Le monete, le REGINE e le CORTIGIANE nel mondo antico | 1a parte

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Quando amore, eros e potere si intrecciano, le regine e le cortigiane segnano la storia e la numismatica

di Luisa Valle (prima parte) | La storia delle cortigiane si perde nella notte dei tempi, ed è impossibile risalire alle sue origini. Di certo si sa che è una storia molto antica, nata con noi e che, probabilmente, ci accompagnerà fino alla fine dei tempi. E questa storia può essere letta, come ogni storia, in molti modi diversi, anche attraverso le monete antiche, fedeli testimoni del passaggio dei secoli e del mutare dei costumi.

 

Le cortigiane sacre di Ishtar

La porta di Ishtar nell’odierna Baghdad
La porta di Ishtar nell’odierna Baghdad

Le prime fonti che raccontano questa storia  risalgono al periodo assiro babilonese, tra il 1800 e il 1375 avanti Cristo. I componimenti epici del tempo ci narrano della dea Ishtar, dea dell’amore, la divinità femminile più importante per i Sumeri, poi per gli Accadi, per gli Assiri ed infine per i Babilonesi.

A lei erano dedicati templi in tutte le città della Mesopotamia, dove vivevano giovani donne, sacerdotesse della dea, che offrivano agli stranieri una notte di piacere in cambio… di un’offerta in denaro!

Ishtar, dea babilonese dell’amore
Ishtar, dea babilonese dell’amore

Secondo Erodoto in Babilonia “vige una legge iniqua per la quale ogni donna deve recarsi, almeno una volta in sua vita, al tempio di Venere e quivi abbandonarsi agli amplessi di quello straniero che la richiederà. Lo straniero gettandole l’obolo nella veste deve dire ‘Io invoco la dea Militta (Ishtar)’.

Per quanto piccolo sia l’obolo non può essere respinta l’offerta, perché quel denaro è considerato sacro. Soddisfatto a quest’obbligo la donna se ne torna a casa, e non è più possibile vederla.

Quelle che hanno dote di prestanza, eleganza, bellezza, si soffermano poco nel tempio. Le brutte vi fanno invece lunga dimora, fin che non trovano modo di adempiere alla legge”.

 

Astarte fenicia e Afrodite la greca

Il culto di Ishtar si diffuse in tutto il medio oriente, e trovò asilo nelle terre di Tiro e Sidone, presso i Fenici, che eressero templi per la dea dell’amore, Astarte. Essa aveva una doppia natura, era femmina e maschio, ed al suo culto si dedicavano giovinette e giovinetti.

I templi di Astarte fenicia, la “lussuriosa dea del mare”, sorgevano su colline o promontori prospicienti il mare, affinché fossero ben visibili dai navigatori. Le sacerdotesse si dedicavano al culto fino a che non avessero accumulato una discreta somma di denaro da portare in dote al loro sposo. Così il cortigianato diventa un modo per racimolare una dote e sposarsi.

Thasos (Tracia) – Statere (463-411 a.C.) raffigurante un satiro e una ninfa in atteggiamento erotico (Ag mm 20 g 3,54)
Thasos (Tracia) – Statere (463-411 a.C.) raffigurante un satiro e una ninfa in atteggiamento erotico (Ag mm 20 g 3,54)

I Fenici attraversarono il Mediterraneo sotto la protezione di Astarte e portarono il suo culto fino in Lidia, sulle coste dell’Asia Minore, e da qui a Cipro, che divenne il paese dell’amore.

Secondo la mitologia greca Afrodite, la dea del Desiderio, emerse nuda dalla spuma del mare e cavalcando una conchiglia giunse nell’isola di Cipro, dove si stabilì. Nei riti in onore di Afrodite l’iniziato doveva portare alla dea una moneta, ricevendo in cambio, dalle sacerdotesse, una focaccia, un fallo e naturalmente la prestazione amorosa.

Nicopolis ad Istrum (Moesia) – Bronzo a nome di Settimio Severo (193-211 d.C.) raffigurante Priapo (mm 15 g 2,64)
Nicopolis ad Istrum (Moesia) – Bronzo a nome di Settimio Severo (193-211 d.C.) raffigurante Priapo (mm 15 g 2,64)

Nell’antica Grecia Afrodite è la dea dell’amore e del sesso. Essa era stata promessa da Zeus in sposa ad Efesto, il dio fabbro zoppo, ma Afrodite gli preferì Ares, il dio del membro eretto, impetuoso dio della guerra. Essi si amarono in Tracia, patria di Ares, ma Afrodite presto si stancò di lui e si dedicò ad altri amori.

La sua più grande passione fu però Adone, un fanciullo mortale dai tratti effeminati. Da lui ebbe un figlio, Priapo, che nacque con enormi genitali. A lui i greci dedicarono simulacri fallici in legno attorno ai quali si svolgevano orge dove uomini e donne si accoppiavano di fronte al dio.

 

Le favolose etére della città di Atene

Il culto di Afrodite ebbe grande seguito in tutte le poleis della Grecia antica, e per lei furono eretti templi e statue ovunque. Le cortigiane compiacevano la loro Signora dedicandosi al sesso a pagamento e col tempo si diffusero a tutti i livelli della società.

E’ soprattutto Atene che ci offre maggiori notizie su questo mercato. Le cortigiane ateniesi erano divise in tre categorie: al livello superiore stavano le etére, regine del sesso, donne colte ed eleganti che si davano solo a uomini facoltosi e appartenenti alle élite politiche e culturali. Al livello inferiore c’erano ballerine o suonatrici di flauto, che esercitavano le loro arti nei festini delle case private dove venivano invitate per intrattenere gli ospiti. Le ultime erano le schiave del sesso, che si concedevano a chiunque senza poter offrire null’altro che il proprio corpo.

Tutte e tre si recavano quotidianamente al tempio di Afrodite per lasciare la loro offerta. Erano generalmente ragazze straniere, poiché alle cittadine ateniesi erano riservate la cura dei figli e della casa, e una vita tranquilla al riparo da sguardi e tentazioni.

Questo mercato veniva praticato al Pireo, dove le prostitute si aggiravano nude in cerca dei clienti. Il libertinaggio era tanto diffuso che Solone, nel 594-593 a.C., istituì il dicterion, lo stabilimento pubblico dove le prostitute, mantenute a spese del governo, si concedevano ad un prezzo stabilito del quale devolvevano una parte allo stato. Mantenere la segregazione si dimostrò però impresa ardua e destinata al fallimento: dopo solo un centinaio di anni dalla riforma le prostitute ateniesi frequentavano tutti i luoghi della città.

Nel 445 a.C. nientemeno che il grande generale Pericle, all’età di cinquant’anni si innamorò di una donna di venti, Aspasia di Mileto, un’etéra di professione, bella, istruita e dotata di grande ingegno. Lui la amò tantissimo e, raccontano le commedie del tempo, ogni mattina prima di recarsi al lavoro la baciava sull’uscio di casa, ed insieme parevano Zeus ed Era. Poco prima del 440 a.C. Pericle la sposò ed ella gli diede un figlio, anch’egli Pericle.

Lampsacus (Macedonia) – Dracma a nome di Alessandro Magno (310-301 a.C.) raffigurante il sovrano sotto le sembianze di Eracle e Zeus in trono (Ag mm 20 g 4,19)
Lampsacus (Macedonia) – Dracma a nome di Alessandro Magno (310-301 a.C.) raffigurante il sovrano sotto le sembianze di Eracle e Zeus in trono (Ag mm 20 g 4,19)

Le cortigiane di Atene avevano prezzi vari. La maggioranza della popolazione poteva godere dei servigi di una di esse per il prezzo popolare di due dracme. Le etére però costavano decisamente di più.

Nei Dialoghi delle cortigiane di Luciano di Samosata, Mirtale rimprovera al suo amante Dorione, un marinaio in carriera, di averle portato dai suoi viaggi un paio di scarpette da due dracme, una boccetta di crema della Fenicia dal misero valore di due dracme, otto pezzi di gallette per marinai, fichi secchi dalla Caria e un paio di sandaletti con la fibbia in oro per un totale di sole cinque dracme.

Ci voleva ben altro! Una giovane fanciulla nel fiore degli anni poteva chiedere due stateri d’oro per una notte d’amore; un’etéra non più giovane ma esperta nell’arte della seduzione si concedeva per uno statere.

La Venere di Milo, oggi al Louvre di Parigi, uno dei simboli della bellezza classica
La Venere di Milo, oggi al Louvre di Parigi, uno dei simboli della bellezza classica

Per apparire più giovani le donne di allora, come quelle di oggi, facevano di tutto; in Atene era in uso un trucco ottenuto dalla radice dell’acanto stemperata nell’aceto: il colore rosso donava al viso un aspetto fresco e giovane.

Le donne più anziane poi diventavano esperte nell’arte della magia e si specializzavano nella messa a punto di incantesimi e filtri magici. Erano le donne della Tessaglia le più brave in questo campo.

Luciano racconta che per una dracma e un pane si poteva avere un filtro d’amore che facesse tornare a sé l’uomo perduto: si dovevano portare sette oboli di sale, dello zolfo e una fiaccola, oltre che alcuni oggetti personali dell’amato, come calzari o indumenti e qualche ciocca dei suoi capelli. La fattucchiera avrebbe poi bevuto una coppa di vino, e, una volta appesi gli oggetti ad un chiodo,  li avrebbe fumigati con l’incenso, spargendo anche il sale sul fuoco e pronunciando l’incantesimo insieme ai nomi dei due amanti.

Non solo Atene vantava cortigiane d’oro: la bellissima Laide di Corinto divenne così famosa da rifiutare gli amanti che non potevano pagarle l’esorbitante somma di diecimila dracme! In tutta la Grecia, come sarà poi a Roma e nei secoli a venire, accanto alle case di tolleranza fioriva la prostituzione stradale: le ragazze che vi si dedicavano, senza dubbio per necessità, vengono descritte come perennemente in cerca di clienti, e per questa loro fame insaziabile passeranno alla storia come le  lupae.

Quella lupa di Romolo e Remo…

La celebre lupa conservata ai Musei Capitolini, simbolo di Roma e del suo mito di fondazione
La celebre lupa conservata ai Musei Capitolini, simbolo di Roma e del suo mito di fondazione

Secondo la leggenda il fondatore di Roma, Romolo, sarebbe stato rapito col fratello Remo e abbandonato alle correnti del Tevere, affinché non divenisse Re della città di Alba Longa.

Il fato volle che le acque li depositassero alle pendici del colle Palatino, dove, scrive Tito Livio, “una lupa assetata si diresse verso il luogo da cui veniva un vagito. Si abbassò e porse ai due fanciulli le proprie mammelle. Il pastore Faustolo la trovò e portò i due gemelli alle sue stalle dove si trovava sua moglie Larenzia perché li allattasse. Larenzia, poiché si prostituiva, era chiamata lupa tra i pastori.” Larenzia-lupa-meretrice allattò i gemelli consentendogli di vivere e crescere: da adulti, essi fondarono la città di Roma nell’anno 753 avanti Cristo.

Roma – Aureo a nome di Adriano (117-138 d.C.) raffigurante la lupa che allatta Romolo e Remo (Au mm 21 g 7,36)
Roma – Aureo a nome di Adriano (117-138 d.C.) raffigurante la lupa che allatta Romolo e Remo (Au mm 21 g 7,36)

Essa fu la prima lupa che passò alla storia, e da questa leggenda originano gli appellativi lupanare, che identificava le case di piacere, e  lupercalia, la festa di epoca arcaica che si svolgeva a Roma il 15 febbraio di ogni anno durante la quale giovani nudi o coperti solo da un perizoma si ritrovavano al Palatino per ricordare Romolo e Remo.

I gemelli, discendenti di Marte e Venere, vissero grazie all’affetto e alle premure di una donna di piacere che divenne ben presto una figura mitologica e grazie alla quale tutto ebbe inizio.

Il vizio, l’Urbe e le altre città dell’Impero

Famoso frammento di affresco a tema erotico da Pompei
Famoso frammento di affresco a tema erotico da Pompei

Le prime notizie sulla prostituzione a Roma datano gli inizi del II secolo a.C. Scrive Plauto, sintetizzando in poche righe la morale sessuale del suo tempo: “Ah, mercanzia di questa bottega nessuno ti proibisce o ti vieta di comprarla, se hai quattrini, dato che è liberamente in vendita!

E chi può proibire ad uno di camminare sulla pubblica via? Tutto sta a non aprirti un passaggio segreto entro il recinto d’un podere altrui; lascia stare le donne maritate, le vedove, le vergini, i giovanotti, i ragazzi di nascita libera e poi fa’ pure all’amore con chi vuoi”.

Nel periodo tardo-repubblicano, e soprattutto in epoca imperiale, la prostituzione si diffonde in misura notevole. Essa  entra nella vita quotidiana e caratterizza tutte le classi sociali, ma è soprattutto di marca patrizia.

Non esiste più alcun tabù: ovunque si incontrano pitture oscene, sculture erotiche, statue di falli; i bagni pubblici, così come le locande e le osterie diventano appendici dei postriboli dove uomini e donne  non disdegnano alcun tipo di passatempo.

Le prostitute erano generalmente schiave e liberte; alle donne nate libere questo commercio era interdetto, ma esse lo praticavano clandestinamente, nella propria casa, nei luoghi pubblici, oppure affittando una cella in un postribolo.

Roma - Due assi in bronzo a nome di Giulia Domna (193-217 d.C.) e di Gordiano III (238-244 d.C.) pesanti rispettivamente g 11,84 e 12,63 (mm 24 e mm 22)
Roma – Due assi in bronzo a nome di Giulia Domna (193-217 d.C.) e di Gordiano III (238-244 d.C.) pesanti rispettivamente g 11,84 e 12,63 (mm 24 e mm 22)

I lupanari a Roma erano ovunque. In città se ne contavano circa 45-46; il quartiere del piacere era la Suburra, nei dintorni del Circo Massimo. Era frequentato dal popolino, che poteva soddisfare un po’ dei suoi desideri per soli due assi, l’equivalente di due fette di pane e un bicchiere di vino scadente.

Il lupanare era generalmente riconoscibile poiché di fronte all’uscio stavano signorine con abiti trasparenti e sguardi ammiccanti, ed era possibile leggere sulle insegne frasi come “Qui abita la felicità”, accompagnate da disegni con falli e scene erotiche.

All’interno, come è possibile osservare ancora oggi a Pompei, il cliente poteva accomodarsi in un’anticamera dove era in uso ammazzare l’attesa scrivendo frasi sui muri quali, ad esempio, “qui dopo il mio arrivo ho fottuto e me ne sono tornato a casa”.

Quando una ragazza si liberava il cliente veniva invitato ad accomodarsi in una cella, spesso così piccola da contenere soltanto un letto e poco altro. L’ambiente era illuminato da candele e abbellito da dipinti con motivi erotici. Sulla porta, il nome della donna e il prezzo del suo amore. Spesso le cellae erano al primo piano e le ragazze si mostravano nude alla finestra invitando i passanti ad entrate.

 

La spintria, antenata della marchetta

Per poter entrare in un lupanare molto probabilmente si doveva esibire una spintria, ovvero una di quelle tessere in bronzo con la forma di una moneta che rappresentano al dritto due persone in atteggiamenti erotici e al rovescio un numerale, generalmente da I a XVI.

Secondo l’ipotesi più accreditata le spintriae, coniate dapprima sotto Tiberio (14-37), poi sotto Vespasiano (69-79) e molto diffuse sotto Domiziano (81-96), dovevano servire come mezzo di pagamento nel lupanare, poiché, secondo un regolamento risalente a Tiberio, non si potevano introdurre nei luoghi di piacere monete con l’effigie dell’Imperatore.

Probabilmente dopo la morte di Domiziano questa interdizione venne meno e le spintrie caddero in disuso. Il numerale presente al rovescio potrebbe essere il valore in assi della tessera: essendo generalmente da I a XVI arriverebbe quindi all’equivalente di un denario, (1 denario = 16 assi).

Spintria di età augustea (22-37 d.C.) in bronzo (mm 20,2 g 4,27) con numerale XV al rovescio
Spintria di età augustea (22-37 d.C.) in bronzo (mm 20,2 g 4,27) con numerale XV al rovescio

Secondo questa teoria la spintria poteva quindi essere acquistata e poi scambiata o contro moneta corrente, o contro merci o contro prestazioni per un valore corrispondente a quello indicato sul rovescio.

Secondo altre ipotesi il numerale potrebbe indicare il numero della cella del lupanare nella quale recarsi, oppure – ancora – il numero della stanza nella quale assistere da “spettatori” ad uno spettacolo erotico.

In questo caso allora la spintria potrebbe essere il biglietto d’ingresso ad un teatrino decisamente particolare, oppure l’accesso agli spettacoli dettii floralia. Qualunque fosse il loro utilizzo esse erano considerate dai contemporanei vere e proprie monete, infatti Marziale le definisce numismata e Svetonio tesserae nummariae. Questo ci fa capire quanto il mercato del sesso a Roma fosse organizzato e seguito.

Roma – Sesterzio a nome di Adriano (117-138 d.C.) celebrativo della conquista della Bitinia (Ae mm 33 g 25,60)
Roma – Sesterzio a nome di Adriano (117-138 d.C.) celebrativo della conquista della Bitinia (Ae mm 33 g 25,60)

Alla Suburra facevano i loro traffici le quadrantariae, povere peccatrici per peccatori poveri. Pochi assi si spendevano anche con le fororiae, che si incontravano lungo le strade periferiche. Nei cimiteri e tra i sepolcri risiedevano invece le bustuariae, mentre la città avvolta dalla notte fonda era il regno delle lupae.  Tutte erano le meretrix di Roma, “coloro che guadagnano”.

Varie categorie per vari gusti e vari prezzi. Le tariffe dell’amore a pagamento erano in generale accessibili a tutti. Dai popolari due assi, tariffa base a Roma come a Pompei, si poteva scendere fino a un asse nel caso di signore non più giovani; Marziale ci spiega che “quando il suo aspetto lascia a desiderare e si vede che fa la puttana da una vita dalle un soldo e via”. Ovviamente il prezzo variava a seconda dell’età e della bellezza, tanto che per una graziosa giovinetta si potevano spendere anche 23 assi o più, così come cambiava a seconda della prestazione: sappiamo che una certa Lahis nella tariffa base comprendeva anche la fellatio.

Di questo larghissimo traffico approfittò anche lo Stato, quando l’imperatore Caligola  impose una tassa  a tutte le donne di mal affare dell’importo “pari all’incasso di un coito al giorno”.

Le cortigiane di Roma, per tutte le tasche e per tutti i gusti

Le prostitute del bel mondo avevano invece costi decisamente più elevati, e si rivolgevano ad una clientela ben diversa di quella che frequentava la Suburra. Esse erano cantanti, ballerine, flautiste, suonatrici di cetra, attrici, generalmente invitate ad animare i banchetti di uomini facoltosi. Il poeta Giovenale descrive le danzatrici di Cadice che, con le loro suadenti movenze, “potevano eccitare anche Pelias, quel vecchietto tremebondo”.

Ad un livello ancora più alto stavano le donne cantate nelle elegie d’amore di Catullo, Properzio, Ovidio, per le quali questi poeti provavano sentimenti di ardente passione e sincera ammirazione. Diversi artisti subivano il fascino della loro bellezza e cultura, ma era impossibile  stringere con qualcuna di esse legami solidi e duraturi: erano donne incostanti e infedeli, si facevano mantenere da amanti facoltosi per un po’ di tempo per poi passare nella casa di un uomo più ricco. Erano il ritratto classico della cortigiana, come l’attrice Cytheris, desiderata da Cicerone, “questo gioiello passato da qualche mano”.

Tutte le donne di piacere onoravano Flora, una storica cortigiana assurta a protettrice della categoria: in suo onore folleggiavano partecipando ad una grande festa denominata floralia, dove si spogliavano della vestis meretricia tra le grida di giubilo del pubblico. La festa solenne era invece il 23 aprile, in onore di Venere, da sempre nella storia  nume tutelare per tutte loro.

Le donne della dinastia Giulio-Claudia

Quella dei Giulio-Claudi è un’epopea di eccessi e immoralità, una storia di uomini e donne che hanno vissuto tutto ciò che è possibile e immaginabile in fatto di denaro, potere, intrighi, amori e naturalmente sesso.

Il capostipite di questa potente  dinastia, Giulio Cesare, è il più illustre esempio di genio e sregolatezza: grande politico e ancor più grande condottiero, fu, nella vita privata, eccessivo e immorale, con un grande potere di seduzione sulle donne e sugli uomini che incontrava. Svetonio elenca implacabile i suoi eclettici amori, eterosessuali come omosessuali: ci narra la sua passione per i giovani schiavi “snelli e aggraziati”, i suoi rapporti a tutto campo con il re di Bitinia, Nicomede, le sue tre mogli, Cornelia, Pompea e Calpurnia, la sua amante stabile, Servilia, e quella  più famosa, la giovane e affascinante Cleopatra.

Cesare la conobbe durante il suo viaggio in Egitto, avvolta in un tappeto dal quale lei uscì, nuda, come il fiore più prezioso che il Nilo offriva al suo nuovo padrone. E il padrone cadde ai suoi piedi, lui cinquantenne, potente tra i potenti, per lei, affascinante ventenne,  perse il senno, e non esitò a consegnarle il trono dell’Egitto.

Egitto – Diobolo a nome di Cleopatra VII (51-30 a.C.) con il ritratto della celebre regina (Ae mm 26,5 g 16,65)
Egitto – Diobolo a nome di Cleopatra VII (51-30 a.C.) con il ritratto della celebre regina (Ae mm 26,5 g 16,65)

Così Cleopatra divenne regina, e offrì al suo conquistatore un figlio, Tolomeo Cesare. La donna e il bambino furono accolti a Roma con tutti gli onori, tutto però finì improvvisamente poco più di un anno dopo, quando all’ora quinta delle idi di marzo Cesare fu travolto dai suoi avversari e assassinato in Campo Marzio.

La giovane madre fu costretta a fuggire, grazie all’aiuto di Marco Antonio, che presto la raggiunse in Egitto e ne divenne l’amante. Ma Marco Antonio non era Cesare, né nel cuore di Cleopatra né sui campi di battaglia, dove il giovane Ottaviano lo sconfisse e, senza esitazioni, uccise il piccolo Tolomeo Cesare. Cleopatra si diede la morte con la dignità di chi discende da una stirpe di re, ma a Roma, grazie alla propaganda di Ottaviano, fu ricordata soltanto come la “sgualdrina d’Egitto”.

Anche Ottaviano fu scottato da un grande amore, quello per Livia Drusilla, che fu la consigliera, la confidente e la complice del grande Augusto. Fu sempre fedele e molto tollerante verso il marito, che si circondava di donne, organizzava concorsi di bellezza a Palazzo, si intratteneva con tutte le mogli dei suoi amici e confidenti.  Ma l’austera regina dell’Impero fu anche la spietata assassina dei nipoti di Ottaviano, e del figlio che lui ebbe dalla precedente moglie, per assicurare la successione ai suoi Tiberio e Druso, figli di primo letto. Questa donna astutissima fondò l’Impero insieme a Ottaviano Augusto, lo governò per 50 anni e lo lasciò in eredità ai suoi figli.

Messalina, un nome entrato nella leggenda

Niente comunque fu paragonabile al comportamento di Messalina, lussuriosa moglie dell’Imperatore Claudio, succeduto nel 41 d.C. al nipote Caligola. Questo scrisse di lei Giovenale: “…ascolta che cosa Claudio abbia dovuto sopportare. Appena sua moglie si accorgeva che lo sposo dormiva, osando preferire al talamo palatino una stuoia, usciva accompagnata da non più che una sola ancella. E celando la sua nera chioma da una parrucca bionda entrava in un afoso postribolo dai logori cuscini, in una stanzuccia vuota a lei riservata; allora nuda, i capezzoli indorati, si prostituiva sotto il mentito nome di Licisca…Mielosa accoglieva i clienti, chiedeva i denari e sdraiata assorbiva i colpi di tutti. Poi quando il ruffiano mandava via le sue ragazze anche lei se ne andava tristemente, …e disgustosa per le guance lorde, sudicia di fumo di lucerna, portava nel letto imperiale il puzzo del bordello”.

Messalina, la meretrix augusta, viene raffigurata da tutti gli storici come dominata dai tre vizi tipici della tirannide: lussuria, avidità, crudeltà. Forse però il suo comportamento non fu tanto diverso da quello di molte matrone dell’aristocrazia romana che, secondo Svetonio, per sfuggire al grigiore della vita matrimoniale, si dedicavano alla prostituzione. Grigiore che non caratterizzò affatto i matrimoni dei Giulio-Claudi. Essi non si annoiavano in una vita piatta e rutinaria: Caligola ebbe con tutte e tre le sorelle, Agrippina Minore, Giulia Livilla e Giulia Drusilla, rapporti incestuosi dei quali non si vergognò e mai fece mistero. Anzi, le coinvolse tutte in un ménage erotico insieme all’amico Lepido, suo “amato e amante”.

Roma – Sesterzio a nome di Caligola (37-41 d.C.) raffigurante le sue tre sorelle sotto le sembianze della Securitas, della Concordia e della Fortuna (Ae mm 36,25 g 28,10)
Roma – Sesterzio a nome di Caligola (37-41 d.C.) raffigurante le sue tre sorelle sotto le sembianze della Securitas, della Concordia e della Fortuna (Ae mm 36,25 g 28,10)

La sorella maggiore di Caligola, Agrippina, madre di Nerone, amava il figlio morbosamente e con lui intratteneva rapporti incestuosi. Lui però non esitò ad ucciderla per limitare la sua invadenza. Dopo di lei si sbarazzò anche della moglie Ottavia per sposare la bellissima Poppea Sabina, alla quale non riservò una sorte diversa: la uccise nel 65 d.C., e nella sua orazione funebre cantò la sua bellezza “nonché gli altri doni della fortuna, che per lei tenevano luogo di virtù”.

Così ebbe fine l’incredibile storia di questa dinastia che visse al di fuori di ogni regola, inaccettabile anche nel permissivo e libertino mondo romano. E i romani ricorderanno a lungo i suoi componenti, e li tramanderanno ai posteri senza troppi complimenti: così, dopo il grande Ottaviano Augusto, verranno Tiberio “l’ipocrita”, Caligola “il folle”, Claudio “l’incapace” e Nerone “il sanguinario”.

Gli eccessi e le follie degli imperatori

Non solo i Giulio-Claudi eccedevano in stranezze; anche chi venne dopo di loro non fu da meno in quanto a deviazioni e immoralità. Commodo non si preoccupò mai di celare la sua bisessualità. Si circondò di una corte, dicono le fonti, di trecento sgualdrine e trecento invertiti”, coi quali si intratteneva in orge quotidiane. Di questa compagnia faceva parte anche il suo favorito, Antero, che si diceva fosse così virilmente dotato da essere una vera e propria forza della natura.

Eliogabalo passò alla storia per essere un maniaco sessuale, e di questo vizio amava donare spettacolo di fronte ai suoi concittadini. Inscenava pubblicamente Gli amori di Venere, impersonando la dea che si concedeva al suo dio. I pretoriani, che lo conoscevano bene, sapevano dove trovarlo quando decisero la sua eliminazione, e lo assassinarono in una pubblica latrina.

Claudiopoli (Bitinia) – Medaglione di Adriano in memoria di Antinoo (Ae mm 38 g 43,95)
Claudiopoli (Bitinia) – Medaglione di Adriano in memoria di Antinoo (Ae mm 38 g 43,95)

Tutto conosciamo del grande amore dell’Imperatore Adriano, il giovane Antinoo. Per Adriano fu davvero un grande amore, e quando il ragazzo morì prematuramente annegando nel Nilo, il dolore dell’Imperatore fu tale che gli riservò un posto tra le divinità. Il mondo romano fu invaso dal ritratto del giovane Antinoo, nei dipinti, nelle sculture e sulle monete: così facendo Adriano volle tramandare il ricordo del suo sguardo sognante e dei suoi voluttuosi lineamenti, oltre ad esprimere il dolore per la gioventù che passa e la bellezza che sfiorisce.

Tra le regine e le cortigiane… perfino una santa!

Donna bellissima e sfortunata fu Fulvia Plautilla, che sposò il figlio dell’Imperatore Settimio Severo, Caracalla, divenendo Augusta. Odiata dal marito, di lei si diceva fosse di facili costumi. Quando Caracalla successe al padre la fece uccidere insieme alla figlia provocandone la damnatio memoriae.

Roma – Denario a nome di Plautilla (202-205) raffigurante Caracalla e Plautilla che si tengono per mano sotto il beneaugurate motto di un'eterna concordia (Ag mm 19,3 g 3,14)
Roma – Denario a nome di Plautilla (202-205) raffigurante Caracalla e Plautilla che si tengono per mano sotto il beneaugurate motto di un’eterna concordia (Ag mm 19,3 g 3,14)

Chi passò invece alla storia per la sua santità fu Elena, la madre di Costantino, donna molto pia che, nel suo viaggio in Terrasanta, ritrovò un frammento della croce di Cristo.

Il suo passato era però un po’ meno  limpido. Essa, in gioventù, a Drepano, in Bitinia, aveva lavorato come stabularia in un’osteria. Elena, dagli occhi di cerbiatta, aveva sedici anni quando l’Imperatore Costanzo Cloro passò di lì, e ne fece la sua compagna. Anche Teodora, la moglie di Giustiniano, aveva in gioventù esercitato il meretricio, e in ricordo di questo suo triste passato dettò disposizioni che favorissero la difesa delle prostitute dallo sfruttamento e che ne facilitassero la redenzione.

Antiochia – Follis a nome di Elena (324-325 d.C.) madre di Costantino I (Ae mm 20,35 g 2,04)
Antiochia – Follis a nome di Elena (324-325 d.C.) madre di Costantino I (Ae mm 20,35 g 2,04)

Queste ed altre storie ci hanno tramandato i romani dei loro illustri governanti. E’ tutto vero? Oppure molto fu leggenda e romanzo? Difficile dirlo.

Il mondo romano giustifica il rapporto erotico, anche quello innaturale, che trascende il suo significato umano per raggiungere un significato divino.

I baccanali descritti da Tito Livio come grandi orge, il culto di Cibele celebrato da eunuchi, Venere e Iside onorate da prostitute, scatenano la sessualità nascondendola dietro l’ispirazione religiosa. E se, in nome degli dei tutto era permesso, allora al livello inferiore, tutto era giustificato…