Spesso si dice, a ragione, che l’antica Grecia è la culla della civiltà occidentale. Considerando che l’eredità greca fu raccolta, metabolizzata e diffusa dai Romani, è quasi lapalissiano considerare quanto sarebbe cambiato il corso della storia se Roma non fosse riuscita a sconfiggere la sua prima, grande rivale: Cartagine.
All’epoca della Prima guerra punica, i domini cartaginesi comprendevano larghe aree del Mediterraneo, inclusa la Sardegna. Nell’isola vennero battuti pochi tipi monetali, ma ciononostante la produzione fu quantitativamente imponente.
La moneta della Sardegna di cui parliamo è l’ultima coniata dai Cartaginesi nell’isola. Risale al 216 a.C. circa ed è coniata in una lega composta in larga parte da bronzo e in percentuale minore da argento. La moneta, alquanto rara, presenta al diritto una testa virile diademata a sinistra, e al rovescio un toro stante a destra con la testa rivolta in avanti e, dietro, una spiga.
Un’incisione che mostra la battaglia di Canne, uno degli scontri più cruenti del mondo antico, combattuta il 2 agosto del 216 a.C. e vinta dai cartaginesi
Come gli appassionati di storia avranno notato, l’anno in cui usualmente si colloca la coniazione di questa moneta della Sardegna è lo stesso della battaglia di Canne: siamo all’inizio della Seconda guerra punica (218-201 a.C.).
Nel 238, a conclusione della prima, Cartagine aveva dovuto cedere la Sardegna a Roma; tuttavia, la sconfitta di Canne (probabilmente la più grave disfatta militare mai subita dai Romani) aveva lasciato l’Urbe scoperta, al punto che solo le circostanze favorevoli e la strategia d’attesa di Quinto Fabio Massimo la salvarono.
La Sardegna, che mal tollerava i nuovi dominatori, colse l’occasione favorevole per insorgere. La rivolta fu guidata da Ampsicora, il più importante e ricco fra i principes sardi. L’origine di Ampsicora è stata a lungo oggetto di dibattito e lo è tuttora. La maggior parte dei testi avvalla la vecchia tesi dello storico Ettore Pais che, ricollegando il nome del condottiero a quello del fiume della Numidia Ampsaga, sostiene una sua origine fenicia. Tuttavia il linguista e glottologo Massimo Pittau ha rimesso in discussione questa ipotesi, imparentando l’antroponimo ad altri simili per struttura linguistica e aventi origine egeo-anatolica: la stessa, a quanto pare, degli etruschi e degli antichi Sardi.
Ciò che sappiamo per certo è che attorno ad Ampsicora si riunirono le comunità in rivolta, che avevano come roccaforte la città di Cornus (presso l’attuale Cuglieri). Roma mandò in Sardegna un esercito capitanato da Tito Manlio Torquato, con l’incarico di stroncare la ribellione, nel 215.
Un bell’esemplare della rara moneta della Sardegna con al dritto un ritratto virile diademato e al rovescio un bue e una grande spiga di grano (mistura, mm 23 ca. per g 7 ca.)
Lo scontro fra i due eserciti si risolse in una vittoria per Roma. Successivamente, lo sbarco di un esercito cartaginese nei pressi di Oristano riaccese le speranze dei rivoltosi. Unendo a questi effettivi le truppe sconfitte da Torquato e alcune truppe di indigeni, Ampsicora e il comandante cartaginese Asdrubale il Calvo riuscirono crearono un possente esercito, col quale si diedero alle devastazioni nell’agro del Campidano, nell’intento di raggiungere Carales.
Tuttavia, il nuovo scontro si risolse in un’altra disfatta per i sardo-punici, ancora più pesante della precedente: gli sconfitti lasciarono sul campo ben 12.000 morti, fra cui Hostus, il figlio di Ampsicora; quest’ultimo, secondo le fonti, si uccise subito dopo. Successivamente, Tito Manlio Torquato assediò ed espugnò Cornus, ponendo definitivamente termine a qualsiasi velleità cartaginese sulla Sardegna.
Questi gli avvenimenti che fanno da sfondo alla moneta della Sardegna antica di cui parliamo, la quale, a sua volta, mostra delle caratteristiche interessanti. La lega di cui è composta testimonia che una certa quantità di argento fu inviata in Sardegna dalla Spagna: infatti, all’epoca della quale scriviamo, Cartagine era appena riuscita a riprendere il controllo delle miniere della penisola iberica.
L’aspetto più particolare è però un altro: questa moneta della Sardegna infatti, a differenza di tutte le altre monete sardo-puniche (ad eccezione di un tipo monetale che è però molto raro e più vecchio di alcuni decenni), non mostra al dritto la divinità fenicia Kore, bensì una testa virile diademata.
Un altro esemplare di questa tipologia monetale sarda di fine III secolo a.C. sul cui ritratto al dritto gli storici e i numismatici non trovano ancora certezze
La scomparsa dell’effigie della dea porterebbe a pensare che questa emissione sia da collegarsi, più di quelle che l’hanno preceduta, ad elementi autoctoni. Alcuni studiosi hanno persino ipotizzato che la moneta ritrarrebbe lo stesso Ampsicora; tesi, questa, oggi abbandonata dalla maggior parte dei numismatici. Altri studi, basandosi sulle caratteristiche stereotipe dei ritratti presenti negli esemplari a lui noti, indicano la possibile identificazione con il dio greco-sardo Aristeo.
Oggi, l’ipotesi prevalente è quella che la testa diademata sia effigie di un eroe simbolico e non come ritratto individuale. Meno problematico il rovescio della moneta: il toro è spesso presente nell’iconografia monetale sardo-punica, così come la spiga, simbolo della fertilità dell’isola.
Parecchi esemplari riportano, sempre nel rovescio, una o più lettere dell’alfabeto fenicio-punico: si tratta, probabilmente, di lettere assegnate ai diversi zecchieri per distinguere le monete battute da uno piuttosto che dall’altro. La rarità della moneta in esame testimonia la brevità dell’emissione: un’ultima, fugace testimonianza del dominio cartaginese e dell’apertura di un nuovo capitolo della nostra storia.