Da una collezione privata, una prova “ibrida” di baiocco eugubino della Prima Repubblica Romana fino ad oggi del tutto sconosciuta
di Roberto Ganganelli | Per comprendere quanto sia stata articolata la produzione di monete nel periodo della Prima Repubblica romana di fine XVIII secolo – in termini di numero di zecche e soprattutto di varianti – basta scorrere le pagine dell’opera di riferimento del settore, l’ampio volume del 2005 di Renzo Bruni dal titolo Le monete della Repubblica romana e dei governi provvisori.
Quei brevi anni di fervore rivoluzionario, la discesa in Italia di Napoleone, il sovvertimento del potere dei papi diedero vita infatti, nel Centro Italia, a una proliferazione di officine monetarie e a una messe di monete – soprattutto da mezzo baiocco e un baiocco, due baiocchi, madonnine e sampietrini – che non smette di riservare sorprese e inediti.
Uno strano baiocco repubblicano all’asta in Francia…
Nell’asta pubblica Monnaies d’Antan n. 30 del 27 novembre 2021, al lotto 1032, è apparso un curioso esemplare definito come “épreuve” del valore di un baiocco e con indicazione della zecca umbra di Gubbio. La moneta presenta un diametro di 33 millimetri, uno spessore di ben 3,8 millimetri e un altrettanto inconsueto peso di 30,5 grammi.
Al dritto, l’esemplare raffigura due fasci repubblicani contrapposti, legati da un nastro ad una picca centrale sormontata da pileo; attorno, la legenda REPVBBLICA | ROMANA. Al rovescio, invece, una corona di fogliette binate formata da due semicerchi dal basso verso l’alto circonda il valore su tre righe VN | BAIOCCO | GVBBIO; il tutto, entro un cerchio esterno di dentini trapezoidali.
La moneta deve aver incuriosito più di un appassionato, dal momento che da una base di 100 euro ha spuntato un prezzo finale di ben 900 euro. E oggi, grazie alla disponibilità del collezionista che si è accaparrato questo interessante inedito, siamo in grado di presentarvelo e di tentare di capirne meglio l’origine.
La zecca di Gubbio fra potere temporale e Repubblica
L’officna monetaria di Gubbio alla fine del Settecento, come noto, era gestita da tal Amerigo Gaelotti e, nella prima fase delle insurrezioni contro il potere pontificio produsse, su ordine della Municipalità provvisoria, soltanto delle monete da mezzo baiocco di scarsa qualità estetica con la doppia indicazione, su dritto e rovescio, del valore e del nome della città, il tutto sormontato da una stella (Bruni 1-3).
A nome della Repubblica Romana, invece, erano finora conosciuti soltanto degli esemplari da due baiocchi (Bruni 4-6), i famosi “alberelli” che quasi tutte le zecche del Centro Italia, in quegli anni, coniarono come tipo base.
L’inedito esemplare di baiocco proposto da Monnaies d’Antan, dal punto di vista metrico, presenta delle particolarità non trascurabili. Il peso del tondello, innanzi tutto, è circa doppio rispetto a quello delle monete da due baiocchi, che oscilla tra i 15 e i 17 grammi circa; inoltre, il flan (molto spesso) si presenta piatto e non leggermente incurvato, il ché denoterebbe una battitura al bilanciere, mentre sappiamo dai documenti che nella zecca di Gubbio, all’epoca, “si lavorava col conio a cilindro e non a torchio” (cfr. Bruni 2005, p. 131).
Un rovescio di Pio VI e un conio “sperimentale” di dritto
L’incisione del dritto appare curata e originale, con i fasci legati da nastro alla picca (forse un riferimento alle due “repubbliche sorelle”, la Francese e la Romana, legate dal comune ideale della libertà?), una legenda con caratteri incisi in stile diverso e il cerchio di perline perimetrale in luogo della corona di dentini, oltre all’assenza di ogni sigla di incisore.
Questa impronta corrisponde al cosiddetto baiocco “sperimentale” coniato a Roma per la nuova monetazione repubblicana (Bruni 42) e fu incisa da Tommaso Mercandetti assieme al relativo rovescio (rettangolo con inscritto il valore VN | BAIOCCO, la data ANNO SESTO | REPUBBLICANO collocata sopra e sotto) e ai coni per tre diverse tipologie di monete del valore di due baiocchi (Bruni 39-41).
Dal punto di vista stilistico, l’impronta del rovescio coincide invece esattamente – per la foggia delle fogliette binate e perfino per le irregolarità nella disposizione delle lettere della legenda – con quella di alcuni baiocchi pontifici eugubini a nome di Pio VI (ad esempio quello dell’anno XX, Muntoni 366, qui illustrato).
Quale zecca e origine per questo unicum repubblicano?
Alla luce di questi elementi, la prova del baiocco repubblicano “di Gubbio” si potrebbe collocare, cronologicamente, dopo il luglio 1798: il 9 di quel mese, infatti, a causa di una serie di speculazioni riscontrate nell’attività delle zecche di Perugia e Fermo, le autorità ordinarono il ritiro dei coni di sampietrini e madonnine “nonché di ogni altro conio repubblicano arbitrariamente adottato” (cfr. Bruni 2005, p. 129) interrompendo le attività di zecca.
È possibile, dunque, che in quella stessa occasione – oltre ai materiali creatori delle monete da due baiocchi e mezzo e cinque baiocchi – furono restituiti a Roma anche parte o tutti coni dei baiocchi con le insegne di Pio VI, fra i quali il rovescio usato per la battitura di questa prova “pseudo eugubina” ottenuta in abbinamento con uno dei coni sperimentali appena incisi Mercandetti.
Bruni riporta, del resto, che “Finalmente il 13 agosto 1798 il Consolato dispose la riapertura della zecca [di Gubbio] assegnandola in gestione direttamente al Comune, ‘per farvi coniare una quantità di rame fino alla occorrenza di libbre 20000’ a cui potevano aggiungersi altre 5000 libbre di metallo di campane. Analogamente alle restanti zecche si dovevano coniare monete da uno e due baiocchi con conio della Repubblica, e del peso di due libbre e mezza a scudo” (Cfr. Bruni, p. 130).
Quest’ultima affermazione lascia credere che si intendessero effettivamente coniare monete da un baiocco presso la zecca di Gubbio e che, quindi, la prova del Mercandetti (realizzata molto probabilmente a Roma) fu un vero e proprio esperimento in vista della successiva produzione a Gubbio, e che per qualche motivo – quale non sappiamo – poi si sia soprasseduto.
Alcuni dei materiali creatori del Mercandetti per la nuova monetazione repubblicana, secondo i documenti, furono in seguito venduti dagli eredi dell’incisore al famoso collezionista monsignor Cesare Taggiasco e usati, si ritiene, per coniazioni “postume” di alcuni esemplari pseudo repubblicani (cfr. Bruni 2005, pp. 204-206).
Non questo esemplare, tuttavia, che si mostra “genuino” nella sua natura e che, per l’accoppiamento dei coni, risulta unico e originale nel panorama numismatico di quella lontana, effimera parentesi di libertà repubblicana.