Uno sguardo sui nostri fondali dove giacciono tesori sommersi ancora da esplorare e di cui ogni appassionato subacqueo deve avere massimo rispetto
di Roberto Ganganelli | Non tragga in inganno i nostro lettori il tono leggero del titolo; questo articolo nasce dalle mail di due lettori – peraltro, collezionisti di monete – che, neofiti di immersioni subacquee, ci chiedono qualche informazione e un po’ di chiarezza su relitti ed eventuali tesori sommersi in cui dovessero imbattersi esplorando i fondali durante le vacanze in questa estate di “ripartenza”.
La possibilità non è così remota, del resto, dal momento che le campagne Archeomar 1 e Archeomar 2, condotte nel 2004 e nel 2009, hanno censito in Italia in tutto più di 750 siti archeologici sottomarini; e pensare che la prima ha indagato solo le coste di Toscana e Lazio, la seconda quelle di Campania, Calabria, Basilicata e Puglia.
Da sola, la Regione Sicilia ha invece in elenco la bellezza di 1500 siti subacquei di interesse archeologico mentre, per le altre regioni italiane, non si dispone che di dati parziali basati su campagne non sistematiche.
Relitti navali, siti e tesori sommersi: facciamo chiarezza
Cosa si intende tuttavia per “sito subacqueo”? Talvolta, in rari casi, può trattarsi di un antico porto o di edifici un tempo collocati sulla fascia costiera e sprofondati per ragioni naturali o belliche; il più delle volte, tuttavia, si tratta di relitti di navi antiche e moderne, civili e militari, finiti sul fondo del mare a causa di tempeste, guerre, fatalità.
Quando un relitto viene individuato fino a 200 miglia nautiche dalla costa, la sua proprietà è del paese in questione; in acque internazionali, invece, la nazione proprietaria della nave può rivendicarla, ma spesso il relitto è di chi lo trova. Entrano così in gioco le società di esplorazione private – soprattutto americane, inglesi, canadesi e brasiliane — autorizzate spesso dagli stati nelle cui acque è stato rinvenuto il relitto e che concedono loro lo sfruttamento commerciale del sito dietro il pagamento di una “percentuale”.
Si stima che siano tre milioni i relitti navali sparsi nei mari di tutto il mondo, da quelli celeberrimi del Titanic e della corazzata Bismark ad anonime, ma spesso importantissime per il loro carico, navi a vela, a vapore o moderne naufragate qua e là. È stato stimato, ad esempio, che solo i quattro relitti della Nuestra Señora de la Mercedes, Nuestra Señora de Atocha, del galeone pirata Whydah e della SS Gairsoppa, tra i più noti degli ultimi decenni, abbiano consentito alle società di recupero di riportare a galla monete, gioielli, porcellane e altri oggetti per oltre un miliardo e mezzo di dollari.
La Nuestra Señora de la Mercedes, tanto per rimanere in ambito numismatico, affondata nel 1804 nello Stretto di Gibilterra, ha restituito la bellezza di 17 tonnellate d’oro e d’argento, per oltre 600.000 monete.
Segnalare sempre eventuali relitti alle autorità
Cosa fare, dunque, se immergendosi nei nostri mari ci si imbatte in qualcosa che sembra un sito archeologico subacqueo o il relitto di un’antica nave? Semplice: come sempre, tenerne a mente la posizione e segnalare subito il punto alle autorità portuali o di polizia. Non toccare nulla, non asportare nulla, perché anche la semplice curiosità di sollevare un frammento di vaso o un pezzo di legno potrebbe alterare quel “database” di informazioni che è ogni sito antico.
Tanto per fare qualche esempio, dal mare di Gela sono riemersi ottanta lingotti di oricalco, una lega che in età antica era rara e preziosa.
A Marzamemi (nel comune di Pachino, in provincia di Siracusa) dagli scavi sono apparsi invece i resti di una chiesetta bizantina, ma tra i reperti più importanti – oltre ai Bronzi di Riace, recuperati nel 1972 e divenuti famosi in tutto il mondo – ci sono anche, fra le più recenti scoperte, una serie di elmi in bronzo del III secolo avanti Cristo e i rostri navali nella Battaglia delle Egadi.
Le monete del Polluce e quelle del piroscafo Ancona
E per quanto riguarda le monete? Molti ricorderanno il tesoro del Polluce, piroscafo affondato al largo dell’Isola d’Elba nel 1841 e solo in piccola parte recuperato, prina dalla nave Anteo della Marina Militare e poi da speciali imbarcazioni private autorizzate dal Ministero; il più grande tesoro di monete ancora giacente nei nostri fondali sembra tuttavia essere quello del piroscafo Ancona, silurato nel 1915 da un sommergibile tedesco fra Sicilia e Sardegna.
Nel carico vi erano infatti dodici casse con una tonnellata di sovrane d’oro, più un quantitativo imprecisato di argento. E il valore del carico, oggi, è stimato nell’ordine di decine di milioni di euro solo per il peso del metallo prezioso. Ufficialmente si trattava di fondi per pagare la partecipazione italiana all’Esposizione universale di San Francisco, ma più probabilmente si trattava di denaro per l’acquisto di materiali bellici a seguito dell’entrata in guerra contro l’Austria Ungheria.
Leggi nazionali e convenzioni internazionali
Per difendere questi e altri gioielli dell’archeologia sottomarina nel 2001 è stata adottata una convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, firmata da 64 nazioni (ma non, ad esempio da Stati Uniti e Gran Bretagna). L’Italia, che ha avuto parte attiva nel redigerne il testo, l’ha ratificata nel 2009 e nel 2019 è stata annunciata la nascita di una Soprintendenza nazionale per il patrimonio subacqueo che avrà sedi a Taranto, Napoli e a Venezia.
Quindi, se immergendovi nei nostri mari per semplice diletto, pesca subacquea o ragioni professionali doveste imbattervi in qualcosa di strano, inconsueto, anche solo apparentemente “prezioso”, segnalatelo alle autorità. I fondali italiani, come il nostro suolo, sono imbevuti dei tesori sommersi dati da millenni di storia e meritano il massimo rispetto sia per quanto riguarda i loro tesori naturali – piante, animali, ecosistema geologico – che per quelle evidenze antropiche destinate non al saccheggio ma all’indagine degli archeologi.