Un episodio storico fondamentale e un forte messaggio politico dietro un denario augusteo con il satiro Marsia, finora rimasto “senza nome”
di Andrea Cavicchi | Con la redazione del fascicolo Le monete di Ottaviano Augusto: un moderno e raffinato mezzo di comunicazione edito nel 2014 ho voluto cogliere l’occasione per approfondire alcune monete a nome di questo formidabile personaggio le cui letture “canoniche” non mi convincevano completamente e, da questo studio, sono emerse delle conclusioni interessanti.
Una lettura incompleta per un denario affascinante e raro
Una di queste riguarda un denario in argento databile al 19 a.C. circa (RIC I 295; RSC 492; BMCRE pag. 6, nota 29; BN 167), che ha una simbologia ben precisa e un retroscena storico altrettanto individuabile. Ma andiamo con ordine.
Dopo la battaglia di Nauloco, Ottaviano consacrò sul Palatino un tempio ad Apollo, iniziato nel 36 a.C. e dedicato il 9 ottobre del 28 a.C.
Ottaviano Augusto aveva un preciso motivo per essere grato a questa divinità, perché la battaglia di Azio era stata combattuta e vinta a ridosso del tempio di Apollo nella penisola di Azio.
Cassio Dione (li, 12) racconta che Ottaviano eresse un tempio sul luogo in cui aveva piantato la tenda prima della battaglia. Augusto ampliò il tempio, lo colmò di doni e rese la città colonia romana.
Su questo denario d’argento di Augusto, battuto dal tresvir monetale P PETRONIVS TVRPILIAN, il RIC definisce genericamente la figura al rovescio come un “giovane satiro seduto a terra con il mento appoggiato alla mano sinistra; due flauti appoggiati a terra tra le gambe incrociate”.
Questo “anonimo” giovane satiro, tuttavia, altri non è che il satiro Marsia, seduto su una pelle di leone stesa su una roccia, che aspetta prostrato il supplizio.
Il satiro, figura mitologica tra uomo e animale
I satiri erano esseri semidivini dei boschi, figure mitologiche del mondo greco-romano in forma d’uomo con orecchie e coda di cavallo o di capro. Marsia, suonando con grande grazia l’aulos, il flauto doppio rubato ad Atena, da lei abbandonato perché deformava le gote per ottenerne il suono, si era convinto del proprio grande talento (il racconto è descritto nella XII Pitica di Pindaro).
Si arrivò pertanto alla sfida con Apollo in una competizione di suono e canto e il giudizio finale sarebbe spettato alle Muse. Il vincitore avrebbe potuto decidere di fare ciò che avesse voluto del contendente.
Dopo la prima prova conclusa con un pareggio, il dio aveva inevitabilmente vinto la seconda suonando la lira e cantando mentre il satiro aveva soltanto potuto suonare l’aulos.
Apollo, per punire Marsia, decise così di infliggergli la pena di essere scorticato vivo appeso ad un albero.
Gli dei avevano voluto quindi punire in questo modo colui che aveva osato confrontarsi con loro, rendendosi colpevole di superbia (hýbris, in greco).
Una scelta iconografica per propaganda e devozione
É interessante considerare come l’immensa devozione di Augusto verso Apollo lo spinse a scegliere quest’immagine, che doveva comunicare il concetto che non sarebbe stato mai opportuno sfidare questa divinità, e per riflesso il potere di Ottaviano Augusto, perché si sarebbe incorsi certamente in una rovinosa sconfitta.
Un’immagine del satiro Marsia appare anche su un denario repubblicano della famiglia Crepusia. Per leggere la storia di questo tipo di moneta cliccate qui.