L’incrocio delle fonti d’epoca e dei testi di numismatica mette in luce una datazione pressoché certa per il genovino PRIMO TIPO IANVA
di Carlo Pedrazzi | Da appassionato di monetazione medievale e, in particolar modo genovese, ho letto con attenzione quanto scritto attorno alla zecca di Genova e in particolar modo il periodo dei consoli e capitani del popolo.
Da un articolo di W. Day Jr. The petty coniage of Genoa…, in particolare, ho così appreso che la parte del Medieval Eeuropean Coinage 12. Italy I (Northern Italy) – d’ora in poi indicato come MEC 12 – concernente la prima monetazione (dall’apertura della zecca al 1339 inizio del dogato perpetuo) è opera di Michael Matzke, esperto e valente studioso, curatore d’importanti musei numismatici.
Dovendo lavorare su di un testo inglese ho sempre il dubbio, da parte mia, di malintesi dovuti alla traduzione, e alla relativa padronanza della lingua, e di questo chiedo venia per eventuali inesattezze.
Il primo genovino: imitazione del fiorino di Firenze?
Da quanto ho potuto capire, l’autore sostiene con assoluta convinzione che il genovino sia nato come imitazione del fiorino fiorentino. Lo convince in questo, oltre a ragioni che andrò ad esaminare in seguito, il peso attorno ai 3,5 grammi e il titolo dell’oro impiegato.
E’ mia intenzione, in questo breve scritto, evitando la parte strettamente economica su cui molti hanno già scritto, puntualizzare quanto scritto nel MEC 12 attorno al genovino in relazione al fiorino, e alla sua collocazione temporale a mio parere, alquanto azzardata.
Vari e accreditati autori del passato e recenti quali Gandolfi, Desimoni Ruggero, Lopez, Astengo e Pesce, nell’arco di un abbondante centinaio di anni, hanno collocato questa tipologia di genovino, in periodi diversi, purtroppo periodi supportati più da opinioni che da fatti.
Le fonti, che sono la voce dei tempi, ci lasciano con certezza negli annali dei continuatori del Caffaro che all’anno 1252 riportano “eodem anno nummus aureus Ianue fabricatus”.
Il Matzke non contesta questa datazione, ma pone l’interrogativo; potrebbero gli annali riferirsi alla quartarola anch’essa moneta di oro fino, ma del peso di 0,88 grammi, che il Lopez fa coeva del genovino di grammi 3,5? (cfr. MEC 12 p. 267).
Un antico documento dal contenuto chiarificatore
La risposta la da il Lopez con la pubblicazione di un documento scoperto da lui stesso riguardo alla presenza del genovino già nel 1253.
La pubblicazione va sotto il titolo: Un “Consilium” di giuristi Torinesi nel Ducento. In questo documento, giuristi genovesi chiedono consiglio per una controversia giudiziaria (lite) molto seria e assieme alla documentazione inviano a Torino quattro genovini d’oro nuovi e fiammanti quale “anticipato compenso” per le prestazioni dei loro corrispondenti.
Questo periodo del documento è annotato dal Lopez come segue (nota 2): “Veramente i giuristi Torinesi parlano di ‘denarrii aurei grossi ian.’ senza specificare altrimenti, e con la parola grosso s’alludeva a qualunque moneta, di regola argentea, multipla del denaro.
Ma se si fosse trattato del solidus o della quartarola d’oro genovesi, già coniate da molti anni, probabilmente i giudici di Torino l’avrebbero chiamate col loro nome; perciò crediamo che si tratti proprio del genovino d’oro, di cui si hanno accenni in documenti solo nel 1264 ma che, secondo un accenno impreciso degli Annales Januensesè dai più ritenuto coniato per la prima volta nel 1252 (cfr. Gandolfi, Della moneta antica di Genova, Genova 1841; CNI III p. 26; Martinori, La Moneta, Roma 1915 ecc…)”.
Se così fosse (e ci conforta a crederlo il fatto che a Lucca venne chiamato col nome di grosso d’oro il fiorino locale) resterebbe provata dal nostro documento la priorità del genovino sul fiorino di Firenze.
Un fiordaliso dentro il castello simbolo di Genova?
Altra ipotesi che porta il Matzke a supportare la sua tesi, MEC 12 p. 267, sulla derivazione del genovino dal già nato fiorino fiorentino è l’interno del castello genovese formato da segni che secondo il suo modo di vedere, danno origine ad un fiordaliso.
Il Matzke fa riferimento, per l’interno, al genovino riportato nelle tavole del MEC 12 al n. 236 (lascito Grierson), genovino con simbolo di zecca definito “maschera”.
Personalmente, osservando un fiorino trecentesco mi chiedo come si faccia a distinguere qualcosa di analogo ad un giglio fiorentino nella parte interna del castello, anche se fosse stilizzata “alla Dalì”.
Trovo anche strano che si sia cercato di vedere all’interno del castello o porta urbica che dir si voglia un giglio, e non si sia notato come nella paleografia delle legende, che nella monetazione genovese d’oro tutta, in quel periodo, la lettera E è sempre lunata e chiusa, mentre nel fiorino è quasi una E semigotica.
Ancora, secondo lo studio del Matzke risulta che la zecca genovese batta il genovino attorno al 1275 perché la sua tesi principale è che le monete d’oro dal 1252 al 1275 siano spezzati del genovino stesso, ossia le quartarole e qualche sporadico ottavino (data la rarità della moneta). Si veda a tal proposito MEC 12 p. 269.
In quanto a documenti coevi dove si indica il genovino come fiorino genovese, scomodo il Desimoni il quale scrive che nel secolo XIV il fiorino era diventato il re delle monete d’oro per tutti i paesi “talchè si dette il nome di fiorino anche alle monete auree di altri paesi, come quelli del Papa, di Napoli, del Piemonte di Genova e del Reno ecc…” (da Il rapporto dell’oro all’argento p. 31).
La quartarola di Genova e i tarì siciliani
Altro argomento portato dal Matzke riguarda la quartarola dal peso medio di 0,88 grammi che lo studioso fa coincidere col quarto di fiorino fiorentino (cfr. MEC 12 p. 268 e sgg.) senza tralasciare però, ad onor del vero, quanto già argomentato dal Lopez circa la creazione della quartarola dal peso coincidente col tarì siciliano, circolante in contrade dove Genova aveva importantissimi commerci.
Nel CNI per Firenze, dal 1252 al 1275 (anno in cui il Matzke fa apparire il genovino) esiste un solo quarto di fiorino, mentre nel CNI relativo a Genova abbiamo elencati fino al 1339, ben 69 esemplari di quartarole.
La circolazione delle quartarole genovesi nell’area monetaria toscana è un normale fatto di commercio, come potrebbe essere accaduto nell’area milanese, pavese e con ben più consistenza – data l’intensità dei traffici – con l’area monetaria meridionale.
Per conncludere…
In conclusione, senza toccare cambi, aggi e altre considerazioni ritengo che, ancora una volta, ci si debba affidare al Lopez per una cronologia accettabile per i genovini ante dogi a vita e al suo magnifico mai sorpassato Settecento anni fa: Il ritorno all’oro nell’occidente duecentesco.
Non sono a conoscenza se altri collezionisti di monete genovesi hanno letto attentamente la parte genovese del MEC 12 e se la lettura abbia fatto sorgere anche in loro qualche dubbio su quanto scritto attorno al genovino “genovese”.
Infine, anche se non sono un “filo genovese ad oltranza”, a me disturba un po’ il termine “fiorino genovese”. Non me ne voglia di questa critica il dottor Matzke, che ho avuto peraltro la fortuna di conoscere personalmente ragionando sui denari di Genova di una collezione e a cui va la mia stima.