La Convenzione di Faro e i suoi auspicabili riflessi su commercio e possesso di monete secondo uno dei membri del Comitato scientifico NIP
di Franco Sardi | La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (Convention on the Value of Cultural Heritage for Society), siglata a Faro, in Portogallo, nell’anno 2005 ma sottoscritta dall’Italia solo nel 2013, è stata ratificata nel nostro paese solo di recente, con la promulgazione della Legge 1° ottobre 2020 n. 133.
Questo tempo – eccezionalmente lungo – è dipeso, in massima parte, dalla preoccupazione di alcuni gruppi parlamentari in merito al possibile rischio che la Convenzione potesse pregiudicare la difesa di taluni valori identitari della nostra cultura nazionale.
La Covenzione di Faro, un’opportunità per la tutela del patrimonio
La soluzione è stata trovata anche evidenziando (nel comma 2 dell’art. 3) che “dall’applicazione della Convenzione – da realizzare mediante la salvaguardia di figure professionali coinvolte nel settore – non possano derivare limitazioni rispetto ai livelli di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale garantiti dalla Costituzione e dalla vigente legislazione in materia” (cfr. Annalisa Gualdani L’Italia ratifica la convenzione di Faro: quale incidenza nel diritto del patrimonio culturale italiano? in Aedon 3, 2020).
Dal diritto “dei” beni culturari al diritto “ai” beni culturali
Questo riconoscimento dei pregi della preesistente legislazione italiana di tutela non deve, però, farci dubitare del fatto che la Convenzione modifica radicalmente l’approccio normativo al patrimonio culturale, superando la tradizionale impostazione di un diritto dei beni culturali per introdurre quella di un diritto ai beni culturali, come ha, tra gli altri, chiarito più volte l’eminente archeologo Daniele Manacorda. Il concetto è chiaramente esplicitato già in alcune premesse della Convenzione, che sono, ormai da nove mesi, parte integrante del diritto italiano:
- rimarcando il valore ed il potenziale del patrimonio culturale adeguatamente gestito come risorsa sia per lo sviluppo sostenibile che per la qualità della vita, in una società in costante evoluzione;
- riconoscendo che ogni persona ha il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ad interessarsi al patrimonio culturale di propria scelta, in quanto parte del diritto di partecipare liberamente alla vita culturale, diritto custodito nella Dichiarazione universale delle Nazioni Unite dei diritti dell’uomo (1948) e garantito dal Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966);
- convinti della necessità di coinvolgere ogni individuo nel processo continuo di definizione e di gestione del patrimonio culturale.
Verso un nuovo rapporto tra pubblico e privato
Questi enunciati determinano anche uno stimolo immediato alla sussidiarietà orizzontale tra sistema privato e sistema pubblico in ambito di gestione del patrimonio culturale, come recita l’articolo 4: “Le Parti riconoscono che:
- chiunque, individualmente o collettivamente, ha diritto a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento;
- chiunque, individualmente o collettivamente, ha la responsabilità di rispettare sia il proprio che l’altrui patrimonio culturale e, di conseguenza, il patrimonio comune dell’Europa;
- l’esercizio del diritto al patrimonio culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che in una società democratica sono necessarie alla protezione dell’interesse pubblico, degli altrui diritti e libertà”.
A partire da questi concetti, è stato affermato che la nuova norma è destinata a comportare una vera e propria chiamata in sussidiarietà (orizzontale), con rilevanza assegnata alle persone e di conseguenza alla comunità patrimoniale nel processo di individuazione, salvaguardia, promozione dell’eredità patrimoniale. In tal modo si è introdotto nel nostro ordinamento quello che già la Convenzione di Parigi del 2003 sui beni immateriali auspicava e cioè garantire la “partecipazione attiva dei cittadini alle politiche culturali, per l’esercizio dei diritti individuali connessi allo sviluppo del patrimonio culturale e per la promozione della diversità culturale”.
Così come un altro aspetto fondamentale, destinato a riverberarsi nelle politiche culturali del nostro Paese, è l’impegno, richiesto dalla Convenzione agli Stati firmatari di compiere ogni sforzo “per accrescere la consapevolezza del potenziale economico del patrimonio culturale e utilizzarlo”.
Il patrimonio culturale come diritto, risorsa, fattore di sviluppo economico
Si recepisce dunque, per via normativa, quella convinzione che da tempo sta occupando il dibattito scientifico e che considera il patrimonio culturale (quindi anche la numismatica) come risorsa, come fattore di investimento e di sviluppo economico.
Il principio dell’azione sussidiaria contenuto nell’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione (sussidiarietà orizzontale) trova così con la Legge 133 una forte affermazione proprio nell’ambito del patrimonio culturale. Si tratta di un approccio fortemente innovativo, volto ad assicurare la fattiva collaborazione tra pubblico e privato per assolvere funzioni socialmente rilevanti, laddove gli organi della pubblica amministrazione non siano sufficienti. Visto che per l’ambito dei servizi alla persona si è già pronunciata la Corte Costituzionale, con la sentenza 131/2020, quanto enunciato deve far riflettere Governo, numismatici professionisti e collezionisti che anche l’accesso e la valorizzazione del patrimonio numismatico potranno crescere in qualità grazie al coinvolgimento dei privati interessati, a condizione che si riconoscano i loro diritti di cittadini legittimi possessori di un importante segmento del patrimonio nazionale.
Il collezionismo e il commercio consapevoli, un elemento positivo
Infatti, come ci ricorda il sito istituzionale dei Numismatici italiani professionisti, del cui Comitato scientifico faccio parte, “quello numismatico è senza dubbio una delle forme più antiche di collezionismo e collezionare monete significa raccogliere preziosi documenti della storia dell’uomo e della sua arte, stimolare la propria voglia di sapere, viaggiando nello spazio e nel tempo”, la Convenzione di Faro e la Legge 133/2020 consentono di impostare una pressione pubblica, costruttiva e alla luce del sole, per ottenere il riconoscimento esplicito del ruolo positivo svolto dai numismatici a favore di questo importante patrimonio culturale.
L’insieme di collezionisti e professionisti può proprio costituire quella che la lettera b) del comma 1 dell’articolo 2 della Convenzione definisce una comunità patrimoniale come “un soggetto costituito da persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che essi desiderano, nel quadro dell’azione pubblica, mantenere e trasmettere alle generazioni future”.
Il riconoscimento del collezionismo e del commercio consapevoli
Ben prima dell’entrata in vigore della Legge 133/2020, l’associazione dei Numismatici italiani professionisti ha indirizzato le proprie linee di azione e i rapporrti con le istituzioni nell’ottica di una “risposta naturale all’evoluzione contemporanea di un universo umano che raccoglie e protegge con passione decine di migliaia di monete e medaglie, le ordina e le descrive per dare vita a collezioni rigorose”.
Del resto, la stessa Convenzione (UNESCO) per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003 (recepita dall’Italia con la Legge 27 settembre 2007, n. 167) auspicava che il nostro ordinamento deve favorire al massimo la partecipazione attiva dei cittadini alle politiche culturali, coinvolgendoli “attivamente nella gestione” di quel patrimonio.
Tutto ciò può solo far concludere che la valorizzazione del patrimonio numismatico italiano passa per un riconoscimento pubblico dell’apporto del collezionismo consapevole, di qualità e di tutti gli operatori che nel settore sono coinvolti.