C’è un artista milanese, Lodovico Pogliaghi, vissuto tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900, di cui non tutti sanno che è stato anche un grande medaglista. Infatti, quando morì nel 1950 a 93 anni, era famoso in Italia ed all’estero soprattutto per la sua attività di scultore, avendo legato per sempre il proprio nome all’esecuzione dei pannelli in bronzo della porta centrale del Duomo di Milano, nel 1908.
Opera, i pannelli del Duomo di Milano, in cui il Pogliaghi era riuscito, in effetti, ad armonizzare in modo sublime l’alta religiosità della raffigurazione mariana, una perfetta composizione ed una chiara e sicura modellazione inserendosi perfettamente nell’armonia complessiva dell’edificio di culto.
Due dei modelli in gesso realizzati da Lodovico Pogliaghi per le formelle della maestosa porta centrale del Duomo di Milano
Eppure Lodovico Pogliaghi non era, come si potrebbe pensare, un “figlio d’arte” dal momento che il padre, Giuseppe, era ingegnere ferroviario, funzionario della Imperial-Regia Società delle Strade Ferrate. La madre, Luigia Merli, era tuttavia una donna di raffinati gusti artistici e si dilettava di pittura e di musica. Un suo zio, Salvatore Pogliaghi, era invece medico di fiducia ed intimo amico di Alessandro Manzoni.
Insomma, alcuni geni dell’arte indubbiamente c’erano, nel DNA del Pogliaghi, geni che durante il periodo del suo sviluppo fisico ed intellettuale si dovettero moltiplicare in modo esponenziale, se nella sua lunga vita realizzò un gran numero di opere in tutti i campi dell’espressione artistica: pur essendo principalmente scultore e pittore si distinse, infatti, anche come decoratore, illustratore di libri, autore di oggetti artistici di uso sacro e profano, restauratore, stuccatore, pittore di vetrate, orefice, scenografo.
Anno 1898: medaglia in argento di 65 mm circa per il 70° compleanno del senatore Alessandro Rossi, fondatore del celebre lanificio del Vicentino
Ed in questa già vulcanica attività creativa, il Pogliaghi trovò perfino lo spazio e il tempo per dedicarsi alla realizzazione di medaglie. Non furono molte, in verità; ma anche in esse egli manifestò, accanto ad un’eccezionale preparazione tecnica e una scrupolosa accuratezza di esecuzione, la sua particolare formazione artistica, che solo in parte risentiva delle diatribe culturali che proprio in quegli anni alimentavano vivaci polemiche tra i romantici tradizionalisti ed i classicisti innovatori, specialmente intorno all’Accademia di Brera, cuore dell’ambiente artistico milanese.
Mentre le teorie anti-neoclassiche del Romanticismo apparivano sempre più prive di vitalità, i giovani innovatori auspicavano un ritorno alle forme classiche, viste attraverso la mediazione dell’arte rinascimentale. In questo clima di fermenti Lodovico Pogliaghi, proveniente da un ambiente permeato di tradizione, sentì che solo nella bellezza delle forme classiche avrebbe potuto esprimere il meglio di sé, e questo nei campi tanto della scultura quanto della medaglistica.
Splendida, questa coniazione di Lodovico Pogliaghi per i due secoli del “Nizza Cavalleria” realizzata da 67 mm in bronzo nel 1890
Così, mentre tutt’intorno gli artisti si dibattevano nella sofferta ricerca di nuove forme e di nuovi ideali, mentre andavano fermentando ed imponendosi nuovi movimenti, quali la Scapigliatura, l’Impressionismo, il Divisionismo, l’Espressionismo, il Futurismo, l’Astrattismo, il Pogliaghi restò per tutta la vita un classicista fuori della sua età e del suo tempo, un classicista, che avrebbe preferito vivere nel Cinquecento.
Si racconta, infatti, che un giorno, quando insegnava Decorazione a Brera, mentre stava sottoscrivendo ed apponendo la data ad un documento, invece di scrivere l’anno “1900”, per errore avrebbe scritto “1500”. Avendogli qualcuno fatto notare l’errore, egli avrebbe però esclamato: “Veramente non ho sbagliato a scrivere; ho sbagliato a nascere adesso!”.
Tuttavia, quello di Lodovico Pogliaghi il suo era un classicismo che si rivestiva di bellezza esteriore, di compiuta perfezione di linee, di forma e di toni, fino a caricarsi talvolta di un eccesso di decorativismo e di puro ornato.
All’insegna del classicismo e di un gusto fortemente decorativo anche questa medaglia di Pogliaghi per il Tiro a segno nazionale di Roma qui in bronzo dorato da 53 mm
Proprio questo classicismo preoccupato della bellezza stilistica, al punto da sconfinare in un certo fastoso barocchismo, caratterizza la produzione medaglistica del Pogliaghi, soprattutto quella del decennio 1890-1900, nella quale si distinguono la medaglia per il II centenario del Reggimento “Nizza Cavalleria”, del 1890, e quella, sempre del 1890, per la Società di Tiro a segno di Roma.
Splendida la medaglia del 1894, realizzata per la Scuola superiore d’arte applicata all’industria, di Milano, come pure, e forse di più, la medaglia coniata in occasione dei Patti Lateranensi, firmati l’11 febbraio 1929 nel Palazzo del Laterano dal cardinale Pietro Gasparri, segretario di Stato di papa Pio XI, e dal cavalier Benito Mussolini per Vittorio Emanuele III re d’Italia.
Una delle massime vette dell’arte modellatoria di Lodovico Pogliaghi, la coniazione (argento, 100 mm circa) per i Patti Lateranensi del 1929
Al dritto, l’artista raffigurò, in stile classicheggiante, San Pietro seduto a sinistra, che tende la mano all’Italia in piedi davanti a lui, in gesto accogliente; intorno, pose la leggenda: FIRMATIS ITALORVM ANIMIS RE PROVISA NVMINE. Al rovescio, in una composizione riccamente ornata, sotto gli stemmi di Pio XI e Vittorio Emanuele III, un grande cartiglio retto da due angeli, su cui riportò la lunga epigrafe inneggiante ai Patti.
Il capolavoro di Lodovico Pogliaghi resta però, sicuramente, la medaglia che egli incise nel 1892 per celebrare il IV centenario della scoperta dell’America; medaglia che riassume e armonizza tra loro tutte le caratteristiche della sua arte incisoria.
La medaglia più bella dell’intera carriera dell’artista milanese, quella del 1892 per il quarto centenario della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombro (oro 102 mm)
Al dritto, il Pogliaghi rappresentò un medaglione con il busto di tre quarti a sinistra del grande navigatore, fiancheggiato da due figure femminili simboleggianti l’America, a sinistra, e l’Europa, a destra. In alto, il globo terrestre; in basso, il condor ad ali spiegate. Intorno, la semplice legenda CRISTOFORO COLOMBO. In piccolo, nel giro in basso, il nome dell’artista: L. POGLIAGHI INVENTO’ E MODELLO’, quello dell’incisore prediletto del Pogliaghi, A. CAPPUCCIO INCISE, e il nome dello stabilimento di coniazione, il celeberrimo STABILIMENTO JOHNSON MILANO.
Molto più scenografico e baroccheggiante il rovescio, dove nel campo una figura femminile alata, simboleggiante la Civiltà, scortata da putti anch’essi alati, appare agli indiani d’America. Intorno, nel giro, gli stemmi di tutti gli Stati delle due Americhe. In alto ed in basso le due date: MCCCCXCII e MDCCCXCII.
Un “revival” del Colombo di Pogliaghi al dritto della medaglia del 1922 per la Conferenza internazionale di Genova (argento dorato 102 mm)
Con quello stesso dritto, trent’anni dopo sarebbe stata coniata un altra medaglia, stavolta dedicata alla Conferenza internazionale di Genova in cui la Germania sconfitta nella Prima guerra mondiale e e la Russia rivoluzionaria si sedettero al tavolo con altre otto nazioni, per la prima volta dal 1914.
La conferenza tentò in ogni modo di trovare una soluzione generale ai problemi finanziari e commerciali creati dal conflitto, senza la partecipazione degli Stati Uniti, ma purtroppo senza ottenere risultati. Così, i sovietici e i tedeschi firmarono il Trattato di Rapallo. E Lodovico Pogliaghi, con la sua medaglia, scrisse un’altra pagina di storia.