a cura della redazione | Cristoforo Colombo (1456-1506) sarà celebrato con un’ennesima moneta, da parte della Repubblica Italiana, nel 2019 all’interno della serie Esploratori italiani. Non tutti sanno, però, che il grande navigatore incontrò notevoli difficoltà nel farsi finanziare per il suo viaggio verso Occidente, anche perché le cifre richieste erano tutt’altro che esigue.
l primo viaggio di Cristoforo Colombo venne infatti a costare due milioni di maravedì o marabotinì o morabitinì, pari a 5.000 monete d’oro. All’epoca, per comprare il solo legname per la costruzione di una nave occorrevano dalle 600 alle 800 doppie di Castiglia o castellanas, le famose doblas da 2 escudos. L’albero maestro costava 1.000 monete e per le vele ed i cordami occorrevano altre 1.500. Insomma, una nave ultimata veniva a costare sulle 8.000-10.000 doppie.
Ma per la spedizione di Colombo non si prendono grosse navi, bensì tre piccole caravelle, ciascuna con un equipaggio ridotto e con a bordo non mercanzia preziosa ma paccottiglia destinata agli Indios. A quanto ammonterebbero oggi 2 milioni di maravedì? Difficile dirlo, data la difficoltà di calcolare il valore di queste monete in rapporto a quello dell’oro e dell’argento, al costo del lavoro e della vita. Trent’anni fa uno studioso fece una valutazione che oscillava tra uno o tre miliardi di lire dell’epoca.
Ma chi finanzia Colombo, chi sborsa i due milioni di maravedì? I re cattolici, dopo molti “ni” e “no”, finalmente si fanno convincere dal domenicano Diego de Deza, vescovo di Jaen di Palencia, e danno il loro benestare. Colombo può partire alla scoperta delle Indie “in cui basta il sole a far spuntare l’oro”. Ma le casse reali sono a secco a causa della guerra di Reconquista contro i Saraceni. Non la Corona, quindi, può finanziare l’impresa, anche se la regina Isabella si dice pronta a sacrificare tutti i suoi gioielli.
Alla fine Ferdinando ed Isabella contribuiscono alla spedizione con… una “multa” imposta alla città di Palos per alcuni atti di pirateria lesivi dei diritti della Corona: i cittadini sono obbligati a fornire due caravelle, la Nina e la Pinta, per 12 mesi. La terza nave, la Santa Maria, è presa a nolo da Colombo che versa 250.000 maravedì, che si fa prestare, dato che non ha un soldo, dal duca di Medina, dal banchiere fiorentino di Siviglia Berardi e da altri. A trovare il grosso della somma, 1.750.000 maravedì è il tesoriere d’Aragona Luis de Santangel: il rischio è infatti scarso, il possibile profitto immenso.
Colombo avanza pretese esorbitanti: patente di nobiltà con gli speroni d’oro, il titolo di ammiraglio del Mare Oceano con gli stessi privilegi del grande ammiraglio di Castiglia, i titoli di governatore e di viceré delle isole e della terraferma scoperta, il tutto a titolo ereditario e inoltre diritti commerciali enormi: il 10% delle rendite delle nuove terre, partecipazione al commercio nella misura di 1/8 degli investimenti e dei benefici.
Ma se Colombo non tornerà, non avranno alcuna importanza; se invece tornerà, se quello che afferma è vero, allora non sarà mai un prezzo troppo alto quello pagato. Santangel versa la somma in parte di tasca propria ma su “garanzia reale” (350.000 maravedì), in parte, il 70% del totale, prendendola a prestito dalle casse della Santa Hermandal da lui controllata, una specie di polizia politica e, insieme, Ministero dell’Interno che riscuote le tasse.
Ma non è escluso che a finanziare l’impresa di Colombo siano stati, sia pure inconsapevolmente, anche gli Ebrei. Mentre Colombo salpa da Palos verso la gloria il 3 agosto, il popolo di Israele, consuma il suo ennesimo esodo, liquidando o, meglio, svendendo tutti i suoi beni accumulati in duemila anni di permanenza e lavoro in Spagna: entro la mezzanotte del 2 agosto devono lasciare la Spagna. Proibito portare fuori del Paese oro o argento; molti, per aggirare il divieto, spezzano i ducati inghiottendone i pezzi. C’è chi muore, c’è chi riesce a portare in salvo fino a 30 ducati.
Con quali monete è finanziata la spedizione? Non certo con i maravedì, mutuati dalle monete dei sultani Almoravidi d’Africa. Anche i maravedì, inoltre, come tutte le monete di questo mondo, subiscono una lenta, progressiva svalutazione. Prima d’oro (a batterli per primo in Spagna fu Berenguer Ramon I conte di Barcellona nel 1018-1035), vengono battuti poi in argento, infine in mistura e rame.
Sotto Ferdinando e Isabella (1476-1516) accanto ai maravedì di plata (d’argento) si battono quelli in mistura, detti di vellon, e multipli in rame da 16, 8, 4 e 2 maravedì. Queste monete si svalutano talmente che ai tempi di Colombo ci vogliono 400 maravedì per un ducato o fiorino d’oro. Né vengono usate le monete coniate con l’argento estratto dalle miniere di Cartagena e di Alma-dén: i reales de plata, coniati per la prima volta al valore di 35 maravedì in Castiglia da Pietro I il crudele (1350-1368), con il loro doppio, la metà e il quarto. Al tempo di Ferdinando ed Isabella recano lo stemma inquartato al dritto e al rovescio un giogo, emblema del re, e un fascio di frecce, emblema della regina. Tanto meno servono i blancos, gli spiccioli destinati al piccolo commercio, coniati in gran quantità in una lega di rame argento e stagno e contrassegnati da una F e da una Y gotiche coronate, iniziali dei due sovrani.
A finanziare il viaggio di Colombo sono le monete d’oro (il biondo metallo vale 10 volte più dell’argento), base fondamentale dei grandi scambi internazionali, ossia i castellana di g 4,50 (pari a 435 maravedì) con il loro doppio e la loro metà e i ducati con i multipli da 4 e 2 ed i mezzi ducati. Quei ducati che proprio con Ferdinando ed Isabella si allineeranno, come le altre monete d’oro europee, alla quattro tipologie armonizzate da Genova, Venezia, Milano e Firenze, tutte diversamente effigiate ma tutte d’oro zecchino. Dopo la conquista di Granada, a celebrare la vittoria sui Mori e la scoperta del Nuovo Mondo, Ferdinando ed Isabella battono le loro monete più prestigiose: ducati e castellana diventano excellentes (il nome deriva dal titolo pieno della moneta), battuti non solo nei multipli da 2 ma anche da 4, 10, 20 e perfino da 50 con i busti dei sovrani e lo stemma inquartato addossato ad un’aquila.
La conquista dell’America da parte degli Spagnoli spalanca all’Europa le porte, se non del favoloso Eldorado, delle ricche miniere del Nuovo Mondo. E’ un fiume d’oro e d’argento che affluisce in Spagna: oltre 100.000 le libbre d’oro sbarcate a Siviglia dal 1551 al 1560. A sua volta la Spagna lo ridistribuisce nel mondo, “simile – annota un cronista del tempo – ad una balia che converte in latte la maggior parte del suo cibo, dando nutrimento agli altri ma restandone a sua volta povera”.