Le monete di Ferdinando III in grani e battute in puro rame: la loro storia, una variante inedita, documenti poco noti e nuova luce sulle tirature

 

di Carmelo R. Crupi | Eccoci alla seconda parte di questa ricerca, che ha partecipato alla prima edizione del Premio numismatico letterario Repubblica di San Marino. E dopo la storia della doppia oncia d’oro (leggi qui), è la volta di scoprire storia e dettagli sulle monete in rame palermitane a nome di Ferdinando III coniate nel 1814-1816.

La nuova monetazione di rame degli anni 1814-1816

Si è visto che le doppie once auree millesimo 1814 furono coniate a Palermo per far fronte ad esigenze particolari del Governo britannico e dei suoi militari di stanza nel Mediterraneo, nel mentre il sistema monetario siciliano attraversava una grave crisi.

Questa si acutizzò nel primo decennio del XIX secolo a causa dell’ingente presenza di monete di rame false. La gravità della situazione era tale da spingere Antonino Della Rovere, che nel 1798 era stato nominato segretario ed archivista della Zecca, a presentare al re, sul principio del 1812, le sue Memorie storiche ed economiche sopra la moneta bassa di Sicilia, per suggerire i provvedimenti monetari necessari.

Queste Memorie vennero date alle stampe nel 1814 e senz’altro furono tenute in debito conto dal sovrano, visto che il 21 marzo 1814 venne comunicato al gran camerario che il re aveva deciso di rinnovare la monetazione di rame al fine di riattivare e favorire le piccole contrattazioni commerciali che languivano a causa della moneta divisionale falsa.

All'inizio del XIX secolo la Sicilia versava in uno stato di disordine monetario, specie per quanto riguarda la moneta "bassa" e le coniazioni in rame del 1814-1816 furono pensare per risolvere questo problema
All’inizio del XIX secolo la Sicilia versava in uno stato di disordine monetario, specie per quanto riguarda la moneta “bassa” e le coniazioni in rame del 1814-1816 furono pensare per risolvere questo problema

Le Memorie valsero al Della Rovere la nomina a soprintendente della Zecca (o delle Monete). Il 3 giugno 1814 l’appalto della nuova monetazione in rame fu affidato a Vincenzo Di Giovanni, e venne stabilito che essa dovesse essere di rame puro (come peraltro suggerito da Della Rovere nelle sue Memorie) in pezzi da 1, 2, 5 e 10 grani siciliani, e che dette monete dovessero avere un peso tale da assicurarne il valore intrinseco.

Ciò è molto interessante, in quanto dimostra che in Sicilia il sistema monetario non era bimetallico, ma piuttosto trimetallico: anche le monete divisionali di rame non erano a corso fiduciario, ma con valore nominale corrispondente al valore del metallo.

A riprova ulteriore di ciò, Antonino della Rovere, a quel tempo procuratore cenerale del re presso la Gran Corte dei Conti di Sicilia e soprintendente delle Monete, nelle Basi e condizioni per un appalto di monetazione di rame, documento risalente al 09 ottobre 1833, afferma chiaramente che in Sicilia le monete divisionarie era previsto che fossero di rame puro da tutte le leggi monetarie promulgate fin dai tempi di Carlo V. Si fissò, altresì, il peso totale di rame da coniare ad 800 “cantara”, per un valore complessivo di “onze” 33.800 al peso di trappesi tre e mezzo per ogni grano.

Dai documenti della zecca di Palermo, oggi custoditi presso l’Archivio di Stato del capoluogo siciliano, ed in particolare dall’impegno scritto in data 4 aprile 1814 e dal contratto stipulato in data 12 agosto 1814, documenti sottoscritti dagli incisori dei coni, si deduce che gli incisori della nuova monetazione di rame furono i fratelli Bartolomeo e Luca Costanzo.

Questo fatto, pur essendo stato reso noto da Romualdo Giuffrida nel 1974, è stato sorprendentemente ignorato da tutti gli autori che, da allora fino ad oggi, hanno scritto saggi o compilato manuali, prezzari e cataloghi d’asta riguardanti questa monetazione.

E i fratelli Costanzo furono anche gli incisori dei conii della doppia oncia aurea del 1814. E’ possibile affermare ciò con sicurezza innanzitutto da un confronto stilistico dei dritti di queste monete: sia le doppie once auree che le nuove monete in rame da 10, 5, 2 e un grano siciliano, recano al dritto la medesima effige del re Ferdinando III di Sicilia. Anche ad un profano di cose artistiche, infatti, balza subito all’occhio che queste effigi sono in tutto simili e incise dalla stessa mano, avendo lo stesso stile.

Stampa d'epoca che mostra uno scorcio della piazza di fronte alla Cattedrale di Palermo nella prima metà dell'Ottocento
Stampa d’epoca che mostra uno scorcio della piazza di fronte alla Cattedrale di Palermo nella prima metà dell’Ottocento

Ulteriore conferma l’abbiamo per mano dei medesimi fratelli Bartolomeo e Luca Costanzo: al punto 6) del loro impegno a fornire alla Regia Zecca di Palermo le matrici per la coniazione della nuova monetazione di rame (cfr. Giuffrida, 1974, documento 8 in appendice) affermano: “Ci contenteremo pure che l’incisione da fare nel rovescio delle madri, dè pulsoni e dè conii, che con offerta dè 5 marzo 1812 ci obbligammo a fare per le once d’oro, invece di essere il simbolo della Trinacria come allora fu convenuto, sia un grappolo d’uva come ci sarà indicato nel disegno da darcisi dall’illustre Gran Camerario”.

Dunque, è dimostrato che Bartolomeo e Luca Costanzo furono gli incisori dei conii delle doppie once del 1814 nonché della nuova monetazione di rame che ebbe principio nel 1814. Su questi due artisti, qualche notizia ci è fornita da Agostino Gallo ne Notizie sugli incisori siciliani: Bartolomeo Costanzo e Luca Costanzo furono incisori e scultori. Nacquero a Sambuca, in Sicilia, il primo nel 1781 o 1782, il secondo nel 1783 o 1784, da Giuseppe e Giovanna Riggio. Morirono a Palermo rispettivamente nel 1838 o 1839 e nel 1837.

Appresero il disegno da autodidatti, sotto la direzione e l’influenza del padre, pittore dilettante. Nel 1812 si recarono a Palermo imparando l’arte di incidere il rame e l’acciaio. L’abilità nell’incidere l’acciaio gli valse numerose commissioni governative per la produzione di conii per monete, medaglie e sigilli. Sempre Gallo ci tramanda che i fratelli Costanzo seppero imitare talmente bene le più rare ed artistiche monete antiche siciliane, da indurre in errore anche i più esperti conoscitori siciliani e stranieri, che le compravano per autentiche. Dunque, alla luce di queste testimonianze, risulta che gli incisori fratelli Costanzo furono anche abili falsari di monete della Sicilia greca.

Descrizione dei quattro nominali emessi nel 1814-1816

10 grani | Dritto: FERD. III . P. F. A. SICILIAR. ET HIER. REX; in basso il millesimo di coniazione. Testa del re con lunghi capelli, volta a dx, con corona radiata | Rovescio: FELICI / TAS / PV / BLICA; sotto il nominale G. 10. Due cornucopie intrecciate, in mezzo una spiga; in alto, ai lati di quest’ultima, V. / B. (iniziali del Maestro di Zecca Vincenzo Benenati) | Contorno dentellato | Taglio dentellato.

Moneta da 10 grani in rame del 1815, zecca di Palermo: al rovescio una spiga di frumento affiancata da due cornucopie speculari, traboccanti di frutti
Moneta da 10 grani in rame del 1815, zecca di Palermo: al rovescio una spiga di frumento affiancata da due cornucopie speculari, traboccanti di frutti

5 grani | Dritto: FERD. III . P. F. A. SICILIAR. ET HIER. REX.; in basso il millesimo. Testa del re come per il 10 grani | Rovescio: SECVRITAS PVBLICA. Figura muliebre assisa in trono, verso sinistra, rappresentante la Sicurezza; ai lati V. / B. Sotto il nominale G. 5 | Contorno dentellato | Taglio: cordone incuso, costituito da tacche oblique con andamento, dal basso verso l’alto, da sx a dx.

Moneta da 5 grani in rame del 1815, zecca di Palermo: al rovesciouna figura muliebre di gusto "britannico" e legenda SECVRITAS PVBLICA
Moneta da 5 grani in rame del 1815, zecca di Palermo: al rovesciouna figura muliebre di gusto “britannico” e legenda SECVRITAS PVBLICA

2 grani | Dritto: FERD. III . P. F. A. SICILIAR. ET HIER. REX. In basso il millesimo. Testa del re come per il 10 grani | Rovescio: Pegaso in volo verso sinistra. In alto le sigle del Maestro di zecca V. / B. In basso il nominale G. 2 | Contorno: dentellato.

Moneta da 2 grani in rame del 1815, zecca di Palermo: al rovescio un bel pegaso alato mutuato dalla tradizione classica dell'isola
Moneta da 2 grani in rame del 1815, zecca di Palermo: al rovescio un bel pegaso alato mutuato dalla tradizione classica dell’isola

Grano | Dritto: FERD. III . P. F. A. SIC. ET HIER. REX. In basso il millesimo. Testa del re come per il 10 grani | Rovescio: Grappolo d’uva con pampini; ai lati V. / B.; in basso il nominale G. 1 | Contorno: dentellato.

Moneta da 1 grano in rame del 1814, zecca di Palermo: al rovescio un rigoglioso grappolo d'uva, altro simbolo della fertile terra di Sicilia
Moneta da 1 grano in rame del 1814, zecca di Palermo: al rovescio un rigoglioso grappolo d’uva, altro simbolo della fertile terra di Sicilia

Una variante inedita della moneta da 10 grani datata 1814

All’asta n. 4 di Numismatica Ranieri (Bologna, 26 e 27 ottobre 2012) sono state esitate anche le monete della collezione Mariano Tomarchio. Al lotto 736 è stato descritto un bell’esemplare di 10 grani 1814, definito raro e in conservazione SPL, e di esso sono state pubblicate nitide fotografie del dritto e del rovescio. I curatori del catalogo d’asta non hanno colto, tuttavia, una importante particolarità di questa moneta: al rovescio, nella parte bassa, invece del nominale G. 10., si legge C.10.

Questa variante, per quanto mi consta, è del tutto inedita, non essendo stata menzionata in nessuna delle opere numismatiche consultate. Conseguentemente, si è autorizzati a ritenerla di elevata rarità. Per la cronaca, il lotto menzionato è stato venduto a 400 euro più diritti del 16% (totale, 464 euro): sarebbe interessante sapere se l’ignoto acquirente fosse, o meno, consapevole della particolarità di quel nummo.

Peso legale e tiratura del rame palermitano del 1814-1816

Fino ad oggi nessuna pubblicazione storica, economica o numismatica ha esplicitato il peso legale e la tiratura esatta dei pezzi da 10 grani, da 5 grani, da 2 e da 1 grano, coniati a Palermo fin dal 1814 per sostituire nel circolante gli spezzati di rame tosati e quelli falsi. A ben vedere, però, un documento ritrovato da Romualdo Giuffrida nell’Archivio di Stato di Palermo (Giuffrida, 1974, documento 10 in appendice) consente di farlo con precisione.

Il documento in parola è un’addenda al contratto di appalto del 3 giugno 1814 per la monetazione del rame stipulato dall’Erario con Vincenzo di Giovanni. Essa risale al 23 agosto 1814 e, tra le altre cose, ci informa di quanto segue.

In prima battuta la nuova monetazione doveva ascendere ad onze 1200 circa, ed essere costituita per metà da monete di rame e per l’altra metà da monete di bronzo; l’appaltatore di Giovanni si obbligava a consegnare cento cantari di moneta al mese, dovendo ogni cantaro di moneta essere costituito da: rotoli 30 di patacchi (termine utilizzato per indicare i grossi e pesanti pezzi da 10 grani siciliani; patacca era anche denominata la moneta d’argento da mezzo ducato napoletano), rotoli 30 di baiocchi (5 grani siciliani), rotoli 20 di monete da 2 grani e rotoli 20 di monete da un grano, per un valore nominale complessivo di 50 onze per ogni cantaro di moneta.

Successivamente, l’Erario decise che la nuova moneta dovesse essere di rame puro e che il peso di ogni moneta dovesse essere aumentato in modo da darle un valore intrinseco molto vicino a quello nominale.

La nuova monetazione sarebbe dovuta essere “di rame rosso senza veruna mistura a tenore delle Istruzioni della Regia Zecca”, da coniarsi secondo la seguente frequenza temporale: cantari 80 nel primo mese, con decorrenza dal giorno dell’avvenuta consegna all’appaltatore di tutti i mezzi e macchinari (“ordegni” nel contratto) necessari alla coniazione; nel secondo mese cantara 150; il terzo mese ulteriori cantara 150; il quarto mese cantara 120 e dal quinto mese in avanti cantara 100 per ogni mese, fino a raggiungere il peso complessivo stabilito in 800 cantara. Dunque l’intera coniazione doveva concludersi entro sette mesi.

In calce all’addenda contrattuale sono riportate le informazioni che più ci interessano, che consentono di determinare con esattezza i pesi legali e la tiratura dei quattro nuovi tagli monetali.

Riporto testualmente: “Ogni cantaro di moneta dovrà essere del valore di oncie 42.25 (ovvero once 42 e tarì 25) e dovrà essere composto: di patacchi rotoli 45 e che ogniuna dovrà essere di trappesi trentacinque; di cinque grani rotoli venti e che ogniuno dovrà essere trappesi diecisette e mezzo; di rotoli venti di due grani che ogniuno dovrà essere trappesi sette; e di rotoli quindeci grani che ogniuno dovrà essere trappesi tre e mezza a tenore delle istruzioni della Regia Zecca”. Il trappeso di Sicilia equivale a 0,8815 g, dunque dal punto di vista ponderale si hanno i seguenti pesi legali:

  • moneta da 10 grani: 35 trappesi x 0,8815 = 30,85 g.
  • moneta a 5 grani: 17,5 x 0,8815 = 15,43 g.
  • moneta a 2 grani: 7 x 0,8815 = 6,17 g.
  • moneta da 1 grano: 3,5 x 0,8815 = 3,09 g.

La letteratura specializzata fino ad oggi ha, invece, proposto quanto segue:

  • d’Incerti, 1960: rispettivamente 31,8 g, 15,59 g, 5,4 g e 2,7 g.
  • Sphar, 1982: 28,50-30,65 g, 14,40-17,00 g, 5,55-6,02 g, 2,38-2,85 g.
  • Pagani, 1982: 31,5 g, 13,75 g, 5,4 g e 2,7 g.
  • Varesi, 2001: 28,50-30,65 g, 14,40-17 g, 5,56-6,02 g, 2,32-2,85 g (rifacendosi ai dati dello Spahr).
  • Gigante, 2010: 31,5 g, 13,75 g, 5,4 g e 3,0 g.
  • Montenegro, 2016: 28,5-30,65 g per il 10 grani; 14,40-17,00 g per il 5 grani; 5,55-6,02 per il 2 grani e 2,32-2,85 per il grano (rifacendosi ai dati dello Spahr).

Invece, i pezzi presenti nella Collezione della Fondazione Banco di Sicilia di Palermo (Travaini, 2013) hanno i seguenti pesi in grammi, variabili anche e soprattutto in relazione alla consunzione dovuta alla circolazione:

  • 10 grani: 31,44, 30,89, 31,91, 28,22 g.
  • 5 grani: 14,76, 13,30, 14,58, 14,47, 14,07, 14,58, 15,50, 14,05 g.
  • 2 grani: 5,71, 5,95, 5,32, 5,83, 5,55, 5,75, 5,97, 5,49 g.
  • grano: 3,35, 2,86, 3,18, 3,31, 3,41, 3,35 g.

Per quanto riguarda le tirature, posto che dal punto di vista monetario in Sicilia 1 tarì = 20 grani e 1 oncia = 30 tarì = 600 grani, è possibile determinare il valore nominale, espresso in grani siciliani, di ogni cantaro di moneta coniata: 42 once e 25 tarì = (42 x 600 + 25 x 20) grani = 25.700 grani. Rammentando che l’intera coniazione del rame doveva ascendere ad un peso  di 800 cantara, il valore nominale complessivo è dato da: 25.700 grani x 800 = 20.560.000 grani. Per logica conseguenza, vengono determinate le seguenti tirature:

  • moneta da 10 grani: 20.560.000 x 0,45 / 10 = 9.250.000 / 10 = 925.000 pezzi.
  • moneta da 5 grani: 20.560.000 x 0,20 / 5 = 4.112.000 / 5 = 822.400 pezzi.
  • moneta da 2 grani: 4.112.000 / 2 = 2.056.000 pezzi.
  • moneta da un grano: 20.560.000 x 0,15 = 3.084.000 pezzi.

Ringraziamenti

L’autore ringrazia il dottor Crippa, dell’omonima casa numismatica milanese, che con solerzia e benevolenza mi ha fornito la foto del taglio della doppia oncia aurea, pubblicato nel presente lavoro. Un ringraziamento devo tributare anche alla dottoressa Valeria Vettorato, Conservatrice del Museo Bottacin di Padova, che con la consueta disponibilità e professionalità e per aver fornito i dati pubblicati in un testo conservato presso la biblioteca annessa al predetto museo.

Bibliografia essenziale

  • Lodovico Bianchini, Della storia delle finanze del Regno di Napoli, Napoli, 1835.
  • Giuseppe Bianco, La Sicilia durante l’occupazione inglese 1806-1814, Palermo, 1902.
  • Giovanni Carboneri, La circolazione monetaria nei diversi stati, Vol. I, Tipografia dell’Unione Editrice, Roma, 1915.
  • Vincenzo Castelli Principe di Torremuzza, Fasti di Sicilia, Vol. II, presso Giuseppe Pappalardo, Messina, 1820.
  • Catalogo delle monete italiane anno 2010, Gigante ed., Varese, 2009.
  • Catalogo delle monete italiane anno 2016, Montenegro ed., Torino, 2015.
  • Vico d’Incerti, Le monete borboniche delle Due Sicilie. Periodo 1799-1860, Società Numismatica Italiana, Milano, 1960.
  • Agostino Gallo, Notizie intorno agli incisori siciliani, a cura della Regione Siciliana, Palermo, 2008.
  • Romualdo Giuffrida, La politica monetaria dei Borbone in Sicilia (1795-1860), Cassa di Risparmio V.E. per le Province Siciliane, Palermo, 1974.
  • Giacomo Majorca, Numismatica contemporanea sicula, ossia le monete di corso prima del 1860, Tipografia di Pietro Pensante, Palermo, 1870.
  • Antonio Pagani, Monete italiane dall’invasione napoleonica ai giorni nostri (1796-1980), terza edizione corretta ed aggiornata a cura di Renato Rocca, Mario Ratto Numismatica, Milano, 1982.
  • Ranieri Numismatica, catalogo dell’asta n. 4, Bologna, 26 e 27 ottobre 2012.
  • Rodolfo Spahr, Le monete siciliane dagli Angioini ai Borboni (1282-1836), seconda edizione, Graz (Austria), 1982.
  • Carmelo Trasselli (a cura di), Antonino Della Rovere. La crisi monetaria siciliana (1531-1802), Salvatore Sciascia editore, Palermo, 1964.
  • Carmelo Trasselli, Appunti di metrologia e numismatica siciliana per la scuola di Paleografia dell’Archivio di Stato di Palermo, lezioni tenute negli anni 1968 e 1969, Archivio di Stato di Palermo, 1969.
  • Lucia Travaini (a cura di) Le collezioni della Fondazione Banco di Sicilia. Le monete , Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI), 2013.
  • Alberto Varesi, MIR. Monete Italiane Regionali. Sicilia, Edizioni Numismatica Varesi, Pavia, 2001.