di Antonio Castellani | E’ raffigurato Ercole – lo sguardo volto in alto verso raggi solari, la clava nella destra in atto di colpire, che trattiene per il mantello un soldato in fuga che ha gettato a terra lo scudo l’elmo e la spada – sui rovesci di alcune rare monete a nome del IV duca di Ferrara, Ercole II d’Este (1508-1559, sul trono dal 1534). Si tratta di un prestigioso 10 scudi d’oro (8 scudi per Bellesia), dello scudo (denominazione incerta per Bellesia) e del mezzo scudo d’argento.
Su queste coniazioni il mezzo busto del duca campeggia al dritto, rivolto a sinistra, con legenda HER II FER MVT ET REG DVX IIII CARNVT I; l’iscrizione latina al rovescio recita invece MIHI VINDICTAM ET EGO RETRIBVAM che significa “A me la vendetta ed io (li o lo) punirò”. Un minaccioso versetto evangelico tratto da Paolo (Lettera agli Ebrei, 10, 30: “…mihi vindicta et ego retribuam”) che cita il Deuteronomio, 32, 35: “Mea est ultio et ego retribuam in tempore” cioè “A me la vendetta, (li) punirò a tempo opportuno”.
È stato a lungo incerto se questi pezzi siano da considerare monete o medaglie, per i loro alti rilievi ed esistendo esemplari anche in stagno ed altri fusi; inoltre, il loro peso dichiarato non appare coerente. Bellesia ipotizza una coniazione di esemplari in oro a titolo di donativi con i conii del mezzo scudo d’argento e giudica erronea l’indicazione da parte del “Corpus” dello “scudo d’argento” (CNI n. 12), che ha lo stesso peso di quello d’oro.
Sul dubbio da taluni sollevato di non voler considerare moneta questo pezzo, ma piuttosto medaglia, vale senza dubbio la testimonianza del Bonacossi che la pubblicò come moneta ed essendo contemporaneo di Ercole II ben difficilmente avrebbe potuto cadere in così grossolano errore. Più facilmente equivocò il Litta, allorché la indicò come medaglia, ingannato dalle caratteristiche di peso e di rilievo, che devono però derivare proprio dal fatto che si tratta di moneta coniata appunto a celebrazione di un avvenimento.
Per quanto riguarda l’esecuzione del conio, accantonate altre attribuzioni, deve far fede una partita del 4 gennaio 1550 a favore di tale Bartolomeo Nigrisoli. Si deve ritenere errata l’attribuzione del Forrer al Pastorino, per mancanza di riferimenti stilistici e per il fatto che il Pastorino a quel tempo era a Roma ed a Siena, mentre a Ferrara lavorò soltanto dal 1554 al 1559.
Diverse le interpretazioni di impronta e legenda che si riferirebbero alla grazia che Ercole d’Este concesse nel 1546 a Gian Paolo Manfrone, marito di Lucrezia Gonzaga, che aveva complottato contro di lui. La pena di morte venne commutata nel carcere a vita. Secondo Bellesia (2000, pp. 226/227), invece, si riferirebbero all’Accademia dei Signori Elevati di Ferrara, chiusa da Ercole dopo che diversi suoi membri, sempre nel 1546, erano stati accusati di eresia. Il duca – questo il significato dell’impronta – nelle vesti di Ercole, mentre sta per colpire un eretico, viene fermato da Dio. La punizione spetta infatti alla giustizia divina e non al duca, che sarebbe stato ricompensato della sua misericordia dalla grazia celeste.
Ercole torna sui testoni o quarti raffigurato nell’atto di incatenare il cane Cerbero guardiano del regno dei morti e incaricato di divorare chiunque tentasse di fuggire: come negli scudi il duca scacciava un eretico, così sui testoni o quarti il duca cattura e abbatte il mostro dell’eresia (l’Accademia dei Signori Elevati identificata in Cerbero).