe apparso sul campo di battaglia emergendo da una grande nuvola bianca apparsa in cielo e che il patrono di Milano, a cavallo, vestito di bianco e brandendo infuriato uno staffile abbia iniziato niente meno che a frustare i soldati di Lodrisio.
Inutile dire che i malcapitati, terrorizzati dalla sacra apparizione, avrebbero smarrito ogni coraggio e che i milanesi, viceversa, incoraggiati dal miracolo, si sarebbero potuti avventare sui nemici sopraffacendoli in breve tempo.
Del mezzo scudo di Filippo II emesso alla fine del 1556 e poi, con peso ridotto, nel 1557, come risulta dai Libri delle uscite della zecca di Milano trascritti dall’Argelati – esiste una versione con il santo che, per l’appunto – anche se non a cavallo, ma seduto e con paramenti vescovili – solleva la destra con lo staffile terrorizzando gli ariani a terra. Di questa, a sua volta, sono note due varianti, con o senza rosetta dietro il busto di Filippo II.
Tuttavia, esiste una seconda versione del mezzo scudo d’argento in cui il patrono della città, curiosamente, sembra “benedire” gli eretici e, se per quanto riguarda i coni di dritto vi sono piccole differenze, ad esempio nel ritratto del sovrano, i due rovesci appaiono del tutto identici tranne, appunto, la presenza o meno dello staffile nella mano destra, sollevata, di Ambrogio.
Un incisore di zecca “eretico”? No, anche perchè l’autore di questi come di altri coni per le prime monete di Filippo II per Milano fu il grande Leone Leoni, che già aveva servito sotto Carlo V. Cerrebbe piuttosto da pensare che l’artista abbia, in prima battuta, “dimenticato” questo dettaglio e che alcune – forse pochissime monete – siano finite in circolazione con l’errore. Accortosi del madornale strafalcione iconografico, l’artista di zecca potrebbe poi aver inciso lo staffile sul conio completando l’iconografia canonica del patrono e, magari, pregandolo che nessuno si fosse accorto di quel particolare, prima mancante.
Molto raro il mezzo scudo con tanto di staffile, di esimia rarità quello con la mano del santo apparentemente “benedicente” tanto ad essere censito in due soli esemplari ed avere avuto un solo passaggio di mercato recente, in un’asta NAC Numismatica ars classica del 2012.
A ispirare quel rovescio – con lo statuario santo frontale e le due figure degli ariani a terra e terrorizzati – probabilmente, fu probabilmente un soggetto artistico, pittorico che, tuttavia, non siamo riusciti a rintracciare durante questa ricerca.
Non può essere casuale, del resto, la notevole somiglianza di quelle anatomie contorte e a terra, ai lati del vescovo e patrono, ad esempio con il frontespizio di un messale ambrosiano stampato nel 1640 e che, al pari del rovescio dei mezzi scudi di Filippo II, fu anch’esso ispirato da un’opera d’arte sacra preesistente.