Marte e Minerva sulle monete dei Farnese: la corona del Ducato di Parma e Piacenza è davvero frutto di abilità nella guerra e amore per le arti?

 

di Roberto Ganganelli | Parma, Piacenza: due città e le loro terre accorpate in un Ducato e sotto una stessa famiglia. È ciò che accade nel 1545 quando Paolo III Farnese investe il proprio figlio naturale avuto con Silvia Ruffini, Pier Luigi – fratello di Paolo, Ranuccio e Costanza – del titolo di duca sui due floridi feudi emiliani.

In precedenza, colui che veniva chiamato “il bastardo del papa” era stato nominato capitano generale e gonfaloniere di Santa Romana Chiesa, nonché duca di Castro, feudo del Lazio, e signore delle città di Nepi e Ronciglione.

"Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese", tela di Tiziano Vecellio del 1546 che incarna la politica di nepotismo del pontefice da cui nascerà anche il titolo ducale su Parma e Piacenza
“Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese”, tela di Tiziano del 1546 che incarna la politica di nepotismo del pontefice da cui nascerà anche il titolo ducale su Parma e Piacenza

Pier Luigi, però, ambizioso senza limiti, non si accontenta tuttavia del ducato laziale, ma ambisce a qualcosa di più esteso, ricco e “indipendente” rispetto alla Chiesa. Nella sua mente, il Farnese fantastica sulla possibilità di cingere la corona del Ducato di Milano, o magari di mettere le mani sulla bella città di Siena o sulla ricca Piacenza.

Nemmeno Paolo III, tuttavia, riesce a far digerire all’imperatore Carlo V un possibile ruolo ducale del “bastardo” su Milano e quindi il papa ripiega sul Ducato di Parma e Piacenza, togliendo a Pier Luigi la signoria su Nepi e al di lui figlio, Ottavio, quella su Camerino.

Il Ducato di Parma e Piacenza per l’ambizioso Pier Luigi Farnese

La proposta di investitura avviene nel concistoro del 12 agosto 1545 e la votazione in quello del 17 agosto, non senza contrasti anche perché il nepotismo di Paolo III inizia ad infastidire parte della Curia romana.

Ci pensa tuttavia il cardinale camerlengo, Guidascanio Sforza, a riportare la questione in termini più “accettabili”, ossia squisitamente economici, dimostrando che Parma e Piacenza rendevano appena 7500 ducati l’anno, mentre Camerino rendeva ben 10.000 ducati e che in nell’ultimo decennio possibile “ducato da devolvere” era costato alla Camera Apostolica la bellezza di 200.000 ducati.

Il 1604 è il primo anno in cui, a nome di Ranuccio I Farnese, vengono coniati questi ducatoni con il rovescio raffigurante Marte e Minerva che pongono la corona sulle piante di giglio emblema del casato
Il 1604 è il primo anno in cui, a nome di Ranuccio I Farnese, vengono coniati questi ducatoni con il rovescio raffigurante Marte e Minerva che pongono la corona sulle piante di giglio emblema del casato

Alla fine l’esito della votazione è favorevole alla decisione di Paolo III, che stabilisce inoltre che Pier Luigi paghi un censo annuale di 9000 ducati alla Camera Apostolica e ceda Castro al figlio Ottavio, facendogli in questo modo ammettere di essere un “vassallo” della Chiesa.

Regna poco meno di due anni, Pier Luigi Farnese, dal 23 settembre 1545 al 10 settembre 1547 quando viene assassinato a Piacenza da un manipolo di sicari pagati da Ferrante I Gonzaga. Il duca viene sgozzato e il suo corpo finisce nel fossato del suo palazzo.

Oltre ai ducatoni, Ranuccio I fa battere anche doppi ducatoni in argento con lo stesso soggetto e con, al dritto, il roprio busto corazzato: monete di squisita fattura e dal forte impatto estetico
Oltre ai ducatoni, Ranuccio I fa battere anche doppi ducatoni in argento con lo stesso soggetto e con, al dritto, il roprio busto corazzato: monete di squisita fattura e dal forte impatto estetico

Gli succede il figlio Ottavio, poi verranno Alessandro, Ranuccio I, Odoardo e gli altri fino ad Antonio Farnese, ultimo della famiglia sul trono di Parma e Piacenza, che muore senza eredi il 26 febbraio 1727 lasciando il titolo nelle mani di Carlo di Borbone, in quanto figlio di Elisabetta Farnese.

Una corona esaltata in moneta fra Marte e Minerva

Visto il modo in cui la corona finisce sul capo dei Farnese, dunque, appare abbastanza pomposa e propagandistica la citazione di Orazio (dalle Odi) che recita QVAESITAM MERITIS (“Acquisita con i meriti”) che appare su alcune belle e rare monete sia di Ranuccio I che di Odoardo e di Ranuccio II.

Ranuccio II Farnese, sesto a cingere la corona ducale di Parma e Piacenza a partire dal 1646 e fino alla sua morte, avvenuta nel 1694, ritratto dal pittore Jacob Denys
Ranuccio II Farnese, sesto a cingere la corona ducale di Parma e Piacenza a partire dal 1646 e fino alla sua morte, avvenuta nel 1694, ritratto dal pittore Jacob Denys

Per il primo ducatoni e doppi ducatoni in argento; per Odoardo una eccezionale 8 doppie in oro (nota solo da un disegno dell’Affò), oltre che doppi ducatoni e ducatoni; per Ranuccio II, infine, pezzi da 10 e da 8 doppie in oro, prove in rame per multipli d’oro con data 1661, doppi ducatoni, ducatoni in argento e, infine, prove in rame del ducatone. Ravegnani Morosini riporta anche una 10 doppie 1679 mancante tuttavia negli altri testi, dal Corpus al MIR.

Bellissimo il rovescio su cui Marte e Minerva, rispettivamente divinità della guerra e delle arti, sostengono una corona sopra una pianta con tre gigli, i gigli dei Farnese per l’appunto. Su alcune tipologie i piccoli gigli araldici, in numero di cinque e disposti come nello stemma del casato, si ritrovano in esergo.

Il rovescio di un ducatone di Ranuccio II Farnese: la corona QVAESITAM MERITIS, ossia "acquisita con i meriti", sormonta una rigogliosa pianta di gigli, i cui fiori si trovano anche in esergo come elementi araldici
Il rovescio di un ducatone di Ranuccio II Farnese: la corona QVAESITAM MERITIS, ossia “acquisita con i meriti”, sormonta una rigogliosa pianta di gigli, i cui fiori si trovano anche in esergo come elementi araldici

L’allegoria è chiara nel suo intento di propaganda: la corona di Parma e Piacenza è stata acquisita per meriti di guerra dai Farnese e questi, rappresentati dai tre gigli, vengono investiti del titolo da Marte e Minerva che simboleggiano in primo luogo le capacità belliche, ma anche la sapienza e l’amore per le arti.

I gigli dei Farnese, rigogliosi in moneta a scopo di propaganda

Anche le versioni in oro di queste monete furono chiamate “ducatoni”, dal momento il conio era simile o uguale a quello dei ducatoni in argento; l’impronta del rovescio apparve per la prima volta sui ducatoni di Ranuccio I del 1603.

Ritratto di Ranuccio II Farnese sul dritto del raro ducatone in argento coniato nel 1692
Ritratto di Ranuccio II Farnese sul dritto del raro ducatone in argento coniato nel 1692

Affò attesta come furono battuti anche multipli d’oro da 24, 12 , 8 e 6 scudi,  per ragioni di “honorevole necessità e utilità del principe e del pubblico”, ossia per essere omaggiati. Tuttavia questi multipli di ostentazione, per la loro bontà, in gran parte finirono rifusi e, con loro, il potente slogan che mascherava la vera origine del titolo ducale.