Questo articolo riprende, in parte rettifica e soprattutto completa un mio scritto del 2021 con nuove, ulteriori informazioni che chiariscono finalmente la datazione e l’origine della placchetta imperiale di Edoardo Rubino, una piccola opera d’arte moltiplicata del periodo mussoliniano che grazie a nuove ricerche ha rivelato la sua vera natura.

Il nove maggio 1936, un giorno passato alla storia dapprima come una delle date più esaltanti e poi più controverse dell’Italia del Novecento: il giorno della proclamazione dell’Impero d’Africa orientale da parte di Mussolini dopo che l’Etiopia, in circa sette mesi, era stata conquistata dalle truppe guidate da maresciallo Pietro Badoglio, già duca del Sabotino e, dopo allora, anche di Addis Abeba.

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Un esemplare della placchetta imperiale di Edoardo Rubino nel suo astuccio di velluto blu originale, risalente alla seconda metà degli anni Trenta 

Chiunque conosca – anche superficialmente – la storia italiana del XX secolo sa bene che quel momento, a livello politico e propagandistico, segnò l’apice del ventennio fascista e che, per l’occasione, furono prodotti innumerevoli cimeli celebrativi, dalle medaglie ai distintivi, dalle cartoline ai manifesti senza contare l’oggettistica di altro tipo finita poi, in parte, distrutta con la caduta del duce e il passaggio dell’Italia da Regno a Repubblica.

La placchetta imperiale di cui parliamo è una coniazione uniface prodotta dalla nota azienda medaglistica Sacchini di Milano su modello dello scultore e Edoardo Rubino (Torino, 1871-1954), coniata in bronzo, nella misura di mm 80 x 120 circa.

Il torinese Edoardo Rubino fu valente scultore, autore di numerose opere monumentali e anche di numerose medaglie ben conosciute dai numismatici italiani

Eccellente modellatore, autore fra l’altro di sculture monumentali come la Vittoria alata dell’Altare della Patria, nel 1933 Rubino fu nominato senatore del Regno e dello stesso anno è il suo Monumento nazionale al Carabiniere eretto nella parte esterna dei giardini del Palazzo Reale di Torino.  Numerose anche le sue medaglie, tra cui le “nuziali” per il matrimonio di Umberto II e Maria José del Belgio del 1930.

La placchetta imperiale opus Rubino è tuttavia particolare per il fitto apparato simbolico e allegorico che la rende un’opera da rileggere nei dettagli dal momento che rappresenta anch’essa, a suo modo, un capolavoro di arte propagandistica fascista.

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L’allegoria di Roma elmata, con lancia e vittoriola, a sormontare l’intera composizione (le date XIII e XIV si riferiscono agli anni dell’era fascista in cui si svolse la campagna d’Etiopia)

Pur rettangolare, il modellato della placchetta si sviluppa in una lunetta con agli angoli superiori le date degli anni XIII e XIV dell’era fascista e in basso, per esteso, quelle di inizio e fine della campagna d’Etiopia – III OTTOBRE MCMXXXV e IX MAGGIO MCMXXXVI – con la firma in corsivo dell’autore.

Sullo sfondo, una composizione di labari con insegne legionarie sormontate dall’aquila romana (e fascista), moschetti innalzati al cielo e bandiere; sulla bandiera in primo piano lo stemma sabaudo, ma appena accennato, quasi invisibile rispetto al resto della modellazione.

De Bono, Badoglio e Graziani, i protagonisti della campagna d’Etiopia, immortalati nel bronzo della placchetta imperiale del 1938

In alto, su un piedistallo sta Roma sotto sembianze femminili, il classico elmo crestato, una lancia nella mano destra e una vittoriola nella sinistra: la personificazione della Città eterna domina un gruppo di cui fanno parte, dall’altro, una schiera di militari in uniforme coloniale, tre dei quali a cavallo. Si tratta – analizzandone le inconfondibili fisionomie – del quadrumviro Emilio De Bono (a sinistra, con i baffi, sostituito a inizio conflitto), di Pietro Badoglio (comandante del fronte nord dal 30 novembre 1935) e di Rodolfo Graziani (comandante del fronte sud delle operazioni).

In basso altri soldati di cui uno – posto dietro al duce del fascismo e fondatore dell’Impero, è a torso nudo e ha una vanga al posto del fucile (simboleggia infatti la “missione colonizzatrice” e le risorse che si pensava di poter sfruttare in Africa orientale), un secondo veste la cuffia e gli occhialoni da pilota della Regia Aeronautica (la giovane arma voluta da Balbo e determinante per gli esiti del conflitto) mentre l’altro, sotto la statua di Roma, reca un cuscino con la corona imperiale.

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Accanto a Mussolini gli aviatori, nella foto di destra Bruno Mussolini in uniforme da pilota

Si potrebbe trattare, ma rimane probabilmente solo una fantasiosa ipotesi, che l’aviatore sia Bruno Mussolini, terzogenito del duce il quale, giovanissimo pilota di bombardieri nel conflitto, meritò in Etiopia la sua prima medaglia d’argento al valor militare (ne avrebbe avuta una seconda in Spagna, nel 1937, una terza nel 1940 e quella d’oro al valore aeronautico, postuma, nel 1941).

I due protagonisti principali, ovviamente, sono il duce del fascismo Benito Mussolini e re Vittorio Emanuele III, ma con un distinguo essenziale per la lettura propagandistica della placchetta imperiale: mentre il duce è modellato in alto rilievo al centro, in uniforme, la mano tesa a porgere la corona, il re è quasi in secondo piano, in piedi su due gradini con un mantello “all’antica”, il collare dell’Annunziata e uno spadone fra le mani.

La somiglianza tra le fisionomie dei tre alti gradi del regime e i ritratti nella placchetta è evidente 

La figura del sovrano ci appare con un rilievo molto meno accentuato; le ragioni non sono solo prospettiche, ma soprattutto di comunicazione di un messaggio politico: è Mussolini il vero, primo e assoluto vincitore, mentre la monarchia (rappresentata dal re e novello imperatore) è ridotta ad un ruolo di secondo piano nell’Italia dell’epoca, quasi ad un “simulacro” che non è determina i successi del regime (si ricordi anche lo stemma sabaudo sulla prua di nave, quasi “evanescente”).

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Un Vittorio Emanuele III ridotto a un “simulacro” riceve da Mussolini la corona imperiale

La placchetta imperiale di Edoardo Rubino venne commercializzata con successo, all’epoca, e nel dopoguerra ne vennero riprodotte copie, di qualità assai minore e facilmente distinguibili (anzi tutto, per il colore del metallo), per alimentare quel mercato della nostalgia che da sempre è stato legato al ventennio fascista. Gli esemplari originali e in perfette condizioni non sono comuni, specie se ancora nel loro astuccio originale e arrivano a valere, sul mercato numismatico, anche 300-350 euro.

Ciò che possiamo aggiungere oggi alla storia della placchetta imperiale sono due informazioni non di poco conto, la prima in merito alla datazione e la seconda in merito alla sua “genesi”. I multipli, infatti, derivano non da un modellino originale destinato al conio, bensì dalla riproduzione di un’opera monumentale, un altorilievo in marmo alto più di cinque metri che Rubino realizzò niente meno che per il cortile d’onore del Senato del Regno, a Palazzo Madama.

Due fotogrammi del Cinegiornale Luce che mostra lo svelamento del monumento in Senato

L’opera fu inaugurata in pompa magna alla presenza di Mussolini e del presidente del Senato Luigi Federzoni l’8 giugno del 1938 e dell’evento diede notizia il Cinegiornale Luce (codice filmato B131604), principale organo di informazione audiovisiva del regime. “Il monumento allegorico – spiega la pomposa voce fuori campo – perpetuerà in Senato il ricordo della fondazione dell’Impero”. E ancora: “Caduto il drappo, il presidente del Senato Federzoni ha offerto al duce un’artistica riproduzione in bronzo dell’opera d’arte”.

Mussolini ammira se stesso eternato nel marmo dalla mano di Edoardo Rubino

Dunque, la placchetta imperiale va post datata dal 1936 al 1938, ma restano aperti due interrogativi, ossia che fine abbiano fatto dopo la caduta del regime e l’avvento della Repubblica sia la placca consegnata a Mussolini (che, si suppone, non dovesse certo essere una di quelle di serie, del formato di 80 x 120 millimetri) che, soprattutto, dove sia finito l’ingombrante altorilievo di Edoardo Rubino.

Un amico di ottima memoria, fine storico del Novecento e che ringrazio, ricorda di averlo visto in una puntata di Voyager, la trasmissione condotta da Roberto Giacobbo, trasmessa il 18 dicembre 2017 (puntata 236) quando il noto conduttore dedicò ampio spazio ad una riscoperta dei “segreti” del Senato recandosi anche nei locali dove sono conservate le opere d’arte dismesse nel tempo dalla collocazione pubblica.

Il cortile d’onore di Palazzo Madama oggi e, a destra, la lapide che ricorda quando nel 1871 il primo re d’Italia volle stabilirvi la sede del Senato

Purtroppo, tale filmato non è disponibile negli archivi di RaiPlay ma c’è da sperare che quell’opera d’arte e di propaganda, pur “messa in cantina” con l’avvento della Repubblica, sia stata, come ogni testimonianza del passato, conservata e protetta dalla furia iconoclasta spesso conseguenza dei cambiamenti storici.