Attraverso monete e medaglie papali, la vitale importanza politica del grano, tra produzione e approvvigionamento
di Roberto Ganganelli | Pane e vino: due prodotti fondanti della civiltà occidentale e due termini del quotidiano che assumono grande rilievo nella religione e nella cultura cristiana, dal momento che nell’Eucaristia le due specie incarnano il corpo ed il sangue del Cristo, morto in croce e risorto per la salvezza degli uomini.
Già nei libri dell’Antico Testamento il pane ha, del resto, una marcata e multiforme valenza simbolica; il suo gusto, ad esempio, caratterizza le diverse situazioni della vita: mangiare un pane di “lacrime” o di “cenere” indica una circostanza dolorosa (SAL 42, 4; IS 30, 20); il contrario è un “pane di gioia” (QO 9, 7).
Il pane è inoltre segno universale di ospitalità e condivisione; mangiare il pane con qualcuno significa essere suo amico, godere della sua intimità e fiducia (GV 13, 18). Del resto il pane è anche uno dei segni più forti dell’amore di Dio: la sua abbondanza indica la benedizione celeste sull’uomo e, per questo, Gesù insegna a chiedere a Dio Padre il “pane quotidiano” riconoscendo la sua provvidenza (MT 6, 9-15).
Nel Nuovo Testamento il grano e il pane, in particolare, ricorrono spesso; Gesù infatti vi fa più volte riferimento nelle sue parabole e uno miracoli più importanti che compie è proprio quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci (MT 14, 15-21).
Il pane è, d’altra parte, sinonimo della Parola di Dio e tale analogia è di antichissima tradizione biblica (AM 8,11). La mancanza di pane, per contro, è segno del silenzio di Dio. Gesù afferma di essere egli stesso la Parola di Dio (il Verbo): di conseguenza si identifica con il pane (GV 6, 1-15) e ripetutamente parla del Regno di Dio come di un campo di grano.
Anche in altri casi (LC 8, 4-8; 11-15) il seme gettato rappresenta la Parola di Dio come pure l’uomo che abbraccia la fede e la conversione (GV 12, 24) e che merita la salvezza eterna (MT 13, 30). Il chicco di grano diventa infine anche immagine dell’individuo come parte dell’umanità messa alla prova da Satana (LC 22,31).
Grano e pane rivestono sia il ruolo di alimenti della vita biologica che di quella spirituale dal momento che Gesù, nell’ultima cena, prende il pane, recita la preghiera di benedizione, lo spezza e lo dà ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate: questo è il mio corpo” (MT 26, 26).
“Spezzare il pane” significa dunque, spesso, celebrare insieme l’Eucarestia (AT 2, 46), cioè la “cena del Signore” (AT 2, 42). San Paolo, in particolare, attribuisce al pane eucaristicoun forte significato: “Il pane che spezziamo ci mette in comunione con il corpo di Cristo. Vi è un solo pane e quindi formiamo un solo corpo anche se siamo molti, perché tutti mangiamo quell’unico Pane” (COR 10, 16-17).
Il grano è indicato nel Nuovo Testamento come il primo e più importante tra i beni terreni dell’uomo (LC 12, 18) in quanto vitale per il suo sostentamento. Un aspetto comune a varie civiltà e che, dunque, va oltre la religione cristiana e si perpetua nel tempo e nello spazio, anche nella dimensione sociale e politica, nell’evoluzione dei consorzi umani e perfinonella stabilità dei sistemi istituzionali e di potere.
Far sì che gli approvvigionamenti dei generi di prima necessità – in particolare il grano – fossero regolari e disponibili per tutta la popolazione è stata un’esigenza per chiunque abbia detenuto il potere nel corso della storia, dagli imperatori di Roma ai Signori del Rinascimento.
Non fa eccezione, in questo, nemmeno lo Stato Pontificio nella cui storia plurisecolare raccolti abbondanti e carestie, periodi di stabilità e fasi di turbolenza si sono alternate più volte rendendo necessaria una sempre più complessa ed efficiente organizzazione delle scorte di frumento, un’attenta sorveglianza sui prezzi e, talvolta, vere e proprie “operazioni straordinarie” volte a far fronte a situazioni di emergenza.
La valenza concreta e quella spirituale del grano, in particolare, hanno trovato nei secoli una serie di riflessi nella ricca monetazione e nella splendida galleria medaglistica dei papi; così, pur senza la pretesa di tentare una rassegna sistematica delle monete e delle medaglie papali recanti riferimenti al frumento, prenderemo perciò in esame una serie di coniazioni esempio sulle quali il grano, sotto forma di spighe, da evidenza iconografica si fa “segno” e “simbolo”, spesso legato con passaggi ed immagini derivate dalle Sacre Scritture (ma anche con la mitologia e la cultura classica) o al contrario, in diretto collegamento con la realtà terrena e il sostentamento materiale dell’uomo.
Col grano ritroveremo Cerere, l’Annona, i mietitori e i buoi aggiogati all’aratro, tutte espressioni di quel mondo agricolo che è alla base dell’alimentazione e, quindi, della stessa sopravvivenza umana.
Le prime spighe di grano “germogliano” nell’araldica pontificia e, con essa, nella monetazione petrina a metà del XVI secolo con papa Marcello II Cervini (9 aprile – 1° maggio 1555): il suo stemma, infatti, è “D’azzurro, al cerbiatto coricato su di una pianura al naturale e attraversante alla base le nove spighe di grano disposte a ventaglio a tre a tre, il tutto d’oro”.
E se l’animale è immagine “parlante” collegata al cognome, di origine francese, il frumento – generico simbolo di fertilità – non sembra rivestire, almeno alla luce delle conoscenze attuali, uno specifico significato.
La Profezia di Malachia (che si vuole risalente al XII secolo, ma la cui origine è assai incerta) fatuttavia riferimento a questo papa con il motto latino “Frumentum floccidum”, ossia “Grano di nessun valore” in quanto il suo ministero, troppo breve, non avrebbe potuto portare frutti.
Il blasone Cervini è l’unico, nell’armoriale dei papi, a raffigurare delle spighe ed appare sia sui giulii per Roma ed Ancona che sulle gabelle bolognesi, tutte emissioni di notevole rarità. Il brevissimo pontificato non permise l’emissione di medaglie ufficiali, anche se tra le tipologie postume o commemorative riferite a Marcello II ne figura una, di fine XVI secolo, coniata con ritratto opus Federico Bonzagni e stemma di anonimo incisore.
Sempre tra le postume è da annoverare un’altra raffinata coniazione originariamente opera del Bonzagni, riconiata tra il XVII e il XIX secolo con al rovescio la figura allegorica della HILARITAS PONTIFICIA – mutuata dalla tradizione iconografica romana – con palma e cornucopia traboccante di frutti e spighe.
Un altro breve pontificato, quello di Gregorio XIV Sfrondati (1590-1591) vede di nuovo coniugasi tradizione classica ed “attualità” con la medaglia del 1591 opera di Niccolò De Bonis sulla quale il ritratto del pontefice è abbinato aduna figura dell’Annona in piedi, con spighe nella destra e cornucopia di frutti nella sinistra, ed al motto latino DIEBVS FAMIS SATVRAB, in allusione ai provvedimenti presi dal papa contro la carestia e la peste che affliggevano gli Stati della Chiesa, e non solo, in quegli anni difficili.
Un’Annona piuttosto “statica”, ma interessante in quanto mutuata in maniera evidente dalle antiche monete imperiali, che si contrappone ad una personificazione elegantissima e leggera, danzante e innovativa, quella incisa da Gian Cristoforo Romano su una medaglia di Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605) dell’anno VII di pontificato.
L’ANNONA PVBLICA, in questo caso, incede infatti verso destra, quasi danzante e sollevando verso il cielo – a ringraziare il Creatore per il dono dei raccolti – un fascio di spighe di frumento.
La dea Annona, di origine italica e che nella tradizione presiedeva alla partizione del raccolto per la semina successiva, e come granaio di riserva per le carestie, diviene ben presto qualcosa di molto concreto, un’istituzione statale organizzata e regolata da editti, provvedimenti temporanei e permanentie dotata di personale, uffici e grandi magazzini per la raccolta del grano (e, più in generale, delle derrate alimentari).
Un’istituzione che, di fatto, come già avveniva in epoca imperiale operaprevalentemente per la città di Roma: in regioni diverse dello Stato della Chiesa, le Marche, le Legazioni di Romagna, Bologna e Ferrara, l’approvvigionamento granario delle città, data la ricchezza agraria delle stesse regioni,gode invece di una certa regolarità, fatte salve le stesseeccezioni che guerre o annate infauste provocano, periodicamente, nei rifornimenti annonari di tutta la Penisola.
Nel loro insieme, le regioni che la Chiesa governa sono in generaleterritori con esubero piuttosto che carenza di frumento: l’antitesi dell’Urbe che, proprio con i provvedimenti dell’Annona Pontificia, “tampona” le ricorrenti emergenze. Un’istituzione che, con un piccolo passo indietro, troviamo celebrata anche da Gregorio XIII Boncompagni, ad esempio in una solenne medaglia del 1575 sulla quale, tuttavia, le spighe riempiono un moggio posto ai piedi della figura femminile. Per inciso, Gregorio XIII e Paolo V furono i primi pontefici a predisporre, nell’antica area delle Terme di Diocleziano, ampi magazzini granari tali da emulare quelli dell’epoca imperiale.
Cesare De Cupis, autore di un’approfonditastoria della politica annonaria papale (Le vicende dell’agricoltura e delle pastorizia nell’Agro Romano. L’Annona di Roma giusta memorie, consuetudini e leggi, Tipografia Nazionale “G. Bertero”, Roma 1911) menziona come calmiere fondamentale, per un ampio arco secolare, quello fissato da Paolo V con il motu proprio del 4 novembre 1606.
I valori monetari citati da De Cupis considerano una qualità di pane che viene ricavato nella proporzione di 500 libbre (kg 165,5) per rubbio di frumento (lt 245,96, quindi circa 217 kg); un pane, quindi, di “fiore di farina” che, seppure sottoposto al calmiere, era un genere di lusso: altre fonti mostrano che il parametro di conversione del frumento in pane di qualità inferiore impiegato dai magistrati pontifici era di 730 libbre per rubbio.
Il metodo di determinazione del prezzo del pane è interessante: considerata la quantità di pane che si può ricavare da un rubbio di grano, il pontefice stabiliva il peso della pagnotta che i forni destinati al consumo popolare dovevano offrire per un baiocco (L. 0,053), quando il frumento avesse un costo di 5 scudi al rubbio (L. 26,87), oppure quando il frumento costasse 10 scudi (L. 53,75). Per prezzi del frumento intermedi dovevano valere pesi proporzionali.
Gli ufficiali dell’Annona, che provvedevano i fornai di frumento, dovevano vigilare che questi rispettassero il rapporto di legge tra prezzo del pane e peso della pagnotta.
Se la materia prima fosse costata all’Annona tanto da abbassare eccessivamente il peso della pagnotta da un baiocco, era prescritto che essa fosse venduta ad un prezzo inferiore a quello che avrebbe imposto il prezzo del frumento addebitando la perdita, al fine di preveniretumulti popolari, alla Camera Apostolica.
Anche i “granai di Roma”, i magazzini del frumento, ci vengono documentati dalla medaglistica pontificia. Urbano VIII Barberini (1623-1644), ad esempio, celebra il palazzo dell’Annona edificato a Porta Pia con una coniazione di Gaspare Morone del 1642 al motto di VBERIORI ANNONAE COMMODO sulla quale, tra rami d’alloro, spicca in primo piano la facciata dell’edificio con, di sfondo, una veduta prospettica che ne esalta la grandiosità.
Nella seconda metà del XVII secolo, in una sorta di continuo alternarsi fra tradizione classica e “modernità”, un’altra, rarissima medaglia opera di Giovanni Hamerani vede invece Clemente X Altieri (1670-1676) preoccuparsi, già alla fine del 1673, degli approvvigionamenti di grano in vista dell’Anno Santo indetto per il 1675: sull’elegante rovescio Cerere coronata di spighe è seduta, con cornucopia e fascio di spighe, mentre al suo fianco due putti sono impegnati nella raccolta del grano.
ABVNDANTIVM HABEANT recita il motto che circonda la scena agreste, raffinata e realistica al punto di mostrarci, nel bel mezzo dei campi, un mietitore al lavoro, due contadini intenti a caricare covoni di spighe su un carro e di sfondo un casale, alberi e colline.
La vitale importanza del grano nella politica pontificia trova riflesso anche in moneta, alla fine del Seicento, quando Alessandro VIII Ottoboni (1689-1691) fa coniare dagli Hamerani, presso la zecca di Roma, il celebre testone (1690-II) e la rarissima, identica (e controversa) quadrupla sul cui rovescio – caso unico nella monetazione dei papi, e rarissimo in generale – non sono solenni personaggi, allegorie, vedute architettoniche o epigrafi propagandistiche a dominare la scena, bensì una placida coppia di buoi aggiogati all’aratro, andanti verso destra, col solo decoro di due spighe e del motto RE FRVMENTARIA RESTITVTA.
Il testone con questa scena “rurale” viene coniato per pubblicizzare le agevolazioni alla coltivazione del grano nel Lazio che si ebbero con il parziale svuotamento nel 1690 dei magazzini di grano dell’Annona Romana, che sarebbe rimasta attiva fino alla soppressione nel 1800 con Pio VII.
In realtà, l’immagazzinamento e la gestione delle scorte di grano era un vero e proprio business per la città di Roma, verso cui si faceva confluire grano da tutta Europa, a seconda di chi aveva da ricavarne profitto.
Questo, ovviamente, iniziò a provocare malcontento nei mercanti e tra i produttori locali.
Alessandro VIII istituì così una commissione incaricata di verificare se effettivamente la pratica dell’Annona ostacolava la vendita del frumento locale. Quello che emerse era che nei magazzini dell’Annona erano conservati oltre 30 mila rubbi di frumento (più di 6.500 tonnellate) e, col consenso del papa, si decise di ridurre di un terzo tali scorte che, per evitare il crollo del mercato locale, vennero esportate via mare in paesi esteri.
In pratica, dopo che la Camera Apostolica aveva dovuto impegnare ingenti somme nell’acquisto del grano da chissà dove, dovette spendere cifre altrettanto significative per “esportare” il grano verso chissà dove.
All’epoca, tuttavia, la decisione venne comunicata “Urbi et orbi” in modo ben diverso, al punto da figurare come un evento degno di essere ricordato in moneta. Una moneta di medio valore, peraltro, che – se non certo i poveri – buona parte dei romani prima o poi si vide passare tra le mani, a maggior gloria di papa Alessandro…