Su una moneta di papa Della Rovere, san Pietro e san Paolo non sono raffigurati affiancati ma nel momento del loro ultimo incontro prima del martirio
realedi Roberto Ganganelli | A Roma, lungo la Via Ostiense che collegava l’antica città con il porto di Ostia, tra il civico 106 e il civico 108 si può ancora oggi leggere una lapide con un bassorilievo in marmo che raffigura l’ultimo incontro tra san Pietro e san Paolo.
Un abbraccio fraterno, per i due principi della Chiesa, prima di separarsi e di subire il martirio, Paolo alle Acque Salvie, ora Tre Fontane, Pietro al circo di Nerone, oggi Vaticano.
Nella realtà San Pietro e San Paolo si incontrarono soltanto due volte, la prima ad Antiochia e la seconda a Roma, all’epoca in cui regnava Nerone.
Sta di fatto che quegli incontri fra il discepolo prediletto di Gesù, che dal Cristo che aveva ricevuto le chiavi del Regno dei Cieli e la guida della Chiesa, e l’apostolo delle genti convertito sulla via di Damasco, entrarono nella storia.
San Pietro e san Paolo appaiono, singolarmente o insieme, su una grande varietà di monete papali – dai quattrini alle quaduple, per secoli – ma ce n’è una, soltanto una in cui non vengono raffigurati entrambi in modo “tradizionale” – affiancati, l’uno con il libro e le chiavi e l’altro con il libro e la spada – bensì in quel fraterno abbraccio che, secondo la tradizione, prelude al loro martirio.
Un esemplare di eccezionale freschezza di questa rarissima moneta – un giulio in argento senza data per Roma, a nome di Giulio II Della Rovere (1503-1513) – è offerto nella prossima asta Nomisma 65 al lotto 1126 con base di 5000 euro.
In conservazione qSpl, uno dei migliori esemplari mai apparsi sul mercato, il giulio “dell’abbraccio” venne realizzato su coni dell’artista Pier Maria da Pescia che nella legenda del rovescio incluse il segno di riconoscimento della famiglia tedesca dei Fugger, il ”tridente”, chiamato dai romani dell’epoca scherzosamente ”forchetta”.
I Fugger, nel 1495 avevano aperto una filiale della loro potentissima banca a Roma e tra le varie concessioni ottenute dalla Camera Apostolica, nei primi mesi del 1509, ebbero anche l’appalto della zecca pontificia. La “forchetta” dei Fugger permette dunque di datare questa moneta (come il doppio ducato di camera con le stesse impronte, estremamente raro) agli ultimi anni del pontificato del focoso pontefice ligure.
L’espressione risoluta del volto del papa, perfettamente resa nell’incisione raffinata di Pier Maria da Pescia, è un segno della forte personalità del Della Rovere, che ebbe conseguenze anche in campo monetale tanto che, a seguito della riforma delle coniazioni dell’argento voluta nel 1504, il nuovo grosso venne ridenominato, per l’appunto, “giulio”.
La personalità del papa si esprime anche nell’uso decorativo del rovere araldico – un dettaglio non casuale – sia sul piviale che come simbolo che segna, a ore 12 del dritto, l’inizio della legenda IVLIVS . II . PONTIFEX . MAXIMVS. I due volti degli apostoli appaiono invece sul razionale, anche se in questo esemplare non risultano del tutto visivili.
Interessante infine la legenda LVMINARIA VERAE FIDEI (nota anche nella variante LVMINARIA VERA FIDEI) che circonda la scena dell’abbraccio: i “luminari della vera fede” sono infatti san Pietro e san Paolo. Santi che, tuttavia – si noti la finezza iconografico simbolica – non sono ancora tali, sono privi dell’aureola, dal momento che solo col martirio si compirà del tutto la loro missione terrena.
Secondo Muntoni (1974, IV, p. 305) la legenda deriverebbe da un inno sacro composto nel V secolo e attribuito a Elpide, moglie del filosofo Severino Boezio. L’inno, dal titolo Aurea Luce, è appunto dedicato a san Pietro e san Paolo e viene cantato ancora oggi ai vespri del 29 giugno, solennità dei due principi degli apostoli.