di Renato Villoresi | “San Giovanni non vuole inganni”. Ma ne siamo proprio sicuri? Forse questo vecchio detto, nato e cresciuto in seno alla zecca di Firenze è da rivedere, perché indubbiamente san Giovanni non voleva gli inganni, tuttavia, alcune volte, chi lavorava alla zecca di certo era molto più interessato all’illecito guadagno che all’onestà!
Ne abbiamo la prova grazie al prodotto per eccellenza della zecca comunale: un fiorino d’oro, che invece di essere tutto di metallo nobile è stato prodotto con l’antica tecnica della suberazione, già conosciuta e messa in pratica sin dai tempi dei greci, che consisteva nel preparare un tondello di metallo vile, generalmente rame, come nel nostro caso, e ricoprirlo con un lamina d’oro o d’argento. La moneta, così preparata, solo apparentemente sembrava di buon metallo, ma in realtà il suo valore era nettamente inferiore a quello che avrebbe dovuto essere. A quei tempi, infatti, il valore di una qualsiasi moneta dipendeva direttamente dalla quantità di metallo pregiato in essa contenuto.
A questo proposito bisogna tenere presente che le monete suberate uscivano di norma da una zecca ufficiale, in quanto questa particolare tecnica necessitava di un’attrezzatura che un “normale” falsario sicuramente non possedeva. Per cui era la stessa autorità emittente che, in un certo senso, diventava “il falsario”, lucrando sulla quantità di metallo pregiato monetato. La truffa veniva scoperta solamente dopo una lunga circolazione della moneta e la conseguente usura dei rilievi che ne faceva affiorare l’anima di rame.
Poteva anche capitare che la frode venisse scoperta grazie all’opera di un “tosatore”, altro tipo di truffatore, che asportando con una lima o una cesoia l’oro o l’argento di parte del bordo della moneta portava, inaspettatamente e sicuramente con sua somma contrarietà, alla luce l’inganno.
Nel nostro caso è stato il passare degli anni e la conseguente usura che hanno fatto sì che venisse scoperta la frode, infatti sul campo della moneta si vedono ampi spazi in cui è ben manifesto lo strato sottostante di rame, che affiora anche dalle consunzioni di alcuni rilievi e del bordo.
Non doveva essere facile falsificare il fiorino d’oro, coniato per la prima volta dalla zecca di Firenze sul finire dell’anno 1252, perché le autorità preposte alla varie fasi di battitura effettuavano accurati controlli sulla lega (oro a 24 carati, praticamente puro) e sulla sobria, ma efficace, rappresentazione di San Giovanni e del giglio (simbolo della città). Inoltre, dato che in breve tempo il fiorino d’oro era diventato moneta di riferimento nelle grandi transazioni finanziarie a livello europeo, tanto da venire imitato in moltissime zecche italiane ed estere, il Comune di Firenze aveva promulgato una specifica normativa atta a difenderlo dall’inevitabile attacco dei falsificatori, arrivando perfino ad offrire laute ricompense a chi li avesse denunciati.
Caso emblematico è quello di mastro Adamo, ricordato anche da Dante nel XXX canto dell’Inferno, che per la sua attività di falsario (coniava nel castello di Romena, sotto la protezione dei conti Guidi, fiorini d’oro a lega più bassa) finì la sua vita sul rogo. Scrive il padre della lingua italiana:
O voi, che senza alcuna pena siete / (E non so io perché) nel mondo gramo, / Diss’egli a noi, guardate ed attendete / Alla miseria del maestro Adamo: / Io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli, / Ed ora, lasso! un gocciol d’acqua bramo.
Ivi è Romena, ov’io falsai / La lega suggellata dal Battista, / Perch’io il corpo suso arso lasciai… / Ma s’io vedessi qui l’anima trista / Di Guido, d’Alessandro, o di lor frate, / Per fonte Branda non darei la vista…
Io son per lor tra si fatta famiglia: / Ei m’indussero a batter li fiorini / Ch’avevan tre carati di mondiglia…
Ma chi fu l’“audace” che ebbe l’ardire di coniare questa moneta nella zecca di Firenze, perché nel nostro caso ci troviamo sicuramente in presenza di un manufatto di zecca, correndo il rischio, se scoperto, di mettere in pericolo forse anche la sua stessa vita?
In questa ricerca ci è di fondamentale aiuto il Libro della Zecca, istituito da Giovanni Villani, autore delle famose “Cronache”, quando nel secondo semestre dell’anno 1316 era Signore della Zecca incaricato per la battitura della moneta d’argento. In questo registro, attualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, sicuramente una delle fonti principali per la monetazione repubblicana fiorentina, venivano riportati i nomi dei Signori della Zecca, il periodo in cui avevano retto tale carica, il relativo metallo (oro o argento) per cui erano stati incaricati ed il simbolo o armetta che avevano apposto sulle monete da loro battute, che permetteva, così, di identificare sempre un’emissione.
L’incarico di Signore della Zecca aveva generalmente una durata di sei mesi e vi erano deputati un rappresentante dell’Arte di Calimala per la coniazione dell’oro ed uno dell’Arte del Cambio per quella dell’argento.
L’armetta che compare sul nostro esemplare alla sinistra della testa di San Giovanni, malgrado la non perfetta leggibilità, è con ogni probabilità un giglietto, segno di riconoscimento di Lapo di Ghino, Signore della Zecca per l’oro nel primo semestre del 1310.
Dal Libro della Zecca apprendiamo che: “Anno Domini millesimo trecentesimo decimo, indictione octava. Tempore regiminis nobilium et potentum virorum dominorum Ricciardi de Pietrasancta de Mediolano, potestatis, et Boncontis de Urbeveteri, capitanei populi et defensoris civitatis, populi et comunis Florentie. Lapus Ghini et Grazia Cornacchini fuerunt, pro dicto comuni, domini et officiales monete auri et argenti; Scholaynus Chiari et Morellus Tommasini fuerunt sententiatores et approbatores dicte monete auri; […] et ser Lottus Puccii, notarius, fuit scriba officii memorati, pro tempore et termino sex mensium, initiatorum in medio mensis maii.
Quorum tempore coniati fuerunt, in moneta predicta, floreni de auro, signati, inter capud ymaginis beati Iohannis cum licteris, de signo lilii parvi in presenti facie picto.… “ (Mario Bernocchi, Le monete della Repubblica Fiorentina, Vol. I, Il Libro della Zecca, Firenze 1974, p.17). Ciò che sorprende in questa moneta dalla scadente conservazione è il peso, molto lontano da quello legale (gr 2,02 contro gr 3,54), che sicuramente anche in condizioni ottimali non sarebbe mai stato raggiunto.
Con tutti i controlli cui i fiorini d’oro dovevano essere sottoposti, risulta strano che la nostra moneta sia riuscita ad eluderli, soprattutto quello del sentenziatore o approvatore della moneta d’oro, che per poter ricoprire tale incarico doveva avere la qualifica di orafo il cui compito consisteva nel verificare il peso, la lega, il diametro e l’accuratezza dell’incisione, e in nel controllare l’operato di altri addetti della zecca, i rimettitori o remissori o affinatori, che duravano in carica sei mesi ed avevano l’incarico di verificare la fusione e l’affinatura dell’oro ed anche la rifusione di monete e degli avanzi delle lastre preparate per ritagliarvi i tondelli da coniare.
Superato l’esame del sentenziatore la moneta usciva dalla zecca, ma esisteva anche la possibilità che fosse sottoposta ad un ulteriore controllo presso l’Ufficio del Saggio, creato appositamente dal Comune nel 1294, a capo del quale era posto il saggiatore o pesatore o maestro di Saggio, la cui carica era elettiva. Sia il saggiatore che i suoi aiutanti facevano parte dell’Arte degli Orafi ed avevano l’incombenza di verificare tutte le monete in circolazione che fossero state portate nel loro ufficio situato al di fuori dell’edificio della zecca.
Le monete che non superavano la verifica venivano rimandate in zecca e fuse, con il metallo ricavato e debitamente integrato si otteneva una nuova quantità di moneta legale che, detratte le spese della zecca, veniva riconsegnata al proprietario.
Per quanto riguarda i fiorini d’oro portati al controllo dell’Ufficio del Saggio, il proprietario, dopo che ne era stata verificata la bontà, poteva addirittura richiedere che venissero sigillati o “suggellati” in un sacchetto, da qui la denominazione di “fiorini di suggello”; il sigillo non manomesso garantiva il contenuto, rendendo così più spediti i pagamenti. Tuttavia, già nel 1299 circolavano dei sacchetti con il sigillo contraffatto di Feo di ser Giacomo, nominato saggiatore il 7 novembre 1297 e confermato in tale incarico almeno fino all’8 agosto 1302.
Con tutti questi controlli da superare è possibile che nessuno si sia mai accorto che la nostra moneta non era legale? Sicuramente ogni tanto, involontariamente, qualche irregolarità poteva sfuggire, ma evidentemente il nostro falsario doveva godere di buone complici amicizie che chiusero un occhio se non tutti e due al momento di verificare la sua produzione.
Quindi, nonostante la manifesta volontà del Comune di Firenze di garantire la bontà della sua moneta aurea, è logico supporre che nell’attenta organizzazione della zecca esistessero delle falle che, abilmente sfruttate, permettevano illeciti guadagni: il fiorino d’oro di Lapo di Ghino ne è la prova.
E se tutto quanto detto sopra su Lapo non fosse vero e anche lui fosse stato ingannato da qualcuno dei suoi stessi collaboratori? In tutti i casi, visto il grosso rischio che correva chi falsificava moneta, è logico ritenere che chiunque abbia prodotto il nostro fiorino suberato non sia limitato all’emissione di un solo esemplare, per cui sarebbe ancora più interessante poter fare un’indagine approfondita anche su altri fiorini che portano impressa l’armetta di Lapo di Ghino.
Resta il fatto che, a distanza di secoli, non è facile reperire fiorini d’oro falsi, il che potrebbe significare che alla lunga gli uffici preposti al controllo abbiano effettuato un lavoro minuzioso e capillare riuscendo a levare dalla circolazione buona parte degli esemplari contraffatti dando, tutto sommato, ragione a san Giovanni.