Ci sono monete che definire eccezionali è poco, vuoi per la loro bellezza vuoi per la rarità con cui appaiono sul mercato. Tra queste il quarto di ducato di Leone X Medici (1513-1521) della Collezione Paolo Benatti che andrà all’incanto il 5 maggio da Nomisma Aste Verona (catalogo n. 7, lotto 1516).
La moneta, Muntoni 18, è in argento e per lungo tempo è stata indicata genericamente come testone o anche come triplice giulio finché l’autore de Le monete dei papi e degli Stati pontifici, alla luce di un attento studio sulla metrologia numismatica papale del primo Cinquecento, non ha rettificato la denominazione.
Papa Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de’ Medici, in un dettaglio del ritratto che per lui dipinge Raffaello Sanzio
Una grande rarità della serie pontificia rinascimentale
Ci troviamo di fronte a un capolavoro di incisione: al dritto il mezzo busto del pontefice rivolto a sinistra, con piviale ornato e chiuso da un grande razionale, e attorno la legenda (cerchietto) (cerchietto) LEO (cerchietto) DECIMVS (cerchietto) PONTIF. (cerchietto) MAXIMVS (tre cerchietti a triangolo). Un ritratto che nulla nasconde della fisionomia del volitivo papa fiorentino, al pari di quello che gli realizza nel 1518 Raffaello Sanzio e che ora si trova agli Uffizi.
Papa Medici sul dritto del rarissimo quarto di ducato in argento della Collezione Paolo Benatti
Al rovescio campeggia Gesù con in mano un’asta crocifera, in piedi nella parte sinistra del campo, mentre benedice gli apostoli inginocchiati nella parte destra, gli sguardi rivolti al Cristo. Sono undici, il pavimento delinea una prospettiva centrale e attorno corre la legenda PACEM MEAM DO VOBIS (“Vi do la mia pace”, Giovanni, 14, 27). All’esergo ROMA, a destra il simbolo Fugger (tridente con cerchietto).
Questo quarto di ducato, come spesso accade, dietro una scena e una citazione evangeliche nasconde una pagina di storia e un messaggio di propaganda. La rappresentazione e la legenda del rovescio ricordano infatti il perdono – e il conseguente reintegro nelle cariche e nelle relative prebende – concesso da Leone X nel dicembre del 1513 a quei cardinali che avevano preso parte al concilio scismatico di Pisa del 1511.
Gesù benedice gli apostoli e Leone X perdona i cardinali del conciliabolo di Pisa
Il conciliabolo di Pisa dalle origini allo scioglimento
Tale concilio (indicato spesso come “conciliabolo”, in quanto non legittimo) era stato convocato dal sovrano di Francia Luigi XII per intimidire papa Giulio II con la minaccia di uno scisma. Alleato con il duca di Ferrara Alfonso I d’Este, entrato in contrasto con il Della Rovere per aver abbandonato la Lega di Cambrai, il sovrano transalpino era stato colpito dall’interdetto lanciato da Giulio II.
Dopo un sinodo di vescovi francesi tenuto a Tours, il concilio di Pisa fu indetto a Milano il 16 maggio 1511 e si aprì in novembre alla presenza di quattro cardinali (Bernardino López de Carvajal, Federico Sanseverino, Guillaume Briçonnet e René de Prie) e diciotto tra vescovi e abati, in massima parte francesi.
Un bel ducato in oro di Leone X coniato a Roma con le effigi di san Pietro e san Paolo
Dopo tre sessioni, il concilio fu trasferito a Milano, poi ad Asti e, nel giugno 1512, a Lione, dove venne sciolto senza risultati. O meglio, un risultato ci fu perché papa Giulio II scomunicò i cardinali ribelli e indisse il concilio Lateranense, poi riconosciuto anche da Luigi XII, che dichiarò scismatica l’assemblea pisana.
Giulio II Della Rovere condanna, Leone X Medici perdona
Il conciliabolo di Pisa si chiuse il 6 novembre 1513 e papa Leone X, nell’ambito dell’ottava sessione del Concilio Lateranense V, promulgò l’atto di riconciliazione: per l’occasione il vescovo di Siena, Giovanni Vincenzo, diede lettura di una bolla che invocava la pace tra i principi cristiani e il ritorno dei Boemi separati all’unità della Chiesa. Nacque così questa rarità numismatica detta “la moneta del perdono di Leone X ai cardinali“, in cui papa Medici si cela sotto le spoglie del Cristo (di cui, del resto, era vicario in terra) e gli scismatici sotto quelle degli apostoli.
Il nome del pontefice diventa simbolo, come in questo bel giulio coniato dalla zecca di Ancona
Moneta raffinatissima, questo quarto di ducato fu battuto con coni quasi sicuramente incisi da Pier Maria Serbaldi da Pescia in quanto, considerato che nella legenda del rovescio è incisa la marca dei Fugger, è documentato che durante il loro appalto Pier Maria ricopriva la carica di incisore ufficiale.
Martinori, tuttavia, nei suoi Annali della zecca di Roma, proprio per lo stile dell’incisione particolarmente fine, reputa possibile attribuirla al Caradosso. Questo della Collezione Paolo Benatti è uno dei pochissimi esemplari senza foro di sospensione, e si trova in uno stato di conservazione insolito per questa affascinante emissione. Per scoprire altri capolavori in tondello dell’asta Nomisma Verona 6-7 clicca qui.