L’intervento degli USA a favore di Londra nel 1918: un’operazione che ha per protagonisti 270 milioni di dollari d’argento
di Roberto Ganganelli | Forse alcuni conoscono un provvedimento chiamato Pittman Act, promulgato dal Congresso degli Stati Uniti il 23 aprile 1918. Si tratta di una legge federale sponsorizzata dal senatore democratico del Nevada Key Pittman (1872-1940).
I dollari del Pittman Act… “figli” di un’astuta legge
L’atto autorizzava la conversione di un massimo di 350 milioni di monete da un dollaro d’argento in lingotti e la loro vendita, o il loro impiego, per coniare monete d’argento “frazionarie” (ossia di minor valore nominale come i mezzi e i quarti di dollaro) favorendo, al tempo stesso, l’acquisto di argento di nuova estrazione negli Stati Uniti per la coniazione di un numero identico di nuovi dollari.
L’effetto del Pittman Act fu che oltre 270 milioni di dollari – soprattutto del tipo Morgan – furono convertiti in lingotti; di essi, metallo prezioso per un valore di poco più di 259 milioni di dollari fu venduto alla Gran Bretagna per un dollaro l’oncia (più spese di fusione e affinazione) e gli altri circa 11 milioni di dollari vennero reimpiegati per coniare monete d’argento per un equivalente di circa 209 milioni di once di metallo prezioso.
Tra il 1920 e il 1933, ai sensi dell’atto, la stessa quantità di argento fu acquistata dal governo presso miniere americane, al prezzo fisso di un dollaro per oncia, e da questo metallo furono ricavati 270 milioni di nuovi d’argento nuovi di zecca, in piccola parte tipo Morgan e per la maggioranza del nuovo tipo Peace.
Il prezzo di un dollaro l’oncia era tuttavia superiore al prezzo di mercato del metallo e servì a mascherare un vero e proprio sussidio federale per l’industria mineraria americana dell’argento. Uno scenario, quello appena delineato, che appare un esempio tipico di spreco di denaro dei contribuenti a favore di una lobby; una prima impressione che, tuttavia, nasconde uno scenario che coinvolge non solo USA e Regno Unito, ma addirittura l’Impero Tedesco e la lontana India.
La Triplice Intesa creata da Francia, Gran Bretagna e Russia si trovava in difficoltà, già dall’inizio della Prima guerra mondiale, non solo sui campi di battaglia ma anche per un’inflazione dilagante, effetto collaterale che fisiologicamente si manifesta in scenari di prolungato impegno bellico.
Poiché il commercio internazionale, fino ad allora, si era basato su transazioni in oro – e gli Alleati avevano bisogno di acciaio, cibo e rifornimenti per costruire e mantenere i più grandi eserciti che il mondo avesse mai visto – fu giocoforza ritirare dalla circolazione tutte le monete d’oro disponibili. L’aumento del prezzo dell’oro fece sì che il contenuto di metallo prezioso superò ben presto, e di molto, il valore nominale delle monete rimanenti, il che portò alla loro tesaurizzazione.
L’India in rivolta e la penuria di moneta fanno tremare la Gran Bretagna
Spostiamoci ora in India, colonia fondamentale dell’Impero Britannico. Per comprendere il peso del subcontinente si pensi solo che, se nel 1814 il Regno Unito contava 16,5 milioni circa di abitanti, i suoi territori indiani ne contavano 40 milioni sui 61 dell’Impero nel suo complesso; un secolo dopo, la Corona britannica regnava su 449 milioni di sudditi, di cui ben 319 milioni in India e appena 47 nel Regno Unito.
Dato che in piena Prima guerra mondiale non vi era oro disponibile, perciò, la Gran Bretagna iniziò ad utilizzare certificati cartacei convertibili in argento per pagare beni e servizi all’immensa colonia indiana, che contribuiva in modo determinante allo sforzo bellico. Fu così che l’intelligence dell’Impero Tedesco, attraverso la sua rete di spie e contatti nel subcontinente indiano, pensò bene di diffondere voci sempre più insistenti che il governo di sua maestà Giorgio V non disponeva di argento sufficiente per garantire la convertibilità dei certificati con cui si approvvigionava di materie prime strategiche.
Il movimento indipendentista indiano, che fino ad allora si era auto regolamentato per non intralciare i piani di Londra sul fronte bellico europeo, riprese così vigore sull’onda delle preoccupazioni popolari inscenando manifestazioni e inviando interpellanze ai governi regionali. Se in India fosse scoppiata una rivolta generalizzata, la Corona avrebbe probabilmente dovuto chiedere l’armistizio alla Germania ed impegnare tutte le proprie forze militari per tenere sotto controllo la strategica colonia.
Londra ottiene aiuto da Oltreoceano: arriva un fiume d’argento
L’unica nazione da cui l’Inghilterra poteva sperare di approvvigionarsi di argento sufficiente e in tempo per evitare il disastro erano gli Stati Uniti. Paese in cui, del resto, la popolazione usava correntemente una forma di cartamoneta – i Silver certificate, per l’appunto – che il pubblico preferiva agli ingombranti dollari d’argento che, tuttavia, grazie al sistema bancario federale poteva riscattare a proprio piacimento.
Il governo di Washington, ovviamente, non avrebbe mai voluto assistere ad una sconfitta della Triplice in Europa e intravide così la possibilità di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Dal momento che gli Stati Uniti non disponevano ancora, in pratica, un’industria bellica vera e propria che producesse in grande serie cannoni, aerei e carri armati, avevano bisogno di acquisirli dagli inglesi e dai francesi.
Ciò significava che gli Stati Uniti erano esposti verso i loro alleati per cifre considerevoli. L’America intendeva anche tentare, del resto, di conservare il più possibile delle proprie riserve auree per il periodo postbellico; così l’amministrazione pubblica (che sovrabbondava in argento) pensò che sarebbe stato relativamente semplice convincere la Gran Bretagna e ad accettare questo metallo invece dell’oro in pagamento dei debiti.
Quando la crisi dell’India e gli effetti della campagna di propaganda tedesca colpirono effettivamente la Gran Bretagna e Londra si appellò all’America per chiedere aiuto, tutte le tessere del mosaico sembrarono comporsi alla perfezione. Tranne una. Il governo degli Stati Uniti aveva pianificato infatti di lingottare fino a 350 milioni di monete da un dollaro d’argento e vendere il metallo alla Gran Bretagna, per prevenire il collasso dell’economia indiana e dello stesso Impero Britannico.
La lobby delle compagnie di estrazione dell’argento nel West americano era tuttavia sul piede di guerra pensando che il Governo federale avrebbe sfruttato l’opportunità per eliminare del tutto il dollaro d’argento dal sistema monetario, riducendo drasticamente la domanda di questo metallo da parte del governo.
Per placare la mayor minerarie e conquistare il sostegno al Pittman Act, il Congresso promise così di comprare argento dai minatori dopo la guerra allo stesso prezzo – un dollaro per oncia – garantendo la rimonetazione di ogni singolo dollaro d’argento fuso.
Dall’idea del senatore Pittman un successo non solo per gli Stati Uniti
In fin dei conti, l’operazione ebbe esiti positivi dato che il Regno Unito fu in grado di convertire in India tutti i propri certificati cartacei in monete di buon argento, evitando il collasso bancario e soprattutto la rivoluzione.
Gli Stati Uniti pagarono circa 200 milioni del proprio debito di guerra con vendita del metallo prezioso e l’industria mineraria USA fu in grado di vendere anni di produzione d’argento post-bellico a prezzi di guerra molto più alti, dopo aver agevolmente dirottato la produzione in tempo di guerra alla Gran Bretagna.
La Zecca degli Stati Uniti fu in grado di recuperare parte del signoraggio perso dalla fusione dei 270 milioni di dollari d’argento usando 8,59 milioni di once per coniare, in quantità, quarti e mezzi dollari, tanto necessari al commercio minuto. Queste monete, tuttavia, contenevano meno metallo nobile rispetto al valore nominale, il che significava un aumento di signoraggio.
E’ parere condiviso dalla maggior parte degli economisti che il Pittman Act debba essere considerato più come una misura di emergenza in tempo di guerra che come una vera misura monetaria. Come azione di guerra economica, tuttavia, si trattò di un successo entusiasmante dal momento che, in pratica, salvò gli Alleati da una sconfitta probabile accrescendo il potere degli Stati Uniti e senza far perdere nemmeno un centesimo al Governo federale di Washington.