Talvolta sono apparsi sul mercato ibridi numismatici “senza senso” recanti, ad esempio, il D/ di una moneta italiana e il R/ di una russa. Eccone storia ed origine
di Roberto Ganganelli | Al termine inglese mule la maggior parte dei vocabolari (vedi, ad esempio, il Vocabolario Treccani online) fa corrispondere una definizione che indica “un ibrido tra due piante o due animali, solitamente sterile”. Tale è il mulo, in effetti, in natura, in quanto incrocio tra l’asino stallone e la giumenta e che, a causa dei rispettivi corredi cromosomici, rendono il “cucciolo” – il mulo, per l’appunto – sterile a causa del numero dispari di coppie cromosomiche (63).
Vi chiederete: cosa c’entrano i muli con la numismatica? Più di quel che si creda, anche per quanto riguarda quella italiana e, al proposito, più di quanto sia stato scritto da fonti autorevoli come Antonio Pagani nel 1957 (Prove e progetti di monete italiane) o Domenico Luppino nel 2012 (Prove progetti e rarità numismatiche della monetazione italiana dal secolo V al 2002). Nemmeno Cronaca numismatica, fino ad ora, se ne era mai occupata.
Casus belli di questo nostro studio sono infatti, innanzi tutto, due esemplari leggermente differenti in argento, di finezza non meglio precisata, diametro 21 millimetri, il primo dei quali riporta al dritto il ritratto di Vittorio Emanuele II eseguito da Filippo Speranza con data 1863 (che, per diametro, si può associare soltanto al conio delle 20 lire oro battute a Torino) e al rovescio la bellissima ed elaborata aquila bicipite degli zar di Russia che, per vari decenni, figurò sulla moneta in argento da 20 copechi.
A questo si aggiunge un secondo tondello, di simile diametro e di nuovo in argento, dove al ritratto del “re galantuomo” è stranamente abbinato quello del “vicino di casa” Napoleone III laureato; stavolta la data è 1873 sulla faccia “italiana” del tondello, (quindi, quella di un marengo di produzione milanese oppure romana) mentre manca – come prassi – su quella francese dato che il millesimo, sulle monete da 20 franchi oro d’Oltralpe, in quel periodo veniva collocato al rovescio.
E “cosa ci azzecca” poi, per usare un adagio in voga qualche anno fa, la bella personificazione dell’Helvetia seduta che appare sulla rarissima 20 franchi coniata (solo come prova, si badi bene) a Berna e Bruxelles nel 1873 col profilo di Leopoldo II dei Belgi millesimato 1876? Il tutto, per di più, su un tondello in rame di 21 millimetri con stampigliato lungo il taglio CHAM PNEY *** BOSTON *? E la stessa Helvetia su un simile tondello in argento ma in coppia con Napoleone III?
Facendo il punto sulla bibliografia esistente a livello italiano ed europeo ci si accavallano ipotesi, smozzicate possibilità e parziali spiegazioni che, tuttavia, grazie a qualche ricerca nei cataloghi d’asta dove i tre ibridi sono stati proposti e ad alcuni archivi pubblici d’Oltreoceano ci raccontano una storia di grande interesse.
Protagonista è un ingegnere americano, che, come recita la specifica di brevetto n. 499.821 rilasciata il 20 giugno 1893 dallo United States Patent Office, si chiamava George Francis Champney ed era residente a Taunton, nel Massachussets. Costui, da anni, aveva ideato e perfezionato una macchina riproduttrice di conii per monete e medaglie, la cui struttura è spiegata nei minimi dettagli nelle quasi sei pagine di testo del brevetto e nelle quattro tavole grafiche allegate al documento.
Quello che viene chiamato Apparatus for making dies doveva permettere, usando un cilindro vergine di ferro dolce e una moneta già coniata, il più possibile perfetta, di trasferire per gravità (cioè, per caduta sotto l’effetto di un peso consistente, nell’ordine delle tonnellate o delle decine di tonnellate) l’impronta della moneta stessa sul cilindro di ferro dolce il quale, una volta rifinito e temperato con poche, semplici operazioni, avrebbe fornito un conio “nuovo di zecca” – ci si perdoni il gioco di parole – con cui battere altre migliaia di monete.
Nelle tavole, Taunton descrive nei dettagli il telaio in legno e metallo cui ancorare la struttura a cremagliera sostenuta da una robusta catena, la leva metallica per sollevare il contrappeso, il blocco a cui agganciare la moneta “modello” ed altri particolari tecnici per ottenere un allineamento corretto della moneta prototipo e dei torselli su cui imprimere, una per volta, le due facce ricavandone altrettanti stampi “freschi di conio”.
Dal documento ricaviamo anche che l’ingegnoso macchinario era già stato confermato sotto tutela legale in Francia nel 1888, l’11 di giugno, con brevetto n. 191.144, in Germania il 21 settembre dello stesso anno con brevetto n. 39.069 e nel Regno Unito nel 1889 con brevetto n. 2.822.
Dunque, l’ingegner Champney deve aver compiuto un vero e proprio tour per presentare alle maggiori zecche e agli uffici brevetti di mezza Europa la sua macchina riproduttrice di conii ma, da quanto si sa, non avrebbe fatto mai tappa in Italia, né tentato di vendere il suo marchingegno alla Regia Zecca.
Per certo, sappiamo che il viaggio si svolse negli anni Settanta del XIX secolo dato che nel 1877 l’inventore americano visitò la zecca di Bruxelles e che, con ogni probabilità, proprio in questa officina poté coniare il terzo e il quarto ibrido che abbiamo descritto, disponendo sia di un comune marengo belga dell’anno precedente, sia di uno francese del periodo che di una rarissima prova dei 20 franchi elvetici del 1873 (altrimenti conservati solo nell’officina monetaria di Berna e comunque di difficile reperibilità).
Un passaggio per Parigi, quasi inevitabile prima o dopo la tappa in Belgio, potrebbe aver dato l’idea a Champney di accoppiare i ritratti di Napoleone III e del nostro Vittorio Emanuele II usando quello che, nella serie delle 20 lire oro di questo re, è quasi l’anno più comune, con i suoi 2.980.700 di pezzi coniati, facili da procurarsi anche in Francia in virtù della loro libera circolazione stabilita dalle norme dell’Unione Monetaria Latina.
Non è stato possibile invece accertare – ma è improbabile – se l’intraprendente ingegnere si sia spinto in Italia mentre sappiamo per certo che arrivò in Russia, nella lontana San Pietroburgo, nell’aprile del 1876, per convincere gli zecchieri dello zar ad acquistare qualche Apparatus for making dies. Qui, al dritto del marengo italiano abbinò sia un aquila araldica zarista di tipo normale che una – non approvata per la monetazione di serie – coniata in altorilievo – per dimostrare come la sua macchina fosse in grado di riprodurre anche i minimi particolari di un conio complesso e conferire spessori di battuta consistenti.
Ecco svelato il mistero di cinque ibridi numismatici – di cui ben tre di “interesse” italiano – che da anni fanno discutere collezionisti e studiosi; liquidati genericamente come “prove”, insultati come “scarti di zecca”, oppure nobilitati al rango di “progetti” (ma per quali monete?) o di “medaglie gettone” (ma per quali celebrazioni?) i mule altro non sono che le prove dell’efficace funzionamento di un macchinario da zecca che, forse per la sua complessità, o per il costo, non ebbe fortuna.
Come non la ebbe del resto Champney, di cui si hanno poche altre notizie e, almeno in questa impresa, nemmeno il londinese Alfred H. Harrison, che la Patent ufficiale del governo americano rivela essere stato socio al 60%, e probabile finanziatore della tournee europea, del visionario ingegnere del Massachussetts.
“I muli all’asta”
Esemplare 1 – The New York Sale 24 del 7 gennaio 2010 – Lotto 1333, attribuito allo zar Alessandro II (1855-1881), zecca di San Pietroburgo. D/ Aquila bicipite; R/ Vittorio Emanuele II con data 1863. Argento, mm 21,3 per mm 1 di spessore (il catalogo riporta mm 0,1 ma si tratta evidentemente di un refuso, NdA), g 4,83, bordo liscio. Con cartellino di accompagnamento.
Esemplare 2 – The New York Sale 24 del 7 gennaio 2010 – Lotto 1334, attribuito allo zar Alessandro II (1855-1881), zecca di San Pietroburgo. D/ Aquila bicipite; R/ Vittorio Emanuele II con data 1863. Argento, mm 21,4 per mm 0,9 di spessore (il catalogo riporta mm 0,09 ma si tratta evidentemente di un refuso, NdA), g 4,13, bordo rigato.
Esemplare 3 – The New York Sale 14 del 10 gennaio 2007 – Lotto 758, attribuito al re Vittorio Emanuele II (1861-1878), zecca incerta. D/ Vittorio Emanuele II a s. con data 1873; R/ Napoleone III laureato a d. Argento, mm 21,0 per mm ? di spessore, g 4,13, bordo rigato.
Esemplare 4 – Hess Divo AG 332 del 31 maggio 2017 – Lotto 350, attribuito a Napoleone III (1852-1870), zecca di Bruxelles. D/ Napoleone III laureato a d.; R/ Helvetia guerriera seduta. Argento, mm 21,0 per mm ? di spessore, g 4,14, sul bordo liscio CHAMPNEY BOSTON. Il catalogo parla (sic) di una “prova franco-svizzera per una moneta internazionale da 20 franchi”.
Esemplare 5 – Sincona AG 39 del 17 maggio 2017 – Lotto 4892, attribuito alla Confederazione Elvetica, zecca di Bruxelles. D/ Helvetia guerriera seduta; R/ Leopoldo II a d. Rame, mm ? per mm ? di spessore, g 3,99, sul bordo liscio ***CHAM PNEY BOSTON*.