Il Tesoro di Tomares, scoperto sei anni fa, è composto dalla bellezza di 53.000 esemplari e venne occultato nel IV secolo sotto il portico di una villa
di Antonio Castellani | Era il 27 aprile 2016 quando a Tomares, in Andalusia, alcuni macchinari impegnati in un cantiere si imbatterono in 19 contenitori di ceramica pieni di quelle che sembravano essere decine di migliaia di monete romane.
La benna dell’escavatore aveva rotto dieci delle anfore, mentre altre nove erano rimaste intatte e sigillate. Le autorità furono subito allertate e gli archeiologi iniziarono il recupero.
Dal 2016 a oggi, i risultati degli studi sul tesoro di Tomares
Oggi un gruppo di archeologi e numismatici dell’Università di Siviglia ha pubblicato un rapporto, Currency and metal in Late Antiquity: the Treasure of Tomares o Zaudín, che prende in esame 5899 pezzi per concludere che c’erano circa 53.000 monete nelle anfore, che furono sepolte in un deposito nascosto all’interno di una villa romana, e che le monete furono tutte coniate tra gli anni 294 e 311 d.C. Lo studio ha anche analizzato i possibili motivi per cui il loro proprietario occultò il tesoro di Tomares sotto il portico dell’edificio.
Per determinare quante monete compongono il tesoro, si è ipotizzato che tutte le anfore contenessero un numero simile di pezzi. Due anfore frammentate – in cui l’Istituto andaluso per il patrimonio storico ha introdotto le microcamere – contengono ciascuna 2800 monete dello stesso tipo di lega.
Poiché tutte le anfore hanno le stesse dimensioni – inizialmente servivano per conservare l’olio – si stima che le monete siano circa 53.000. Sono pezzi emessi dopo la riforma dell’imperatore Diocleziano nell’anno 294 – modifiche fiscali, amministrative e monetarie per frenare l’inflazione – e non ce ne sono che superano l’anno 312.
Analisi di un campione e tecnoogie d’avanguardia
Poiché gli esperti avevano a disposizione per l’analisi solo le monete che erano state sparse dalla rottura delle anfore ne scelsero 5899 per lo studio, circa il 10% del tesoro. I 5899 pezzi analizzati risultano coniati sotto gli imperatori Diocleziano, Massimiano, Costanzo, Galerio, Costantino, Severo, Massimino, Licinio e Massenzio. Provengono dalle zecche di Roma, Cartagine, Aquileia, Treveris, Ticinum, Lugdunum, Londinium, Siscia e Ostia.
Un numero minore proviene dalle officine monetarie di Alessandria, Cizico, Salonicco, Eraclea, Nicomedia e Antiochia. L’imperatore il cui nome compare sul maggior numero di monete è Diocleziano, e la zecca Cartagine.
Domande e ipotesi sulle 53.000 monete di Tomares
Questo pone la domanda sul perché ci siano tante monete di Diocleziano. La risposta potrebbe essere perché man mano che gli imperatori passavano e l’inflazione cresceva, il peso delle monete e la loro percentuale di argento diminuivano.
E perché così tante monete nelle stesse mani? I ricercatori spiegano che la riforma di Diocleziano innescò incertezza politica e conflitti tra i governanti. A ciò si aggiunsero scontri territoriali e sociali che avrebbero portato gradualmente a una concentrazione di proprietà e a una svalutazione di questo tipo di valuta rispetto all’oro.
“Questi e altri fattori spiegano la grande quantità di monete che sono state trovate, poiché solo in gran numero potevano essere effettuati pagamenti di un certo livello” sostengono i ricercatori. In altre parole, per effettuare transazione finanziarie importanti, era necessario un numero enorme di monete.
Il tesoro di Tomares è una delle più grandi raccolte in assoluto di monete della Tetrarchia. È superato per consistenza solo da quello di Misurata, in Libia, e costituisce una testimonianza di altissimo livello della circolazione monetaria all’inizio del IV secolo nel sud della Penisola Iberica.