Uno dei più rari denari di Roma, emesso nel 45 a.C., con al rovescio uno dei Giganti si lega forse alla congiura per uccidere Giulio Cesare
di Roberto Ganganelli | Si tratta, senza dubbio, di uno dei denari più rari in assoluto dell’intera serie di Roma repubblicana e ogni collezionista di questo settore della numismatica vorrebbe possederlo, anche in bassa conservazione.
Parliamo del denario emesso a nome di L. Valerius Acisculus e che venne coniato nell’anno 45 a.C. (Babelon Valeria 21, Sydenham 1003, Crawford 474/4).
La moneta reca al dritto la legenda ACISCVLVS e una testa laureata di Giove, rivolta a destra. Tutt’attorno, un serto di alloro. Al rovescio, campeggia invece un gigante anguipede visto di fronte, che nella mano destra stringe un fulmine che gli trafigge il fianco; la mano sinistra è sollevata. In esergo L. VALERIVS.
La tragica fine del re dei Giganti, distratto dalla bella Giunone
Le raffigurazioni di questa eccezionale moneta affondano le loro radici nel mito greco della Gigantomachia, una catastrofica battaglia tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti nati dalla terra, che ebbe luogo quando i primi si affermarono come nuovi governanti del cosmo.
In questo titanico conflitto i Giganti, tradizionalmente raffigurati con dei serpenti al posto delle gambe (come segno della loro origine come figli di Gaia, vedi qui il mito di Erittonio) erano guidati dal loro re Porfirione.
Secondo la versione romana del mito greco, Porfirione attaccò Ercole e Giunone e stava per distruggerli quando Giove suscitò il desiderio di possedere la bellissima Giunone nel re dei Giganti. Mentre Porfirione era distratto da contata bellezza, Giove colse l’occasione per abbatterlo con un fulmine, mentre Ercole lo colpì con una freccia.
Il dritto della moneta raffigura dunque Giove, l’uccisore di Porfirione, mentre il rovescio illustra l’agonia del più grande dei Giganti mentre un fulmine sporge dal suo fianco. Il simbolo dell’ascia (o piccone?) che appare accanto alla testa di Giove sul dritto è un gioco di parole con il cognomen del magistrato monetario che emise questo denario. La parola latina per “ascia” era infatti acisculus.
Un raffinato modo per stigmatizzare lo strapotere di Cesare?
Queste raffigurazioni sono apparse solo su questo denario di L. Valerius Asciculus, un fatto che ha portato lo studioso David Sear a suggerire che le monete potrebbero essere interpretate come un’allegoria dell’intenzione di Giulio Cesare di rovesciare il vecchio ordine in cui il Senato deteneva il potere a Roma, affermandosi – lui, fine e potente uomo politico e comandante militare – al pari di Giove sulla terra, per governare il mondo romano come vero e proprio sovrano.
È ben noto, del resto, che le ambizioni di regalità e divinità di Cesare svolsero un ruolo cruciale nello spingere i congiurati ad ucciderlo il 15 marzo del 44 a.C. e questa tipologia di denario, che sembra essere stata rapidamente sostituita dopo le Idi di marzo, potrebbe essere stato un fattore che contribuì alla decisione di Bruto e degli altri cesaricidi. Quanta storia, quanti misteri in una sola moneta…