di Lucia Travaini | Considerando l’amore assoluto di san Francesco per la povertà può sembrare sorprendente trovare l’Assisiate in relazione alle monete, rinvenute nella sua tomba nella Basilica e in una nicchia nel pavimento della chiesetta di San Damiano ad Assisi. Inoltre, agli inizi del Cinquecento, san Francesco fu raffigurato per la prima volta su monete d’oro, che a parte vengono esaminate con attenzione (clicca qui).
Rinvenimenti numismatrici in contesti inattesi
La presenza delle monete nei contesti più inattesi si comprende considerando le loro caratteristiche multiformi e simboliche: prerogative degli Stati ed emanazioni del potere, esse erano non solo mezzi di scambio, misura e riserva di valore, ma anche strumenti degli “scambi” con il divino, in diversi contesti rituali di ogni epoca.
Cariche di simbologia nelle immagini, nel metallo, nel valore, nella provenienza, le monete furono presenti in ogni ambito della vita umana, regolate da norme precise, spesso non scritte e tuttora oscure per noi: dobbiamo cercarne le tracce e tentare interpretazioni. Bisogna studiare gli atteggiamenti mentali verso la moneta degli uomini e delle donne del passato, solo in apparenza “irrazionali” (Travaini, 2015).
Gli anni di Francesco furono cruciali per l’espansione economica e commerciale, e le monete metalliche conquistarono un ruolo importante, con riflessi in tutti gli aspetti della vita pubblica e privata.
Le regole francescane, il denaro e la ricchezza
Francesco di tutto ciò era testimone e, prima della conversione, anche attore, nella sua vita in casa di mercanti; dopo la conversione rifiutò ogni ricchezza e proibì ai frati di accettare monete perfino in elemosina, per allontanare ogni forma di «malizia e avidità», come si legge già nel testo della Regola non bollata del 1221: “Nessuno dei fratelli, ovunque sia e dovunque vada, in alcun modo prenda o accetti o faccia accettare pecunia o denari né per vestiti né per libri né come ricompensa per qualche lavoro; anzi in nessun caso, se non per manifesta necessità dei fratelli infermi: perché non dobbiamo credere e reputare che nella pecunia e nei denari vi sia più utilità che nelle pietre” (cit. in Merlo, 2009, pp. 146-50).
Nella Regola bollata del 1223 vi sono alcune modifiche: “Ordino fermamente a tutti i fratelli di non accettare in alcun modo denari o pecunia per sé o per interposta persona. Tuttavia per le necessità degli infermi e per vestire gli altri fratelli, soltanto i ministri e i custodi, per mezzo degli amici spirituali, provvedano con sollecitudine secondo i luoghi e i tempi e le regioni fredde, come sembrerà convenire con la necessità, fatto sempre salvo che, come è stato detto, non accettino denari e pecunia” (cit. ivi, pp. 150-2).
La pecunia (ogni forma di bene materiale) e le monete (come simbolo e sintesi della ricchezza materiale) erano considerate pericolose per l’anima: solo la scelta di povertà poteva garantire la salvezza dell’anima.
La “pecunia sterco del diavolo” nelle arti
L’arte medievale ci mostra spesso sacchetti di monete al collo di dannati nelle raffigurazioni dell’inferno, a indicare come l’avaritia conducesse alla perdizione gli uomini amanti delle ricchezze e incapaci di separarsene in punto di morte; l’arte raffigura angeli e demoni che si contendono le anime proprio in quel momento cruciale, e san Michele mentre le pesa sulla bilancia. Troviamo raffigurato Giuda che riceve i 30 denari, prezzo del sangue di Cristo: possiamo sintetizzare tutto questo “male” con l’espressione “pecunia sterco del diavolo” (pecunia stercus diaboli), come si vede nell’inferno del Giudizio universale del duomo di San Gimignano del 1393.
Eppure le monete non potevano essere solo strumenti del male, se chi seppellì Francesco sotto l’altare della basilica inferiore di Assisi nel 1230 pose nella tomba, accanto al suo corpo, una somma di denari d’argento. Dobbiamo quindi cercare anche i valori positivi delle monete, nel loro scambio tra umano e divino.
Monete e luoghi di culto: san francesco e la numismatica
Frate Francesco morì ad Assisi fra il 3 e il 4 ottobre 1226; fu sepolto nella chiesa di San Giorgio, poi inglobata nel complesso della basilica di Santa Chiara; la costruzione attuale venne avviata nel 1228 da Gregorio IX e la consacrazione ebbe luogo il 25 maggio 1253 da parte di papa Innocenzo IV.
La basilica inferiore, tuttavia, doveva essere già completa nel maggio 1230, quando vi fu solennemente trasferita la salma di san Francesco, canonizzato nel 1228. Solo nel 1818 furono avviate attente ricerche nella basilica inferiore di Assisi per individuare la tomba del santo, posta in sede veramente inaccessibile; localizzata la tomba, papa Pio VII il 22 dicembre 1818 autorizzò l’apertura e l’attenta ricognizione dei resti, avviata agli inizi del 1819 alla presenza di cinque vescovi.
Aaccanto alle ossa furono rinvenuti nell’urna anche un anello con corniola antica entro montatura di fine XII secolo (ora disperso), alcuni vaghi di collana (o di rosario) e alcune monete. Nella relazione sulla ricognizione pubblicata a Roma nel 1819 troviamo espressi la sorpresa e lo scandalo di tale accostamento
In un primo momento, infatti, quando erano ancora incerte la datazione e l’identificazione delle monete, alcuni considerarono proprio la loro presenza una prova per negare che le spoglie fossero quelle del santo, accettando la versione secondo cui il popolo di Assisi ne avrebbe rubato il corpo al funerale.
Ma l’interpretazione dei materiali nella tomba era affidata a studiosi importanti e illuminati; tra questi, anche Carlo Fea, commissario pontificio delle Antichità, e Alessandro Visconti, della Pontificia accademia romana di archeologia; fu consultato anche un grande esperto di monete, Giulio Cordero di San Quintino (Fea, 1820).
Le monete furono presto correttamente identificate come denari di Lucca, comuni al tempo di frate Francesco. Gli studiosi conclusero che il corpo non poteva essere di nessun altro; inoltre, citarono altre tombe di santi nelle quali erano state trovate monete. Soprattutto Carlo Fea confrontò i tipi dei denari lucchesi della tomba di san Francesco con un tipo simile rinvenuto, insieme ad altri denari di Venezia e Milano, nella tomba di san Marco a Venezia, verosimilmente lì posti in occasione della deposizione solenne nel 1094 alla presenza dell’imperatore Enrico VI: nella pubblicazione di Fea l’esemplare “di san Francesco” e quello “di san Marco” sono illustrati uno accanto all’altro e facilmente confrontabili, e l’esemplare di Venezia, più vecchio di un secolo, mostra le caratteristiche dei denari di tipo più antico, meglio leggibili e più regolari.
San Franesco nella numismatica: gli enriciani nella tomba del Poverello
Le monete della tomba di Francesco sono 12 denari della zecca di Lucca detti “enriciani”. Si tratta di denari d’argento emessi a partire dall’imperatore Enrico ii di Sassonia (1014-24) e prodotti “immobilizzati” con gli stessi tipi per circa duecento anni, benché di qualità progressivamente più scadente e rozza: l’autorità emittente effettiva era il Comune di Lucca.
Questi denari erano le principali monete in circolazione in tutta l’Italia centrale ancora al tempo di frate Francesco. Presentano tipi epigrafici: su un lato è la legenda circolare + HENRICVS, e nel campo L V C A attorno a un globetto centrale; sull’altro lato la legenda circolare + INPERATOR, e nel campo “monogramma”. Tutto questo in realtà non si legge facilmente sugli esemplari della tomba di Francesco, dato che si tratta di tipi molto rozzi del periodo più tardo di questa produzione.
Fino a tempi relativamente recenti, dato il nome di Enrico imperatore, tali monete si consideravano ancora emesse entro il XII secolo, ma se ne è ora riconosciuta la continuità di produzione fino al XIII secolo, e proprio gli esemplari nelle tombe di san Marco a Venezia e di san Francesco ad Assisi, con data certa di chiusura della deposizione, offrono elementi chiari per la cronologia.
Denari nella sepoltura del santo: perché?
Esaminate le monete, cerchiamo di interpretare i motivi della presenza dei 12 denari, dell’anello con corniola incisa e dei vaghi di perle (di corona?). Chi e quando pose questi oggetti nella tomba? Certamente non furono collocati dopo l’interramento in posizione inaccessibile nel maggio 1230, quando frate Elia allestì la prima chiusura del sepolcro sotto l’altare della chiesa inferiore, sulle cui fasi successive vi sono peraltro discordi opinioni (Gatti, 1983).
È verosimile che anello, grani e monete fossero stati offerti da devoti, inseriti nei quattro anni di accessibilità della tomba nella chiesa di San Giorgio, quando il sarcofago era coperto da una griglia di metallo (Compendio, 1820, p. 135; Brooke, 2006, p. 465).
È stato perfino suggerito che l’anello potesse essere stato offerto da Giacoma dei Settesoli, presente alla morte del santo e a lui cara (Brooke, 2006, p. 465). I vaghi, o grani, erano 13 di ambra e 17 di ebano, forse appartenenti a due collane diverse, o forse corone di rosario.
Secondo la relazione pubblicata nel 1819, le monete sarebbero state inserite come segno cronologico della traslazione, come in altre tombe di santi (Guadagni, 1819, p. 138). Certamente i devoti volevano lasciare un’offerta personale accanto ai corpi santi e sembra che le autorità preposte alla loro sepoltura di questi ultimi lasciassero gli oggetti donati, o una parte, prima di sigillare definitivamente la tomba; potevano, inoltre, esse stesse aggiungere offerte.
Non vi sono fonti scritte in merito, ma conosciamo numerose tombe di santi le cui ricognizioni hanno documentato presenza di monete e altri oggetti. I 12 denari della tomba di Francesco corrispondono al valore di un soldo, cifra simbolica, sia come eventuale porzione di un maggior numero di denari offerti (Saccocci, 1999), sia come segno cronologico del momento della traslazione (Travaini, 2013a; 2013b).
Monete come offerta e monete come memoria
Con ogni probabilità le monete correnti erano effettivamente usate come offerta e memoria cronologica, segno del tempo, e così sembra anche per altre tombe per le quali è noto con certezza il momento della sepoltura o traslazione, come nel caso di quella di san Geminiano nel duomo di Modena.
Qui nella ricognizione del 1955 furono rinvenuti 72 denari di lega argentea e 2 crocette d’argento; di questi denari, 18 lucchesi di tipo più antico e forse un denaro di Verona potrebbero essere stati depositati nel 1106, in occasione della traslazione alla presenza del vescovo e della contessa Matilde di Canossa, la quale donò anche un prezioso pallio decorato da crocette d’argento provenienti dalla Terra Santa; altri denari di Milano, Cremona, Mantova, Venezia, Ferrara e un altro denaro lucchese di un tipo più recente furono deposti al momento della ricognizione del 1184, cui partecipò papa Lucio III.
Per quanto di povero valore, all’epoca questi denari erano le uniche monete circolanti ed erano segno e identità di coloro i quali le usavano, quindi anche memoria del loro tempo. Questo uso può essere compreso in un contesto di tombe di santi, per le quali si potevano prevedere manomissioni e necessità di ricognizioni.
Vista la presenza di papa Lucio III per san Geminiano, si potrebbe avanzare anche un’altra ipotesi per la deposizione di denari nella tomba di Francesco: papa Gregorio IX si recò ad Assisi nel luglio 1228, per la sua canonizzazione, e il primo biografo del santo, Tommaso da Celano, scrive chiaramente che, nel corso della grande cerimonia davanti alla chiesa di San Giorgio, il papa volle scendere nel santuario per «offrire voti e sacrifici» (offerenda vota et sacrificia) e baciare la tomba contenente il sacro corpo (Brooke, 2006, p. 37).
Non potremo confermarlo ma resta il fatto, ancora poco noto, di un’offerta quasi sistematica di monete nelle tombe di santi medievali in Italia in occasione di ricognizioni e traslazioni alla presenza delle più alte autorità ecclesiastiche.
I reperti numismatici come “fossili guida”: quando e perchè?
L’interpretazione di monete in tombe di santi come memoria e “certificazione” cronologica può essere proposta soltanto nei casi di tombe non manomesse dopo la chiusura ufficiale, e non accessibili ai devoti, come nel caso di quella di san Francesco dopo il 1230.
In caso di tombe accessibili ai fedeli, invece, le ricognizioni hanno mostrato una presenza di monete con larga escursione cronologica, offerte nel corso del tempo da parte dei devoti, come nel caso della tomba di Catervio nel duomo di Tolentino. Si tratta sempre, o quasi, di monete di basso valore, e ciò si può spiegare in vari modi: al tempo di frate Francesco i denari di Lucca erano le uniche monete in circolazione e avevano un valore basso.
Sebbene non si battessero monete d’oro, se i responsabili della sepoltura del santo avessero ritenuto opportuno lasciare un’offerta di valore in moneta, non sarebbe stato difficile reperirne una d’oro bizantina o islamica; ma così non fu.
Anche in epoche in cui erano disponibili monete più preziose rispetto ai denari, nelle tombe di santi ne troviamo generalmente soltanto di basso valore, scelte non solo perché erano probabilmente parte delle offerte dei devoti, ma anche per altre ragioni, non economiche: se Matilde di Canossa offrì un manto preziosissimo alla tomba di san Geminiano, perché le monete erano sempre denari di poco valore? Perché un devoto facoltoso, nel Duecento o più tardi, non offrì un denaro grosso d’argento al santo venerato? E, se lo avesse offerto, davvero il clero responsabile della traslazione avrebbe preso per sé le monete più preziose lasciando soltanto una porzione di quelle “povere”?
Secondo Andrea Saccocci (1999) le monete nelle tombe dei santi vanno interpretate come una porzione delle offerte dei devoti lasciate dai responsabili della sepoltura o della ricognizione delle spoglie; a mio parere, oltre a questo aspetto accettabile, vi era anche una scelta precisa da parte delle autorità religiose. Infatti, le monete di poco valore e di uso generale avevano due pregi: erano testimoni del tempo quotidiano, segni di identità e potenzialmente di memoria cronologica; inoltre, proprio per lo scarso valore, erano monete “buone”, come quelle offerte dalla vedova (Lc 21, 1-4), e non erano “pericolose per l’anima” (Travaini, 2009, p. 38; 2013a, pp. 17-8). Tali monete (pur se di cattiva qualità e fattura) erano quindi moralmente buone, e come tali potevano essere accettate anche in una tomba santa come offerta di ricchi e di poveri.
Altre evidenze numismatiche da luoghi francescani
I denari nella tomba non sono gli unici rinvenuti in luoghi di culto legati a san Francesco. Ne sono stati trovati altri simili in scavo, collocati in posizione sigillata sotto il pavimento della chiesa di San Damiano ad Assisi.
Non è una chiesa secondaria: fu ricostruita da frate Francesco nel 1205 in obbedienza alla richiesta del Crocifisso di “restaurare” la sua chiesa (fisica e spirituale). Grado Giovanni Merlo ha ricordato come gli episodi del restauro delle chiesette di San Damiano e di Santa Maria della Porziuncola abbiano «valenza simbolica tanto elevata da far diminuire la loro corrispondenza fattuale» (Merlo, 2003, p. 15).
Non dobbiamo quindi immaginare necessariamente frate Francesco con la cazzuola in mano, ma possiamo almeno vedere in questo ritrovamento la traccia di una consuetudine che sembra essere stata diffusa nel medioevo e nell’antichità. La motivazione può essere forse letta come intenzione di offerta intesa a onorare la divinità e chiedere la protezione dell’edificio e di tutte le azioni (fisiche e morali) legate a questo restauro.
Anche qui non si può escludere una funzione di memoria cronologica, come attestato nel 1325 per la Torre del Mangia a Siena nelle parole di un cronista anonimo trecentesco: «L’operaio del chomuno di Siena mise in fondo di detta torre alquanta moneta per memoria di detta torre» (Travaini, 2009, p. 34).
I rituali di fondazione nel medioevo, come nell’antichità, erano diffusi e complessi, e vi è ora un’importante documentazione archeologica del XII secolo dalle mura di Tusculum (Mandatori, 2017).
Si trattava di un gesto votivo spesso ufficiato con grande cerimonia pubblica, in cui le monete, durevoli e non effimere, erano di solito presenti, da sole o accanto ad altre offerte, insieme ai gesti e all’acqua santa (Travaini, 2009; 2013a).
Bibliografia essenziale
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