Ci sono due oselle veneziane, rare e interessanti, che risalgono alla fine del XVIII secolo e, dunque, agli ultimi anni di indipendenza della Serenissima che appaiono collegate fra loro e, viceversa, ben distinte da quelle che le hanno precedute e seguite.

Se l’osella del doge Lodovico Manin del 1790 ricorda, infatti, le scaramucce affrontate dalla flotta veneziana con navi corsare nel Meditterraneo – piccole vittorie, ben lontane dai fasti di Lepanto – e quella del 1793 la scampata peste scoppiata presso l’isola di Poveglia (approfondisci qui), quelle coniate nel 1791 e nel 1792 sono nettamente diverse, allegoriche e di propaganda.

Lodovico Manin, “ultimo doge di Venezia” come è ricordato in questa stampa, resse la Serenissima dal 1789, anno della Rivoluzione francese, al 1797

Nel 1789 in Francia era scoppiata la Rivoluzione e moti insurrezionali si andavano estendendo a macchia d’olio in tutta l’Europa; nemmeno a Venezia le cose andavano bene, a causa del progressivo declino economico e politico della Serenissima, ridotta ad attrice di terz’ordine nello scacchiere internazionale e, in prospettiva, classico “vaso di coccio” fra vecchi e nuovi “vasi di ferro”.

Per questo, le due oselle veneziane del 1791 e 1792 – omaggi del doge destinati, lo ricordiamo, a nobili, diplomatici e aristocratici – vedono avvicendarsi due allegorie: la prima ha per protagonista Venezia in trono con scettro, ai piedi un ramo d’ulivo, una bandiera, una corona d’alloro e un libro aperto (il Vangelo).

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Venezia invita i cittadini alla concordia nei tempi turbinosi dei moti rivoluzionari in Europa

Il motto CONCORDIA CIVIVM FELICITAS REIPVBLICAE (“La concordia tra i cittadini [è] la prosperità dello Stato”) è esplicita: si tratta di un’invocazione alla concordia, in nome del bene superiore di Venezia, per far fronte comune e superare i pericoli dei moti che sconvolgevano tutta l’Europa sull’esempio della Francia.

La seconda delle due oselle veneziane che prendiamo in esame, quella del 1792, mostra invece sul dritto una figura muliebre con libro e penna nella destra, una lucerna accesa nella sinistra; vicino una gru con nella zampa sollevata una pietra.

La donna rappresenta la Vigilanza e l’osella allude dunque alle vigili sollecitudini del governo dogale per assicurare la pace dello Stato. La gru, simbolo antichissimo, simboleggia proprio la ricerca della stabilità, come indica la pietra che l’animale solleva faticosamente con la zampa per vincere l’impeto del vento.

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Vigilanza e buone leggi come auspicio di stabilità: è il 1792, ma durerà per poco…

La Vigilanza illumina il cammino del popolo e, impersonando il governo stesso, provvede a leggi eque e moderne. NOSTRA IN HAC FELICITAS (“In lei la nostra prosperità”) recita la legenda in latino che circonda la scena; in lei, nella stabilità che nasce dalla vigilanza e dal buon governo.

Troviamo dunque in queste due oselle veneziane elementi tipici della propaganda di governo, di tutte le epoche: da un lato sollecitare l’amor patrio e la concordia interna, dall’altro esaltare la vigilanza delle istituzioni verso possibili minacce alla stabilità della Repubblica. Vani tentativi, se si pensa a quanto sarebbe accaduto solo pochi anni dopo, nel 1797, con l’arrivo di un certo Napoleone Bonaparte…