Alcune monete della collezione di Lorenzo il Magnifico si trovano illustrate in una preziosa opera del letterato rinascimentale conservata a Firenze
di Fiorenzo Catalli | Il Monetiere del Museo archeologico di Firenze è l’erede diretto del Medagliere granducale. Un primo nucleo di medaglie e monete è già presente nell’Inventario dei beni di Pietro de’ Medici il Gottoso (1416-1469) e sull’esempio del padre, anche i figli Lorenzo e Giuliano, ancora adolescenti, avevano cominciato a raccogliere monete.
Sappiamo inoltre che nel più vasto museo di antiquitates di Lorenzo il Magnifico (1449-1492) (fig. 1a), le monete erano conservate nel suo scrittoio assieme ad oggetti sacri, preziose gemme e cammei, tutte testimonianza della sua sensibilità al bello.
Sappiamo che nel 1464 la collezione di monete di Lorenzo ammontava a 100 pezzi in oro, 503 in argento e ad un numero non precisato di monete di bronzo, raddoppiando la collezione che aveva ereditato dalla sua famiglia. L’inventario dei beni di Lorenzo, redatto nell’anno della sua morte, nel 1492, registrava un totale di 2330 tra medaglie e monete.
E’ ben testimoniato quanto fosse grande il suo interesse verso le monete ed i cammei. Quando fu inviato a Roma quale ambasciatore, nel settembre del 1471, in occasione dell’elezione di papa Sisto IV, Lorenzo si diede da fare per acquistarne un gran numero, mentre il suo biografo, Valori, scriveva di lui: “[…] coloro che vogliono affezionarselo, avevano cura di portargli o di mandargli delle medaglie preziose”. Proprio nel 1471 Lorenzo aveva acquistato la collezione di monete di papa Paolo II Barbo.
Testimonianza diretta della collezione numismatica di Lorenzo è in un manoscritto del tardo Quattrocento, oggi conservato presso la Biblioteca nazionale di Roma (V.E., 1005), acquistato dallo Stato italiano all’asta Sotheby’s del 7 giugno 1932 ma descritto per la prima volta modernamente in occasione del suo ingresso nella Biblioteca nazionale di Roma nel 1934, mentre il repertorio iconografico venne illustrato solo nel 1953 nella Mostra nazionale della miniatura a Roma a Palazzo Venezia nel 1954.
Il manoscritto contiene gli otto libri delle Historiae post Marcum dello storico Erodiano in una traduzione latina curata da Angelo Poliziano (fig. 1b). La scelta di questo testo si giustifica pensando che la traduzione del lavoro di Erodiano circolava ancora sporadicamente tra gli intellettuali quattrocenteschi. L’intero ciclo figurativo del manoscritto è stato attribuito a Vante di Gabriello di Vante Attavanti, noto come Attavante, mentre la grafia è stata riconosciuta come quella appartenuta all’eccellente maestro copista Neri di Filippo Rinuccini, ben noto e attivo a Firenze tra il 1475 e il 1491.
L’evidenza che questo manoscritto sia la copia di dedica a papa Innocenzo VIII è nel frontespizio (fig. 2) con l’iscrizione dedicatoria (fig. 3): HERODIANI HISTORIAE DE IMPERIO | POST MARCUM VEL DE SVIS TEMPO | RIBVS LIBER PRIMVS EX GRAECO | TRASLATVS ANGELO POLITIANO | INTERPRETE AD INNOCENTIVM | OCTAVVM PONTIFICEM MAXI | MVM PROOEMIVM e in basso (fig. 4) lo stemma del pontefice con tiara e chiavi sorretto da due angeli in vesti rinascimentali. Da notare come nella corona circolare, ad imitazione delle legendae monetali, sia iscritto il titulus INNOCENTIVS VIII PONT. MAX. Disposte tutte intorno nella cornice vi sono riprodotte sette monete, al diritto e al rovescio.
All’interno della lettera iniziale è un ritratto maschile barbato (fig. 5) in abito rosso con cappello alla greca ed un libro nella mano, ritratto in cui sembra preferibile riconoscere lo storico Erodiano piuttosto che il Poliziano come suggerito precedentemente.
Il manoscritto venne offerto dal Poliziano al papa Innocenzo VIII tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1487, per mano di Giovanni Lanfredini, oratore fiorentino in Roma ed intimo collaboratore di Lorenzo che aveva accesso alla corte pontificia.
Il 16 agosto lo stesso Innocenzo rispose ringraziando del dono sia al Poliziano che a Lorenzo, a conferma che il dono dove far parte di una strategia di contatti politici tra la famiglia fiorentina e la Curia Romana. Vi erano infatti altri legami privati che nel frattempo erano stati intrecciati con il matrimonio del figlio naturale del papa, Francescetto Cybo e Maddalena, terzogenita di casa Medici.
Ma il Poliziano, inoltre, aveva con questo gesto un suo scopo personale: sperava infatti di poter ottenere in cambio l’incarico di bibliotecario nella Biblioteca Vaticana, dove tuttavia non riuscì mai ad arrivare nonostante vari interventi diretti dello stesso Lorenzo.
Il manoscritto è a Roma nel 1491 quando viene ricordato nei registri di prestito concesso dal bibliotecario vaticano Giovanni Lorenzo al cubiculario segreto vaticano Vasino Gambara: “Ego idem habui a domino Iohanne, die 7 ianuarii, Herodianum in membranis et veluto pavonacio, die 7 ianuarii 1491. Dominus Vasinus. Restituit die 22 augusti”.
Ancora registrato in due diversi inventari successivi tra il 1508 e il 1519, il manoscritto scomparve dalla biblioteca pontificia per riapparire nel ‘900 nella raccolta di Lord Mostyn in vendita nel 1920, e poi di nuovo in vendita nel 1932 come proveniente dalla Collezione Chester Beatty. Oggi è conservato nella Biblioteca centrale “Vittorio Emanuele” di Roma.
Conosciamo altre due copie del manoscritto di cui la prima, approntata dallo stesso Attavante e dedicata dal Poliziano allo stesso Lorenzo il Magnifico, è oggi conservata nella Biblioteca Medicea Laurenziana (Laur. 67, 3) e la seconda, predisposta per Lorenzo di Pierfrancesco Medici, cugino del Magnifico è conservata a Londra, alla British Library.
Da una lettera dello stesso Poliziano inviata in risposta ad Alessandro Cortesi che gli chiedeva una copia del manoscritto, si potrebbe sospettare l’esistenza di una quarta copia di cui non si hanno notizie più certe: non vi posso fare copia della opera, se già non volete che la faccia scrivere a vostra stanza, perché non l’ho pure io: “Solo ne sono tre o quattro in questi primati fiorentini, scripte et ornate sumptuosamente per amore che mi portano”.
Il frontespizio presenta sette disegni di monete relative agli imperatori da Faustina I, moglie di Antonino Pio a Commodo, mentre, all’interno, all’inizio di ogni libro l’iniziale in oro ospita la faccia di una o due monete diverse con l’effigie dell’imperatore e volte è riprodotto un rovescio. La cura nei disegni delle monete ha consentito di tentare la ricerca nella raccolta del Monetiere del Museo Archeologico di Firenze delle monete laurenziane che più verosimilmente possono essere state oggetto di studio e di utilizzazione da parte del Poliziano.
I riscontri effettuati sono stati sempre positivi al punto da avvalorare l’ipotesi che il Poliziano, già nel corso dell’elaborazione del suo lavoro, abbia ricercato anche i documenti monetali tra quelli disponibili a Firenze nella collezione numismatica di Lorenzo il Magnifico e che lui stesso sia stato l’ispiratore e il collaboratore materiale di Attavante nel selezionare e nel fornire i reperti monetali da riprodurre a disegno nel manoscritto.
L’identificazione tra i disegni del manoscritto e le monete attualmente presenti nella collezione numismatica è confermata anche nei riguardi delle monete riprodotte nel frontespizio dove le esigenze del loro inserimento nella cornice hanno causato la perdita delle proporzioni e provocato un appiattimento nella resa senza più distinzione tra monete in oro, argento e bronzo (ma almeno in questo caso vale come identificativo la presenza della sigla S C, Senatus consulto).
Le monete del frontespizio non sono scelte a caso ma rappresentano i protagonisti del primo libro delle Historiae, ben in armonia con il corredo numismatico riprodotto all’inizio dei singoli libri dedicati alle gesta degli imperatori successivi da Pertinace a Gordiano III. Le monete, dunque, sono state opportunamente selezionate per accompagnare la narrazione dei singoli capitoli erodianei non all’unico scopo decorativo ma con un preciso intento antiquario ovvero per recuperare le preziose informazioni storiche provenienti dall’esame delle monete stesse. Basta pensare ai tituli imperiali che sono sempre accoppiati con i relativi ritratti.
L’interesse del Poliziano per le monete è confermato anche nei Miscellanea dove in ben sei luoghi lo studioso attinge alla numismatica quale fonte sicura per ricostruire brani della storia e per risolvere problemi linguistici ed epigrafici del latino. Proprio mentre i Miscellanea erano in elaborazione, il Poliziano stava lavorando sul testo di Erodiano e, dunque, la sua ricerca numismatica si spingeva di certo tra i documenti monetali presenti a Firenze soprattutto nella collezione di Lorenzo
La moneta con il ritratto di Commodo (fig. 6) corrisponde tuttavia per l’iconografia a molti degli esemplari conservati nel monetiere fiorentino. Da notare la legenda semplificata (solo Commodus piuttosto che la completa M. Commodus Antoninus Aug) un particolare che ritroveremo in altri casi successivi e che piuttosto che far pensare ad una cattiva lettura o ad una incapacità di leggere l’intera legenda deve, in realtà, corrispondere ad una precisa scelta del miniatore che ha preferito privilegiare l’aspetto iconografico del ritratto che quello epigrafico relativo alla identificazione del personaggio su cui non vi erano dubbi.
Il rovescio con l’Armenia (fig. 7) trova piuttosto un confronto credibile con un sesterzio di Lucio Vero (unico esemplare presente nel Monetiere, e si accoppia con il suo diritto (fig. 8) a legenda L. Verus Aug. Armeniacus.
Il diritto con il busto di Faustina I (fig. 9) consente di istituire confronti con uno degli aurei in collezione, ma per il rovescio (fig. 10) dobbiamo cercare il confronto con uno dei due denari in argento che mostrano il tipo con la personificazione dell’Aeternitas con un globo nella destra e il velo sul capo.
Una stessa moneta, un sesterzio di Marco Aurelio è stata utilizzata per il diritto (fig. 11) e il rovescio (fig. 12) con il tipo del Restitutor Italiae. L’identificazione è certa anche perché nella attuale collezione non vi sono altri sesterzi di Marco Aurelio con queste caratteristiche.
Le identificazioni sono ugualmente evidenti per le monete disegnate all’inizio degli altri libri, dal secondo all’ottavo. I disegni delle due facce (fig. 13) di un sesterzio emesso per il divo Pertinace, l’unico (fig. 14) oggi presente nella collezione, introducono il secondo libro. Il libro terzo è introdotto dai disegni del diritto e del rovescio (fig. 15) di un sesterzio (fig. 16) di Settimio Severo con il tipo della Victoria Brittannica. Anche in questo caso l’identificazione appare indiscutibile.
Il quarto libro di Erodiano dedicato ai figli di Settimio Severo, Geta e Caracalla, non poteva non essere introdotto dai disegni di due diverse monete (fig. 17) per dare evidente spazio iconografico ai due protagonisti. Su un disegno è la testa laureata di Geta con legenda Imperator Caesar P. Septimius Geta Pius Augustus, mentre, nell’altro, è una analoga testa laureata per il fratello ma è accompagnata da una legenda improbabile perché contiene il nome della Gens Antonina accompagnato da soprannome non ufficiale dell’imperatore, M. Antoninus Caracalla, una licenza voluta per agganciare all’imperatore in questione il soprannome più famoso del suo stesso nome.
Le vicende di Marco Aurelio Antonino, soprannominato Elagabalo, e Macrino descritte nel quinto libro sono precedute dai disegni, anche in questo caso relativi a due diversi diritti (fig. 18) che evidenziano delle peculiarietà nella trascrizione delle legendae.
Mentre la titolatura di Macrino appare abbreviata (da C. M. Opel. Sev. Macrinus Aug a Macrinus Imp. Avg.) per i motivi già detti, il ritratto di Elagabalo è accompagnato dal suo nome derivato dalla sua fede religiosa Heleagabalus imperator, piuttosto che dal nome ufficiale, M. Aurelius Antoninus. All’inizio del sesto libro è il diritto di una moneta di Severo Alessandro (fig. 19) con un ritratto laureato e una legenda ridotta Alexander Imp, assieme ad un rovescio con il tipo della decursio, tipo che non appartiene affatto alla tipologia monetale di Severo Alessandro.
Il tipo della decursio era certamente noto al Poliziano come appartenente ad epoca neroniana come risulta dalle sue lezioni su Svetonio. Proprio nell’Expositio Suetoni, il Poliziano fa riferimento al tipo con i due cavalieri, lo stesso che compare nel manoscritto, interpretandolo piuttosto come una giostra che una esercitazione militare. Dobbiamo concludere che il Poliziano abbia usato il rovescio ben noto della decursio unito ad un diritto dell’imperatore Severo Alessandro con allusione alla passione di questo imperatore per i giuochi equestri, passione ricordata nel testo di Erodiano.
Il libro settimo dedicato all’imperatore Massimino è introdotto dal disegno (fig. 20) di una moneta in bronzo con un diritto con busto laureato dell’imperatore identificato, ancora una volta, dalla legenda ridotta e con un rovescio con il tipo della Salus Augusti. Il miniatore in questo caso è incorso in un errore interpretando il serpente come un piccolo idolo e la patera della Salus con un globo. Il confronto proposto è con un asse, l’unico con queste caratteristiche esistente nel monetiere fiorentino.
L’ottavo ed ultimo libro è dedicato alla proclamazione imperiale del giovane imperatore Gordiano ricordato all’inizio del libro con due disegni (fig. 21) che probabilmente non si riferiscono ad una stessa moneta. Al diritto la testa laureata è accompagnata dalla solita legenda ridotta (Imp. Gordianus al posto della legenda completa e abituale Imp. Caes M. Ant. Gordianus Aug.) mentre il rovescio propone una Pietas seduta con una patera nella destra. Questo ultimo tipo non appartiene alle tipologie monetali di Gordiano nelle quali la Pietas Augusti è sempre stante e con le mani sollevate verso l’alto ma piuttosto alle tipologie degli imperatori del secolo precedente.
Tutte le monete identificate sono presenti nel catalogo del Medagliere granducale redatto nel 1852 da Arcangelo Michele Migliarini, nominato direttore delle collezioni di antichità granducali nel 1841. Al Migliarini dobbiamo una completa descrizione della raccolta di monete ancora oggi di estrema utilità per il riscontro dell’intera collezione.
Ma le stesse monete citate sono descritte in un catalogo precedente, compilato nel 1787 da Giuseppe Pelli Bencivenni, nominato responsabile delle Gallerie granducali con il preciso incarico di occuparsi delle “medaglie” (intese come monete e medaglie) e delle gemme.
Questi della fine del XVIII secolo sono decenni di intensa attività nel Medagliere granducale. Un decennio prima, nel 1773, lo stesso Joseph Eckhel, considerato il padre della numismatica moderna, titolare della prima cattedra universitaria di numismatica a Vienna, aveva lavorato in questo Medagliere per ordinare la collezione numismatica con il nuovo criterio storico geografico, frutto del rinnovamento illuministico del tempo.
Ancora in quegli anni il Pelli definiva il Medagliere granducale “il più ricco gabinetto che sia in Italia” in cui “sta riunita la collezione che principiò Cosimo I e proseguì con impegno Francesco suo figlio, quella che in proprio raccolse l’egregio cardinale Leopoldo, e quanto da Cosimo III vi fu aggiunto” oggi non è più il più ricco d’Italia ma l’impressione di chi vi lavora e che certamente continuerà a riservare ancora molte sorprese.