Nel 1631 il Ducato di Urbino passa sotto il dominio della Chiesa e Urbano VIII Barberini non perde l’occasione di celebrare l’ampliamento territoriale
di Roberto Ganganelli | È stata una delle culle del Rinascimento, il Ducato di Urbino, per merito certo di Federico da Montefeltro ma non solo. La città marchigiana e il suo territorio, infatti, aveva iniziato la sua ascesa nel panorama italiano già nel 1155 diventando sede di un vicario imperiale, poi Contea nel 1213 e infine Ducato, nel 1443, per concessione di papa Eugenio VI Condulmer.
Un’entità che si estendeva dall’Appennino all’Adriatico e da Gubbio, in Umbria, fino a San Marino (pur rimasta idnipendente) e che raggiunse prosperità e floridezza economica senza pari, anche perchè famosi artisti e letterati, come Raffaello, Bramante, Castiglione e Bembo vi lavorarono a lungo lasciando opere immortali.
Poi, nel 1502 Guidobaldo (1482-1508), ultimo discendente dei Montefeltro, perse temporaneamente il Ducato per mano del Valentino, Cesare Borgia, recuperandolo alla morte di Alessandro VI; nel 1508, quando Guidobaldo morì senza eredi, il Ducato di Urbino fu ereditato Francesco Maria I Della Rovere (1491-1538) e i Della Rovere lo ressero fino al 1631, fatta eccezione per il breve periodo tra il 1516 e il 1521, durante finì sotto la signoria di Lorenzo de’ Medici, nipote di Leone X.
Vari pontefici, visto lo stretto legame del Ducato con Roma, attesero con pazienza di poter recuperare il territorio di Urbino agli Stati Pontifici ma fu solo Urbano VIII Barberini che, con la morte di Francesco Maria II Della Rovere nel 1631, poté “portare a casa il risultato” incamerando l’ex Ducato e ampliando i domini della Chiesa.
Un risultato effimero, in fondo, dal momento che Urbino e i territori di sua giurisdizione con i papi si avviarono a una inesorabile decadenza; una “pacifica conquista” che, tuttavia, Urbano VIII non mancò di celebrare sia in moneta che in medaglia.
Nell’anno VIII di pontificato, infatti, dalla zecca papale di Roma uscironodue tipi di testoni – con al dritto lo stemma con le tre api oppure il ritratto del pontefice (quest’ultima versione della moneta è più rara e raffinata) – e con, al rovescio, una marziale Roma galeata seduta, con asta nella mano destra e la Basilica vaticana nella sinistra.
Curiosa la legenda celebrativa, di fatto unico elemento che allude al recupero dell’ex Ducato di Urbino: AVCTA AD METAVRVM DICIONE (“Accresciuta fino al Metauro la giurisdizione”) che si presenta con numerose varianti di abbreviazione. Curioso anche il fatto – ma, si sa, anche in numismatica i refusi sono sempre in agguato – che di questo testone “per propaganda” siano noti anche degli esemplari anacronistici, sui quali appare l’indicazione dell’anno VI di pontificato (e non dell’VIII).
La stessa legenda – allusiva al fiume più importante dell’ex Ducato di Urbino – e un soggetto simile si ritrovano anche sulla medaglia annuale dell’anno VIII di papa Barberini e su altre coniazioni, autore Gaspare Molo, oltre che su una serie di riconi opera dei Mazio.
Del resto, l’annessione del ricco ex Ducato di Urbino rappresentò davvero un passaggio epocale per lo Stato della Chiesa in termini di espansione territoriale, quasi senza precedenti e che, di fatto, sancì quelli che sarebbero stati i confini definitivi della giurisdizione dei papi fino al tramonto dell’autorità temporale.