Innocenzo XI Odescalchi (Como 1611 – Roma 1689), in un secolo dominato dal malcostume del nepotismo, è ricordato tra i pontefici come “padre dei poveri”. Dopo aver tentato di rifiutare la tiara, impone infatti che l’ncoronazione sia semplice il più possibile e si distribuiscano ai poveri di Roma e ai pellegrini indigenti i denari risparmiati. Esige per sé una sola veste bianca, cibi frugali e un apparato cerimoniale ridotto vietando a tutti i suoi familiari di chiedere o ricevere alcunché in quanto “nipoti del papa”.
Umile nella materialità quanto fermo nei propositi dottrinari, ingaggia con il Re Sole un vero e proprio braccio di ferro diplomatico-teologico a causa dei “Quattro articoli” promulgati da Luigi XIV che prevedono l’indipendenza del re dal papa negli affari temporali, l’inferiorità del pontefice rispetto ad un concilio ecumenico, il rispetto da parte del papa delle tradizioni di Francia e la ratifica, da parte della Chiesa universale, delle decisioni pontificie in ambito dottrinale e dogmatico.
Esemplare di bolla in piombo di papa Innocenzo XI Odscalchi (1676-1689)
Agli Stati della Chiesa, la fermezza di Innocenzo XI Odescalchi costa l’occupazione francese di Avignone e del Contado Venassino, mentre a favore di Innocenzo XI giocano la vittoria delle armate cristiane sui Turchi a Vienna, nel 1683, favorita dall’opera del frate Marco d’Aviano inviato per riappacificare il re polacco Giovanni Sobieski con il duca Carlo di Lorena, comandante degli imperiali. Il papa attribuisce la vittoria alla Madonna e, in onore del suo nome, istituisce la festa del 12 settembre. Innocenzo XI muore nel 1689, dopo una breve malattia e sarà beatificato da Pio XII nel 1956.
Anche quando viene eletto, il papa si pone sotto l’esplicita protezione di Maria, come testimoniano tre monete, di due tipologie diverse, coniate nell’anno I di pontificato. Si tratta di due quadruple e di un testone sulle quali, in abbinamento allo stemma o al ritratto del dritto, troviamo una Madonna in trono con il Bambino tra le braccia, da sola o in compagnia di quattro santi: san Lorenzo martire e sant’Agostino di Ippona a sinistra, santo Stefano protomartire e san Francesco d’Assisi a destra.
Dettaglio del bel ritratto di papa Innocenzo XI realizzato da Jacob Ferdinand Voet
Si tratta di quattro figure assai importanti, ma anche distanti e difficilmente “assimilabili” tra loro nella storia della Chiesa: se infatti Stefano – uno dei primi sette diaconi scelti per aiutare gli apostoli nel ministero della fede – visse a cavallo tra I secolo a.C. e I secolo d.C. (morì probabilmente nel 36), san Lorenzo – pur anch’esso martire – visse tra il 225 e il 258 e fu uno dei primi sette diaconi di Roma per essere quindi, almeno secondo la tradizione, giustiziato su una graticola messa sul fuoco ardente.
Per quanto riguarda Agostino (354-430), siamo di fronte ad uno dei massimi dottori della Chiesa: filosofo e teologo, oltre che vescovo, fu autore delle Confessioni ed è considerato da molti, anche non cattolici e non credenti, come uno dei massimi pensatori della storia umana; san Francesco d’Assisi (1182-1226), per parte sua, è il “rivoluzionario della povertà” che, in pieno Medioevo, favorì la riforma della Chiesa e il dialogo tra le religioni, invocando l’umiltà ed esaltando la bellezza e il valore della natura.
La rarissima quadrupla in oro che pone il pontificato di Innocenzo XI sotto la protezione mariana
Qual è, dunque, la ragione che portò gli incisori pontifici – ovviamente, su indicazione dello stesso papa – ad affiancare alla Vergine questi quattro santi? La spiegazione non è difficile, se solo ci soffermiamo ad analizzare un po’ l’iconografia della Madonna sulle monete e il percorso di formazione giovanile di Innocenzo XI Odescalchi.
Notiamo, innanzi tutto, come sul testone in argento dell’anno I (Muntoni III, n. 60, p. 12) il trono appaia di foggia antica, con timpano triangolare e due vasetti con tre rose ciascuno sulle sommità delle colonne di sostegno dello schienale. La Madonna, inoltre, veste un manto che – almeno negli esemplari di alta conservazione – appare decorato di stelle e sia lei sia il Bambino sono ornati da nimbo lineare. Il medesimo conio viene impiegato anche per la quadrupla dell’anno I, di eccezionale rarità (Muntoni III, n. 4, p. 5).
Con l’immagine di Santa Maria dei Monti, ma senza i quattro santi che la affiancano, fu coniato, nell’anno I di pontificato, anche un raro testone d’argento
Per quanto riguarda, invece, la seconda tipologia ossia la quadrupla in oro dell’anno I (Muntoni II, nn. 5 e 5 Var. I, pp. 5-6) la composizione appare decisamente rielaborata con l’aggiunta delle figure dei santi, i nimbi circolari ma a quattro raggi sopra le teste della Vergine e di Gesù ed un evidente restyling – diremmo oggi – del trono, che appare più lineare e moderno nel timpano come nelle finiture delle colonne. In entrambi i casi, si tratta della cosiddetta Madonna dei Monti che si venera in Roma.
L’attribuzione del soggetto ad una specifica iconografia mariana, dopo che sia il Muntoni sia Vittorio Emanuele III non si erano soffermati su questo dettaglio, è confermata risalendo a quella che è la prima opera significativa sulla monetazione dei papi, ossia la Breve notizia delle monete pontificie antiche, e moderne sino alle ultime dell’anno XV del regnante pontefice Clemente XI scritta dall’erudito Saverio Scilla nel 1715.
Stampa con l’immagine di Santa Maria dei Monti ed edicola con bassorilievo riproducente la sacra immagine, collocato sullo spigolo del vicino Collego dei catecumeni e neofiti
A p. 278, infatti, troviamo: “Sub tuum praesidium. Nel Doblone da 4. Scudi d’oro, con l’impronto della B.V. de’ Monti, e li 4. Santi, San Stefano, San Lorenzo, S. Agostino, e San Francesco d’Assisi; e nel Testone con la detta Immagine senza i suddetti 4. Santi”. Evidentemente lo Scilla, profondo conoscitore di Roma e prossimo, cronologicamente, alla data di emissione della moneta, fu dunque in grado di descriverla compiutamente come del resto avrebbe fatto, oltre un secolo più tardi, anche Angelo Cinagli (cfr. Le monete de’ papi descritte in tavole sinottiche, p. 253 nn. 1-3 e p. 256 n. 63).
Torniamo ora a Roma, nel suo cuore antico e pulsante: nel luogo in cui oggi sorge la Chiesa di Santa Maria ai Monti vi era un monastero di clarisse del XIII secolo nel quale, all’inizio del XV secolo, una sala fu affrescata l’immagine della Madonna con il Bambino e alcuni santi. Dopo l’abbandono da parte delle monache, la sala fu utilizzata come fienile finché nel 1579 l’edificio fu interessato da numerose scosse, simili ad un terremoto, tanto che gli abitanti pensarono fosse infestato dagli spiriti. Si udì anche una voce che pregava di “non far male al bambino”: a parlare – secondo le cronache – era stato l’affresco rinvenuto in una cavità di un muro.
L’immagine miracolosa venerata a Roma, in Santa Maria dei Monti: con la Vergine e il Bambino i santi Stefano, Lorenzo, Agostino e Francesco
La notizia si sparse per tutta Roma e iniziarono a verificarsi guarigioni miracolose. Il ripetersi dei miracoli e la folla che ogni giorno si accalcava dinanzi all’edificio convinsero Gregorio XIII a far rimuovere l’immagine e a dare incarico all’architetto Giacomo della Porta di costruire la Chiesa di Santa Maria ai Monti dove custodirla e renderne possibile il culto.
Nel palazzo a fianco della chiesa aveva sede la Confraternita dei catecumeni e neofiti, nata da un’intuizione sant’Ignazio di Loyola, il quale già a casa sua a Roma (dove arrivò nel 1538) usava ricevere alcuni ebrei, predicando loro il Vangelo e battezzandoli. La Confraternita nasce formalmente nel 1542 ed inizia la sua missione con buon successo, tanto che le fonti ci parlano di centinaia di catecumeni.
Anche in virtù di questa prossimità con l’istituzione gesuitica, la Chiesa di Santa Maria dei Monti, in seguito, diventa la seconda per importanza dell’Ordine dopo quella del Gesù. Sullo spigolo tra la facciata principale del palazzo del Collegio e quella laterale, che confina con la chiesa, è collocato un tabernacolo a bassorilievo, con cornice architettonica che ospita al suo interno un gruppo scultoreo risalente al XVII secolo che raffigura, in stile più moderno rispetto all’affresco miracoloso, la Madonna dei Monti. Lo stesso stile e la stessa impostazione – guarda caso – in cui è realizzato il gruppo iconografico inciso sulle quadruple e i testoni di Innocenzo XI.
Scudo d’oro senza data fatto coniare da Innocenzo XI: un’altra testimonianza numismatica della devozionbe mariana del papa
Per quale ragione, tuttavia, il pontefice volle fare omaggio di tanta gloria numismatica a questa icona in fondo “minore” nel culto mariano? Ci guida verso la risposta ancora lo Scilla, a p. 258 della sua opera quando, in riferimento alla quadrupla e al testone dell’anno I, riporta che “L’una, e l’altra Moneta battuta nell’anno I del Pontif. In memoria dell’essere stato egli Protettore del Collegio de’ Neofiti, unito alla d. Chiesa”. Benedetto Odescalchi, infatti, oltre ad essere stato educato in giovane età presso il Collegio dei Gesuiti di Como si era anche iscritto alla Congregazione mariana e, nel corso della sua carriera ecclesiastica, era stato a lungo responsabile del Collegio dei neofiti e catecumeni.
Furono, in definitiva, la formazione gesuitica, il legame con l’istituzione religiosa del rione Monti e l’attaccamento dell’Odescalchi al culto mariano (testimoniato anche da altre emissioni del pontificato, leggi qui) a far sì che il beato Innocenzo XI Odescalchi – non avendo potuto rinunciare alla tiara, di cui avvertiva tutto il gravoso peso – prendesse la decisione di porre su alcune delle sue primissime, e più prestigiose monete, quella Vergine dei Monti ritenuta capace di far miracoli e quel motto – “Sotto la tua protezione” – così carico di devozione e di umana fragilità.
Se volete approfondire un’altra moneta rara e particolare del pontificato di Innocenzo XI, la piastra al tipo del san Matteo sulle nubi, cliccate qui.