In una missiva del 1895 il futuro re parla della sua passione; così, rileggendo la posta del principe, si scoprono dettagli numismatici interessanti
di Roberto Ganganelli | La formazione della raccolta di monete italiane di Vittorio Emanuele III rappresenta uno dei fenomeni culturali più interessanti vissuti nel nostro Paese tra il XIX e il XX secolo; abbracciando 65 anni (dal 1881 al 1946), coinvolgendo a vario titolo numerose persone tra commercianti, collezionisti, curatori di musei e di medaglieri pubblici, e interessando al tempo stesso uomini di corte come esponenti della politica e della cultura, la Collezione reale ha rappresentato infatti, per lungo tempo, un polo di attenzione e un argomento di fertile dibattito.
Ammirata e condivisa, esaltata tra le attività preferite dal sovrano e, talvolta, perfino dileggiata come “vizio infantile”, la passione del re d’Italia per le monete è stata oggetto di pubblicazioni di notevole interesse scientifico e documentario – in primis, le due edizioni di Storia di una passione. Vittorio Emanuele III e le monete di Lucia Travaini – che hanno permesso agli studiosi di tutto il mondo di venire a conoscenza di quella vera e propria impresa che fece meritare a Vittorio Emanuele III l’appellativo di “re numismatico”, anche a motivo della redazione del Corpus Nummorum Italicorum.
Una passione e una collezione come quella del re, tuttavia, non si esauriscono certo in se stesse: non sono soltanto le monete – poche decine o molte migliaia che siano – le uniche testimoni di un quotidiano e costante impegno di ricerca, accumulazione, sistemazione e approfondimento; ad esse si affiancano infatti i libri, le riviste, i listini e il carteggio, ricchissimo, che il sovrano intrattenne, nel corso di decenni, con amici di vecchia data, studiosi, mercanti e perfino con i familiari e i precettori della sua infanzia.
Parte delle missive di argomento numismatico scambiate da Vittorio Emanuele con i suoi corrispondenti sono già note agli studiosi per essere state pubblicate dalla stessa Travaini, altre a motivo della loro presenza nel volume La giovinezza di Vittorio Emanuele III nei documenti dell’Archivio Osio curato da Mario Bondioli Osio oppure in opere meno recenti, come la celebre Cronaca del Regno d’Italia di Giovanni Artieri e la Rassegna Numismatica di Furio Lenzi, che nel 1931 dedicò ampio spazio al “giubileo” della Collezione reale (che si vuole iniziata nel 1881, quando il principino aveva appena 12 anni, con il soldo di Pio IX donato dalla sua governante).
Riuscire a reperire sul mercato, tuttavia, qualcuna di queste missive – un autografo di Vittorio Emanuele, per di più di contenuto numismatico – è invece cosa tutt’altro che semplice e, per questo, la lettera che pubblichiamo rappresenta una vera e propria “chicca”.
La lettera, messa gentilmente a disposizione da un appassionato collezionista, è indirizzata “All’On. le Professore Luigi Morandi | Deputato al Parlamento Nazionale | Città di Castello”, reca la data del 22 ottobre 1895 e i timbri postali di Firenze ferrovia e Città di Castello, in provincia di Perugia, del giorno successivo. Affrancata con un esemplare da 20 centesimi arancio della serie emessa a partire dal 1891, è contenuta in una busta di tipo assolutamente ordinario, senza indicazione del mittente.
Questa la trascrizione integrale del testo, scritto di pugno dell’allora principe di Napoli su tre facciate: “Firenze | 22 Ott. 95.- | Carissimo Professore,- | mi affretto a ringraziarLa | delle sue buone righe, e dei | due interessanti opuscoli. | Ella è davvero molto gentile | ricordandosi delle mie monete;- | mi permetto di restituirLe | il disegno, caso mai potesse servi = | re ancora al proprietario | della moneta. – Da qualche anno | non ricerco che monete medioe = | vali e moderne di zecca italiana;- |
ho dovuto abbandonare la | raccolta delle monete classiche, | poiché ho veduto che solo col | limitare il campo delle mie | ricerche, potevo sperare di | riunire una raccolta discreta.- | Ora posseggo circa dodicimila | pezzi italiani;- recentemente | ho trovato uno zecchino battuto | a Perugia da Papa Leone X°, | moneta che ritengo inedita | poiché reca il grifo perugino non (aggiunto, Nda) | seduto .- La moneta di |
Galba, è,- salvo errore,- citata | nella celebre opera di Henry | Cohen, e valutata £ 150,00 ;- questo, | caso mai La potesse interessare, potreb = | be essere facilmente riscontrato da | qualche studioso di monete romane.- | Di nuovo mille e mille | grazie. – Voglia,- La prego,- | credermi suo aff. mo | V di Savoia”. Alla lettera è allegato un calco a matita, su carta velina, di una moneta della zecca di Perugia con le indicazioni del metallo (monogramma “AV”) e la dizione “Raccolta Principe | di Napoli = 1895 =”.
Nato a Todi il 18 dicembre 1844, da un famiglia di origini transalpine stabilitasi in Italia poco dopo la Rivoluzione del 1789, Luigi Morandi compì i primi studi nella sua città natale. A sedici anni, tuttavia, si trasferì a Perugia dove lavorò per mantenersi agli studi presso la Scuola normale (l’Istituto magistrale) conseguendo, in capo a due anni, il diploma di maestro grazie al quale si adoperò aprendo alcune scuole serali, attività che per un certo tempo affiancò a quella, forse meno “prestigiosa” ma di certo più redditizia, di gestore di un negozio di tabacchi.
Volontario garibaldino, nel 1867 partecipò alla battaglia di Mentana con il grado di tenente e rimase ferito. Avendo soccorso Garibaldi, ricevette da questi la sua “seconda” spada, cimelio oggi appartenente a collezione privata e fu da iniziato sul campo, dall’Eroe dei due mondi, alla Massoneria. A partire dall’ottobre 1868, Morandi insegnò nel Ginnasio e nell’Istituto tecnico comunale di Spoleto, dove prestò servizio per dodici anni.
Figura appassionata di educatore, pubblicò svariati saggi, fondò una banca popolare, una delle primissime biblioteche circolanti e la rivista letteraria e scientifica L’Umbria e le Marche, dalle cui colonne cercò in tutti i modi di diffondere tali biblioteche. La sua battaglia per l’alfabetizzazione dell’Italia lo portò inoltre a donare la propria biblioteca personale, che oggi rappresenta uno dei fondi più cospicui della Biblioteca comunale di Bergamo.
Nel 1874 ottenne la cattedra d’Italiano nell’Istituto tecnico di Forlì, quindi insegnò a Modena e poi a Parma, e nel 1879 fu a Roma. Dopo aver esercitato per molti anni nelle scuole medie e superiori fu costretto ad abbandonare la scuola a causa di alcuni problemi di salute; nel 1880 fu nominato libero docente di Letteratura italiana all’Università “La Sapienza” e per il suo impegno civile ed educativo, dal 1881 al 1886 fu scelto – su proposta di Ruggiero Bonghi, eminente filologo – quale precettore del futuro re Vittorio Emanuele III frequentando assiduamente il palazzo del Quirinale e impartendo al giovanissimo principe lezioni di grammatica e di letteratura.
Nel 1895 Morandi fu eletto deputato per il collegio di Todi, che rappresentò alla Camera nei successivi nove anni. Nel 1905 fu nominato invece senatore del Regno partecipando complessivamente per quattro legislature ai lavori del Parlamento italiano, dove sedette tra i banchi della Destra come esponente della corrente liberale di Cavour.
Il 20 dicembre 1919, anche i suoi meriti letterari ebbero un prestigioso riconoscimento con la nomina a socio dell’Accademia della Crusca. Si spense a Roma il 6 gennaio del 1922 lasciando due figli: alla femmina aveva dato il nome di Anna, mentre il maschio era stato chiamato Vittorio in omaggio al sovrano di cui Morandi era stato educatore. La moglie, Imogene, era scomparsa già da molti anni.
Risale al 1901 la prima edizione del volumetto dal titolo Come fu educato Vittorio Emanuele III, opera che ebbe la fortuna di varie edizioni narrando, in verità con un taglio alquanto agiografico, parte delle vicende “scolastiche” del terzo re d’Italia.
Quest’ultimo, tuttavia, almeno stando ad una lettera scambiata con l’amico colonnello Egidio Osio diede l’impressione di non gradire più di tanto l’omaggio dell’ex precettore, tanto che ne ebbe a scrivere (era il 13 aprile del 1901): “[…] Ha visto il libro del Morandi? Non avrei mai pensato che si potessero stampare tante ridicolaggini. L’intenzione dell’autore era certamente buona, ma egualmente buona non è stata la riuscita del lavoro; pare davvero che il senso comune venga così chiamato perché tanto raro”.
Al di là di questa laconica quanto pungente valutazione, l’opera del letterato umbro è interessante perché contiene aneddoti sull’infanzia del futuro re, immagini poco note del principino di Napoli ed alcune pagine dedicate alla passione numismatica di Vittorio Emanuele a testimonianza della quale – oltre al più volte citato componimento dal titolo Il mio Medagliere del 9 aprile 1883, in cui il principino descrive i suoi primi passi nel mondo del collezionismo – è riprodotta (nella tav. IX) parte della lettera qui pubblicata, evidentemente la più significativa sotto il profilo numismatico (o forse l’unica) tra quelle possedute dal professor Luigi Morandi.
Alla missiva, come detto, è allegato un calco a matita – di ottima qualità, a testimonianza della cura che Vittorio Emanuele profondeva in ogni aspetto delle ricerche numismatiche – di una rarissima moneta in oro di Perugia, il ducato “di 2° tipo” (Finetti p. 202 n. 152, Cni XIV p. 200 n. 1 e tav. XIV n. 14) emesso durante il pontificato di Leone X (1514-1521).
L’esemplare, a quanto si può intendere dal manoscritto, era stato acquistato da Vittorio Emanuele tramite il Morandi e, con la lettera qui pubblicata, il principe si preoccupava di restituirne un calco al proprietario. Indicata come “zecchino”, definizione presente anche nel XIV volume del Corpus dedicato alle zecche umbre e alle officine minori del Lazio, la moneta reca al dritto lo stemma Medici a cuore con chiavi e triregno; in cerchio LEO (rosetta) PP (rosetta) D | ECIMVS (stella) (rosetta) entro un doppio cerchio di perline. Al rovescio il grifone coronato e rampante con, sotto le zampe anteriori, l’armetta del legato cardinale Ciocchi del Monte e, in cerchio, + (rosetta) AVGVSTA (rosetta) PER | VSIA.
L’esemplare, di splendida conservazione, fu battuto a Perugia tra l’aprile del 1514 e il giugno del 1516, ha un diametro di circa mm 24 ed un peso di g 3,38 ed è oggi conservato nella Collezione reale presso il Museo nazionale romano di Palazzo Massimo. Nella lettera, Vittorio Emanuele cita la tipologia come “inedita” e non a torto dato che in quella che era, a fine Ottocento, l’opera di riferimento sulla zecca umbra (Della Zecca e delle Monete perugine di Giovan Battista Vermiglioli, Perugia 1816), non sono riportate altre coniazioni in oro per Leone X se non quella con il grifone rampante e coronato e la figura di sant’Ercolano, compatrono della città (Finetti p. 201 nn. 150-151, Cni XIV p. 200 nn. 2-4 e tav. XIV n. 15).
Nulla si può ipotizzare, invece, in merito alla “moneta di Galba” della quale il principe fornisce al Morandi la valutazione secondo Cohen invitandolo, peraltro, a far riferimento “a qualche studioso di monete romane” per maggiori ragguagli: una modestia e un senso del ruolo – e, perché no, dei propri limiti scientifici – che rendono merito a Vittorio Emanuele.
Un’ultima annotazione sul luogo di destinazione della lettera: non risulta, infatti, che il Morandi abbia risieduto stabilmente o per lunghi periodi a Città di Castello, centro con il quale ebbe tuttavia intensi legami, avendo dato alle stampe varie opere con l’editore locale Scipione Lapi. Evidentemente, però, il principe doveva essere a conoscenza – forse a seguito di una precedente missiva – del luogo in cui avrebbe potuto contattare, in quei giorni di ottobre del 1895, l’antico precettore, per condividere con lui la sua passione numismatica.
Una passione che, all’età di appena ventisei anni, lo vedeva già in possesso di oltre dodicimila esemplari e maturo a sufficienza da comprendere come solo un’accorta delimitazione dell’ambito di interesse avrebbe potuto condurlo ad “una raccolta discreta”.
La storia ci insegna come, nei decenni che seguirono, quella raccolta sarebbe divenuta ben più che “discreta” tanto da trasformarsi in un elemento di primo livello del patrimonio culturale italiano.
Bibliografia essenziale
- Bondioli Osio Mario 1998 La giovinezza di Vittorio Emanuele nei documenti dell’Archivio Osio, Simonelli Editore, Milano.
- Finetti Angelo 1997 La zecca e le monete di Perugia nel Medioevo e nel Rinascimento, Volumnia Editrice, Perugia.
- Morandi Luigi 1901 Come fu educato Vittoio Emanuele III, Ditta G. B. Paravia e Comp., Torino.
- Pala Maria Giuseppina 2008 Luigi Morandi, scrittore, critico e pedagogista dell’Italia unita in Gli scrittori d’Italia. Atti del XI Congresso nazionale dell’ADI, Gradus, Grottammare (Ap).
- Savoia Vittorio Emanuele 1933 Corpus Nummorum Italicorum. Volume XIV. Umbria. Lazio (zecche minori), Roma.
- Travaini Lucia 2005 Storia di una passione. Vittorio Emanuele III e le monete (II edizione), Edizioni Quasar, Roma.
- Vermiglioli Giovan Battista 1816 Della Zecca e delle Monete perugine, Dalla tipografia di Francesco Baduel, Perugia.