Due santi, due devozioni e due storie diverse: così nasce la dualità “san Petronio vs san Pietro” sulle monete bolognesi alla fine del XIV secolo
di Francesco Billi | Bologna durante il Medioevo si era distinta a livello europeo per l’agguerrita difesa della propria autonomia comunale, tuttavia l’evoluzione politica per gran parte del Trecento sembrò voler soffocare quegli ideali di libertà che avevano fatto grande la città nei secoli precedenti.
Anno di grazia 1376, a Bologna si restaura la libertà comunale
A Bologna, oltre allo strapotere della ricchissima famiglia Pepoli e alla parentesi di occupazione straniera dei Visconti dal 1350 al 1360, gravava sulle istituzioni locali e sulla popolazione l’opprimente controllo che i legati pontifici esercitavano, o tentavano di esercitare, da quando nel 1278 il principe Rodolfo d’Asburgo (formalmente re dei Romani) aveva riconosciuto a papa Niccolò III la giurisdizione diretta sull’inquieta Provincia Romandiolae, comprensiva del territorio bolognese (fig. 1).
Nella notte tra il 19 e il 20 marzo 1376, però, con l’aiuto dei Fiorentini e senza spargimento di sangue, i rappresentanti del Popolo e delle Arti riuscirono a cacciare il detestato governatore papale, annunciando contemporaneamente il ripristino delle consuetudini e delle libertà comunali. Così, alle autorità romane non rimase che accettare il nuovo corso in cambio di una riappacificazione e del riconoscimento formale della sovranità pontificia.
L’ultimo quarto di XIV secolo, dunque, coincise a Bologna con un ritorno, breve ma intenso, all’autonomia cittadina: un periodo di straordinaria vivacità urbana, politica ed economica noto come Secondo Comune.
Nel 1380, quando riaprì i battenti al termine delle turbolenze politiche, la zecca bolognese vantava già una lunga esperienza poiché l’imperatore Enrico VI aveva concesso alla città il diritto di battere moneta nel lontano 1191 (fig. 2).
Non sorprende, dunque, che la monetazione bolognese del periodo abbia saputo interpretare magistralmente le istanze ideologiche del Secondo Comune, contribuendo da protagonista a consolidare l’identità civica della comunità attraverso un repertorio destinato a sopravvivere fino ai nostri giorni.
La scomparsa dei simboli pontifici e il bolognino d’oro
Innanzitutto dalle emissioni autonome, coniate in grandi quantità, scomparvero le insegne pontificie. Per la prima volta a Bologna venne introdotto un nominale aureo: il bolognino d’oro, ispirato per peso e titolo al ducato di Venezia che allora costituiva un prestigioso riferimento a livello internazionale. In questa nuova moneta si decise di raffigurare al dritto il leone rampante vessillifero, cioè col vessillo ben stretto nelle zampe anteriori, simboleggiante l’orgoglio e la forza della città.
La legenda abbinata, BONONIA DOCET, alludeva invece allo Studium, ovvero l’Università, l’istituzione per eccellenza del medioevo bolognese: già all’inizio del XII secolo, del resto, l’anonimo comense chiamava Bologna “la Dotta” (fig. 3).
Per il rovescio del bolognino d’oro venne scelta la figura di san Pietro stante, resa inconfondibile dagli attributi della chiave nella mano destra, e del libro sollevato nella sinistra.
Una decisione che merita un piccolo chiarimento. Perché san Pietro? Perché battere nell’oro il santo più rappresentativo di Roma e della mal tollerata autorità papale?
Per alcuni studiosi la motivazione fu soprattutto diplomatica: citando san Pietro le istituzioni comunali bolognesi omaggiavano formalmente la sovranità pontificia, in cambio della loro effettiva autonomia politica.
In effetti esisteva un precedente: nel 1337 un’altra sommossa popolare aveva costretto alla fuga il legato papale Bertrando del Poggetto e al suo posto, per guidare la città, era subentrato Taddeo Pepoli, figlio del banchiere bolognese Romeo Pepoli citato dalle fonti coeve come il più ricco d’Italia.
Taddeo, divenuto in pratica signore della città per un decennio, fece battere a suo nome una moneta d’argento del valore di due bolognini, ispirato al grosso di Ancona (fig. il celebre agontano), ma di peso maggiore per ovviare alla minor preziosità della lega utilizzata.
Questo nominale noto come “pepolese”, dal nome della famiglia dominante, si distingueva nel tipo di rovescio per la figura di san Pietro stante (fig. 4).
Anche in questo caso la scelta avrebbe avuto ragioni politiche più che artistiche, poiché Taddeo, in tal modo, cercava di attirare la benevolenza del papa aspirando ad un riconoscimento ufficiale della propria cripto-signoria.
A parere di chi scrive, tuttavia, queste interpretazioni diplomatiche sulla presenza del santo romano nelle emissioni bolognesi del Trecento sono accettabili e suggestive, ma incomplete. Non si può infatti ignorare (e il saggio catalogo Michele Chimenti giustamente non lo fa) che san Pietro era titolare della Cattedrale bolognese, situata a nord entro la cerchia muraria alto medievale.
Quindi, essendo patrono tanto di Roma, quanto di Bologna, poteva comparire legittimamente sulle emissioni emiliane e, a maggior ragione, sul bolognino d’oro del Secondo Comune che, destinato al mercato internazionale, guadagnava in prestigio mostrando il personaggio più rinomato dell’agiografia cristiana.
Inoltre non troppo lontano, a Ravenna, l’esibizione iconografica di san Pietro era servita per emulare il primato spirituale della sede papale e, addirittura, per competere con esso. Tutte valutazioni che non si escludono a vicenda e che andrebbero attentamente approfondite, ma che servono solo, in questa sede, a sottolineare la complessità dell’argomento.
Il rinnovamento delle emissioni d’argento bolognesi
Il Secondo Comune rinnovò anche la monetazione d’argento, coniata soprattutto a sostegno dell’economia locale. In particolare dal 1380 vennero introdotti tipi inediti, ispirati ai capisaldi dell’identità civica bolognese e destinati a tramandare ai posteri l’eredità medievale della comunità.
L’immagine di san Petronio stante e benedicente, con pastorale vescovile, comparve sul rovescio del grosso agontano (fig. 5). Infatti se san Pietro, ancorché patrono ufficiale di Bologna, era direttamente riconducibile alla detestata autorità pontificia, san Petronio rappresentava invece il protettore civico della città e il paladino dell’autonomia locale contro qualsiasi rivendicazione di sovranità universale.
Possiamo dire quindi, fuor di metafora religiosa, che nel Trecento san Petronio e san Pietro militassero su fronti ideologici contrapposti: il primo, difensore dell’indipendenza bolognese, il secondo, emblema delle pretese politiche romane (fig. 6).
San Petronio fra storia, leggenda e devozione popolare
Ottavo vescovo di Bologna dal 431 al 450 (fig. stando all’Elenco Renano del XIV secolo), Petronio aveva salvato la comunità emiliana dalla crisi tardo antica in senso materiale e spirituale: deponendo le famose quattro croci aveva delimitato un nuovo perimetro urbano e dato inizio alla rinascita medievale.
Si era prodigato per ricostruire edifici, assistere i più deboli e reperire numerosissime reliquie. Ma soprattutto il vescovo Petronio, secondo l’Instoria in volgare di metà XIII secolo, aveva chiesto e ottenuto dall’imperatore Teodosio il privilegio di realizzare nella sua Bologna lo Studium, cioè l’università. Un diritto esclusivo che assicurò fama e fortuna alla comunità, poiché l’economia cittadina prosperò proprio grazie alla permanenza di dottori e ricchi studenti provenienti da tutta Europa.
Per questo i Bolognesi, proprio durante il Secondo Comune, vollero omaggiare il loro patrono civico dedicandogli una grandiosa basilica, costruita simbolicamente sul sito della prima sede comunale (fig. la Curia Sancti Ambroxii) e affacciata sulla piazza pubblica (fig. 7).
Il cantiere venne avviato nel 1390 coinvolgendo solo funzionari laici e il monumento caratterizza ancora oggi Bologna dal punto di vista urbanistico poiché, caso raro, la chiesa che si affaccia sulla sua piazza principale non è la Cattedrale, come consuetudine vorrebbe, ma la Basilica di san Petronio.
L’antico primato universitario della città, confluito col tempo nell’agiografia petroniana, venne esaltato nel conio di rovescio dei bolognini grossi d’argento e dei piccioli in mistura, emessi in grandi quantità dal 1380 al 1406 (fig. 8).
Su questi nominali, infatti, venne inaugurato il tipo inedito della scritta MATER STUDIORUM (fig. cioè “Madre delle università”), con MATER STUDI in legenda e ORUM al centro del campo, intorno al globetto: un titolo che Bene di Firenze, scrittore e docente medievale, aveva attribuito a Bologna già nel 1220.
Il successo di san Petronio nella monetazione felsinea
Per concludere: nell’ultimo quarto del XIV secolo la zecca di Bologna sostenne da protagonista il temporaneo ritorno al libero Comune governato dal Popolo e dalle Arti. Dopo la sua riapertura nel 1380 vennero coniate una serie di emissioni autonome destinate a rinnovare i nominali e, soprattutto, le scelte iconografiche della monetazione bolognese.
La necessità propagandistica di celebrare e promuovere l’identità civica permise non soltanto di riscoprire i simboli cittadini più radicati, ma anche di consolidarli, lasciandoli in eredità ai secoli successivi.
Infatti, conclusasi l’esperienza del Secondo Comune nel 1400 circa, l’immagine di san Petronio continuò a caratterizzare ben oltre il XV secolo le monete coniate a Bologna, sia dalla Signoria dei Bentivoglio, che dall’autorità pontificia, standardizzandosi nel tipico ritratto del vescovo patrono, stante o seduto, che regge la città sul palmo della mano destra (fig. 9).
Il leone vessillifero e la legenda BONONIA DOCET ebbero ugualmente successo, tanto che, ancora nel Settecento, comparivano abbinati in diversi nominali e costituivano da soli i tipi di dritto e di rovescio per i comunissimi quattrini in rame (fig. 10).
Anche la legenda MATER STUDIORUM godette di un futuro particolarmente felice dal punto di vista numismatico: rimasta infati tra le più costanti della zecca emiliana (fig. 11), la ritroviamo oggi nel sigillo dell’ateneo di Bologna, che continua a istruire una moltitudine di studenti italiani e stranieri, rappresentando un polo culturale d’eccellenza e un volano economico per la città (fig. 12).