Gneo Domizio Enobarbo, il protagonista di questo articolo, fu un esponente del gens Domizia; una famiglia romana era di origine plebea, ma nobilitata da una leggenda dalle implicazioni religiose: si racconta infatti che, dopo la battaglia che vide vittoriosi i Romani sulla confederazione dei popoli latini al lago Regillo, nei pressi di Frascati (496 a.C.), i Dioscuri Castore e Polluce abbiano voluto annunciare l’importante notizia ad un membro della famiglia Domizia prima che a chiunque altro.
I due fratelli, appartenenti alla mitologia greca, erano cari anche alla tradizione romana dove erano visti nella loro caratteristica di compagni e soccorritori in battaglia o nei pericoli in quanto figli di Giove; è comprensibile quindi che, sempre secondo al leggenda, il nostro Domizio non abbia voluto credere alla veridicità della notizia finché i Dioscuri non fecero un prodigio e cambiarono il colore della barba al misero mortale che, da allora, inaugurò la stirpe degli Enobarbi, cioè di coloro che hanno la barba fulva, color rame.
Dettaglio della battaglia del lago Regillo nell’interpretazione del pittore cinquecentesco Tommaso Laureti (Roma, Musei capitolini, Sala dei Capitani)
La moneta di cui vogliamo approfondire la storia è stata battuta a nome di quel Gneo Domizio Enobarbo eletto console nel 54 a.C. e che visse uno dei periodi più complessi della storia romana: partecipò alla guerra civile tra Cesare e Pompeo e, parteggiando con i pompeiani, fu presente alla battaglia di Farsalo, in Tessaglia, dove Cesare sbaragliò la fazione avversa; le fonti ci dicono che fu perdonato da Cesare, ma lo vediamo ancora sulla scena nel 44 a.C. come probabile sostenitore degli assassini di Cesare, Bruto e Cassio, dal momento che lo stesso Bruto lo nominò comandante della flotta nel Mar Ionio.
E’ con questo titolo che Geno Domizio Enobarbo si oppose, nel 42 a.C., alle truppe dei cesariani, ora rappresentati da Antonio, Ottaviano e Lepido, che si erano riorganizzati ed erano appena salpati da Brindisi alla volta della Macedonia dove Bruto e Cassio stavano tramando la sollevazione di tutto l’Oriente. Di nuovo passato al “nemico”, dal momento che si riappacificò con Antonio, nel 40 a.C. ottenne il governo della Bitinia; di nuovo disertore verso il partito avverso quando Antonio si legò a Cleopatra e abbracciò l’usanza orientale della divinizzazione del sovrano, Gneo Domizio Enobarbo morì poco prima della battaglia di Azio 31 a.C., data che gli storici indicano come fine dell’epoca repubblicana e che vede l’affermazione di Ottaviano, il futuro Augusto.
Denario di zecca incerta (probabilmente itinerante, tra l’Adriatico e lo Ionio) coniato da Geno Domizio Enobarbo nel 41-40 a.C. con ritratto al dritto e prora di nave al rovescio
E’ probabilmente poco dopo la vittoria davanti alle coste di Brindisi che venne coniato da una zecca militare itinerante l’aureo di cui ci occupiano dal momento che al rovescio troviamo la sigla IMP, abbreviazione del titolo imperator.
In epoca repubblicana infatti il titolo significava “generale vittorioso” e veniva attribuito dai soldati al generale che li aveva condotti alla vittoria. In origine con un’accezione onorifica e celebrativa, col passare del tempo imperator prende il significato di “comandante supremo”, dotato di imperium, parola che si carica sempre più di complesse valenze che alludono al potere militare, a quello politico, a quello amministrativo e assume il senso di un’autorità assoluta.
Al rovescio troviamo un tempio tetrastilo fatto erigere da un antenato omonimo del nostro Gneo Domizio Enobarbo, console nel 192 a.C., il tempio di Nettuno (NE PT) che il pronipote aveva fatto restaurare e che, con orgoglio e spirito propagandistico, intese ricordare su questo aureo. Questo particolare ci offre anche un limite post quem nella datazione, dal momento che tale ristrutturazione venne commissionata nel momento in cui era ancora praefectus classis, carica che mantenne per due anni e, quindi, il nostro aureo deve ritenersi battuto attorno al 41 a.C.
Il rovescio del rarissimo aureo con il tempio di Nettuno a nome di Geno Domizio Enobarbo coniato nel 41 a.C. da una zecca mobile al seguito del generale
Il legame con gli antenati e la valenza politica e sociale che questo aspetto assume presso i Romani è evidente anche nel ritratto che compare al dritto della moneta: il profilo, caratterizzato da tratti somatici di forte realismo, è molto diverso da quello che compare su altri denari battuti a nome dello stesso Enobarbo. Siamo quindi propensi a ritenere che il nostro uomo abbia voluto ricordare l’illustre antenato anche nel volto.
Questo particolare non ci deve stupire se ricordiamo le usanze legate al culto dei morti volute dal mos maiorum, le tradizioni degli antenati, così importanti per un civis della repubblica degno di questo nome. Sappiamo infatti da Polibio, storico greco vissuto a lungo a Roma, che i defunti delle gentes romane venivano immortalati da una maschera di cera che riproduceva con precisione i tratti somatici e che poi questi ritratti venivano venerati in casa e portati in processione o esposti durante particolari riti.
La consuetudine, disciplinata e sancita anche dalla legge detta ius imaginum, è alla base della nascita del ritratto in senso moderno, riproduzione fedele di tratti individuali che non idealizzano il volto umano, come avveniva presso la civiltà greca, ma che esprimono senza rettifiche di ordine morale anche difetti fisici quali la calvizie, il naso prominente, le rughe, l’affossamento degli occhi, le labbra sottili o le grandi orecchie.
Richiamare l’illustre antenato, con la sua realistica fisionomia, quale esempio di virtù repubblicane: questo l’obiettivo di Geno Domizio Enobarbo con la battitura dell’aureo
Appare evidente che il messaggio è anche politico: ricordare e celebrare le figure del passato doveva servire come esempio per le nuove generazioni romane e il richiamo ai propri celebri antenati dava un’immagine di nobiltà basata su figure di uomini che vissuti al servizio della cosa pubblica.
Il bellissimo aureo è importante anche perché le monete d’oro di epoca repubblicana sono molto rare: possiamo ricordare un antico “oro del giuramento” di matrice romano campana (320-268 a.C.), il cosiddetto ”oro sesterziario” di cronologia incerta, i rarissimi esemplari coniati per celebrare la vittoria riportata su Filippo V di Macedonia, a Cinocefale, alcune emissioni a nome di Silla (81-79 a.C.) e di Pompeo.
È con Giulio Cesare che la produzione aurea diventa organizzata e basata sul peso di poco più di 8 grammi, secondo un modello ellenistico (l’aureo di Domizio Enobarbo pesa infatti gr 8,09). Di questa moneta sono conosciuti solo pochissimi esemplari.