Nel 1652 e nel 1653 sant’Antonio da Padova appare sulle monete di Francesco Molin dopo essere stato proclamato protettore della Serenissima
di Roberto Ganganelli | Quando si parla di monete veneziane e di santi, la prima associazione è ovviamente quella con l’evangelista Marco che appare su innumerevoli tipologie, per secoli, come patrono primo della Repubblica. Tuttavia, nel 1652 accade qualcosa di speciale e inedito dal momento che, sull’osella di quell’anno, alle spalle di san Marco appare niente meno che sant’Antonio da Padova.
Anno 1652, i Veneziani “adottano” sant’Antonio da Padova
È nella primavera del 1652, infatti, che la Serenissima decreta l’adozione di sant’Antonio a protettore e chiede a Padova una sua reliquia, affinché il francescano di origine portoghese, canonizzato nel 1232, possa dar man forte a Venezia nella lotta contro i Turchi.
L’8 giugno il vescovo di Padova Giorgio Cornaro, durante una cerimonia solenne, estrae così da una preziosa teca un osso dell’avambraccio sinistro del santo e ne invia un frammento ai Veneziani.
Dai resoconti dell’epoca si evince che il percorso della reliquia di sant’Antonio nei paesi lungo le rive del Brenta è seguito da una folla devota; alla fine, il corteo giunge a Fusina dove ad attenderlo su eleganti e lussuose gondole vi sono numerosi patrizi e una folla di popolo.
Al termine del percorso, finalmente in Laguna, la processione approda sul molo della piazzetta di San Marco, dove ad attenderla – secondo le cronache del tempo – vi sono più di 80.000 persone in un’atmosfera di devota attesa.
L’abate Benedetto Erizzo riceve dai membri dalla delegazione padovana la reliquia e la colloca nella Basilica marciana, gremita all’inverosimile, per poi riporla nel Tesoro. In seguito, la reliquia di sant’Antonio verrà trasferita a Santa Maria della Salute e collocata in un altare appositamente costruito, dove ancor oggi si trova.
La prima osella del doge Francesco Molin con il nuovo protettore
La proclamazione di sant’Antonio a protettore di Venezia, dunque, risveglia un’emozione fortissima tanto da far decidere al doge Francesco Molin di far memoria di questo evento nella sua osella dell’anno VII. Al dritto . S . M . V. GERMINAVIT LILIVM FLOREBIT ÆTERNO . FR . MOL . D; san Marco in trono porge con la destra il vessillo al doge genuflesso che lo riceve con entrambe le mani. Alle spalle del santo, sant’Antonio da Padova in piedi, con un ramo di giglio nella mano destra; all’esergo la sigla del massaro.
Al rovescio, la legenda HINC . SPERANS . NIL . ERRANS circonda la scena del popolo ebraico che attraversa il Mar Rosso; all’orizzonte, al di là degli uomini in marcia, una colonna di fuoco. In primo piano Mosè, genuflesso a sinistra in preghiera, stringe un bastone e volge lo sguardo in alto alla Manus Dei tra i raggi; all’esergo ANNO | .VII.
“Il culto di sant’Antonio fiorirà in eterno a Venezia” recita la legenda sul dritto. Al rovescio invece è rappresentato l’esodo del popolo ebraico per mano scampato alle persecuzioni degli egizi. Un’immagine che richiama il difficile momento che la Repubblica vive nel 1652 e l’auspicio che, così come Dio fu guida e protezione degli Ebrei verso la terra promessa, così sant’Antonio proteggerà i Ceneziani nella guerra in corso.
Le traversie della difficile Guerra di Candia
Nonostante alcune vittorie, infatti, la situazione a Candia è difficile. Il blocco veneziano ai Dardanelli mette in difficoltà flotta turca ma perde man mano di efficacia, avendo le navi necessità di manutenzione durante l’inverno, mentre i Turchi ricevono rinforzi regolari. Ecco perché l’osella fa riferimento alla guida divina quando mette in bocca ai Veneziani le parole del popolo ebraico: “Noi crediamo in questa guida ed in questo non possiamo andar errati”.
Si è detto che la reliquia di sant’Antonio viene inizialmente deposta nel Tesoro di san Marco: ebbene, l’anno seguente avviene l’inaugurazione dell’altare dedicato a Santa Maria della Salute, sopra il quale troneggia una bella pala del pittore Pietro Liberi in cui Venezia personificata appare ai piedi del nuovo protettore.
Ed ecco che, anche di questo evento che conclude, di fatto, “l’adozione” del santo di Padova da parte di Venezia si fa memoria in moneta, con un’altra osella – anno VIII del dogado di Francesco Molin – sul cui dritto sant’Antonio torna ad accompagnare san Marco nell’atto di porgere il vessillo al doge.
La seconda osella con sant’Antonio: quale chiesa al rovescio?
Al rovescio è rappresentato un edificio sacro davanti alla quale si sprigiona una fiamma sulla quale si dirigono i raggi del sole che tuttavia, a differenza di quanto scritto finora dagli studiosi di numismatica, non sembra affatto essere la chiesa Santa Maria del Pianto.
Santa Maria del Pianto, infatti, iniziata nel 1647 e consacrata quarant’anni più tardi, nel 1653 infatti era ancora un cantiere. Inoltre, questo edificio non ha mai avuto un timpano triangolare alla sommità della facciata e, fin dal progetto, presenta una pianta ottagonale ossia del tutto diversa da quella effigiata sull’osella di Francesco Molin. Senza contare il fatto che Santa Maria del Pianto non ha mai avuto un campanile così svettante…
Quale che sia l’edificio raffigurato – chiediamo agli amici esperti di storia veneziana qualche indizio – la legenda COHIBENTE TERREVM AETHEREO può essere tradotta come “Il divino vince il terrestre” e la raffigurazione vede il Sole (ossia Dio) esaudire le preghiere dei Veneziani nella chiesa appena consacrata e accende un fuoco divino sulla Terra destinato ad aiutare Venezia e a consumare il nemico.
Valida anche la lettura per cui il fuoco celeste – il Sole – vince il fuoco terreno, quello della violenza distruttrice. Ossia, liberati dal voto, i raggi del Sole spengono le fiamme del Purgatorio, con allusione ai tanti cittadini di Venezia caduti nel corso della guerra e alla salvezza delle loro anime.
Iniziata nel 1645, la Guerra di Candia – la quinta fra la Serenissima e l’Impero ottomano – alla fine sarebbe durata ben 24 anni costando a Venezia circa 29 mila morti e l’astronomica cifra di 126 milioni di ducati.
Una guerra che avrebbe significato per Venezia la perdita di Creta, solo in minima parte compensata dall’ampliamento dei possedimenti dalmati. Ma una vittoria a metà, in fondo, anche per l’Impero ottomano che avrebbe lasciato sul campo 109 mila soldati nell’ennesimo, sanguinoso conflitto fra due civiltà e due religioni.