Nei solidi e nelle altre, bellissime monete d’oro orientali, la corona si evolve nei secoli come simbolo principe del potere imperiale tra cielo e terra
di Luca Mezzaroba | Già in altri articoli abbiamo visto come, nel corso dei secoli, gli abiti e le insegne del potere abbiano rivestito un’importanza decisiva all’interno della corte di Costantinopoli e, più in generale, nella cultura bizantina. Specialmente gli attributi associati alla figura del sovrano, del basileus, unico e legittimo erede di Roma e prescelto da Dio, assunsero con il tempo una fortissima valenza simbolica, cambiando spesso forma e addirittura mutando il proprio significato (passando ad esempio da una sfera “pagana” e “laica” ad una religiosa e cristiana).
Oltre che dal punto di vista culturale, l’esibizione di queste insegne da parte dei sovrani di Bisanzio era fondamentale soprattutto sul piano politico: che si trattasse di intimidire un monarca straniero con manifestazioni di potenza e ricchezza o che si cercasse il riconoscimento della propria dinastia da parte della popolazione o dell’esercito, i basilei non esitarono mai a farsi rappresentare su mosaici, miniature o monete con tutte le insegne della regalità a propria disposizione.
Tra queste manifestazioni artistiche, proprio la moneta costituisce un elemento imprescindibile per lo studio di queste insegne del potere: la sua continuità e la sua longevità rendono infatti possibile analizzare la nascita, il cambiamento o anche la sparizione di determinati abiti o insegne lungo la millenaria storia dell’impero di Costantinopoli anche nei periodi di maggior crisi e difficoltà dello stato. Tra i numerosi elementi associati al sovrano, alcuni rivestivano un ruolo fondamentale: in altri articoli ci siamo già occupati del loros (la voluminosa sciarpa che avvolgeva il corpo del basileus) o dello scettro, in questo articolo invece ci soffermeremo sull’iconografia e le diverse trasformazioni di un elemento forse più semplice ma che, al tempo stesso, ha sempre costituito, anche nella cultura popolare, il vero e proprio simbolo della regalità di un monarca: la corona.
Solido di Giustiniano I con elmo e toupha. Oro, g. 4,28
“[…] Dopo di ciò [Anastasio I] scese dallo scudo e rientrò nella sala dove vestì le insegne imperiali. Qui il vescovo recitò una preghiera e fu pronunciato il Kyrie eleison. Il vescovo lo rivestì quindi della clamide e della corona gemmata”. In questo breve passo, in cui lo scrittore e politico Pietro Patrizio narra la elaborata incoronazione di Anastasio I (491-518), il sovrano, dopo aver compiuto alcuni atti tipici dell’incoronazione militare ormai in declino, si presta ben più volentieri alla cerimonia religiosa, ricevendo dalle mani del vescovo gli abiti e le insegne “civili” del potere tra cui spicca la corona gemmata.
Come vedremo tra poco, la forma di tale corona ci è nota grazie a famose testimonianze artistiche riferite a Giustiniano I (527-565); tra queste tuttavia non è presente la numismatica che, per così dire, arriverà in ritardo, solo alla fine del secolo. Nelle sue monete infatti Giustiniano I, come del resto i suoi predecessori, preferì gli abiti “militari” ai quali era associato un tipo di corona del tutto particolare.
Mosaico di Giustiniano I e la sua corte (particolare), chiesa di San Vitale, Ravenna
Nell’iconografia dei solidi il sovrano indossa infatti un elmo arricchito da un diadema; quest’ultimo, nel caso di Giustiniano, poteva essere abbellito da una decorazione “a trifoglio” oppure, dopo il 538, da perle e pendilia (pendenti fatti di perle che scendevano lungo il viso); dalla cima dell’elmo infine partivano una serie di grandi piume di pavone. Questo modello di corona, chiamato toupha, era indossato dai sovrani nei trionfi e ben si legava all’idea di “Augusto vincitore” presente nei solidi e, più in generale, all’ideologia imperiale manifestata nella colossale statua di Giustiniano, eretta nel foro di Costantinopoli e raffigurante il sovrano con armatura e toupha (questo caso una semplice corona con piume e priva di elmo).
Solido di Tiberio II con stemma. Oro, g. 4,38
Gli abiti militari, in ogni caso, non erano i più utilizzati dagli imperatori i quali, come visto per l’incoronazione di Anastasio I, nelle cerimonie di maggior importanza indossavano le vesti civili. La rappresentazione più celebre di questo abbigliamento riguarda come detto Giustiniano e si ritrova nei mosaici della chiesa di San Vitale a Ravenna: tra i numerosi elementi del costume imperiale spicca la corona del sovrano: chiamata tecnicamente stemma, era decorata da un gran numero di perle e pietre preziose ed era arricchita da quattro pendilia (due per lato) alle cui estremità era legata una grande perla.
Questo modello di corona rimase in uso per tutto il VI secolo tuttavia la sua prima apparizione risale solo al regno di Tiberio II (578-582). Pur mantenendo diversi elementi dell’abito militare infatti, nei suoi solidi questo sovrano scelse di abbandonare l’elmo in favore della corona, la quale risulta pressoché identica a quella indossata da Giustiniano (a parte la croce, sostituita nel mosaico dal nimbo). Anche se abbandonata dal suo successore, l’iconografia introdotta da Tiberio II ebbe comunque fortuna nei secoli successivi.
Con l’avvento della dinastia eracliana nel VII secolo e il conseguente prevalere nella monetazione dell’abito civile, la corona assunse un ruolo sempre più importante non solo dal punto di vista iconografico ma soprattutto simbolico. In questa sede non è possibile soffermarsi sui complessi, e spesso violenti, cambiamenti nella linea di successione all’interno della dinastia, sarà comunque sufficiente ricordare che la pratica sempre più frequente dell’associazione al trono di figli o fratelli del sovrano implicava, anche nella monetazione, l’assegnazione a questi ultimi di particolari insegne del potere, tra le quali la corona.
Un chiaro esempio di questo fenomeno è costituito dalle ultime classi dei solidi di Eraclio I (610-641): nel primo tipo di solidi, datato 632-638, Eraclio (al centro) e il figlio primogenito Eraclio Costantino (a destra) indossano una corona con croce mentre il figlio più giovane Eracleona (a sinistra) è più piccolo delle altre due figure e privo di corona (al di sopra della sua testa vi è una croce per bilanciare l’iconografia generale della moneta).
Solido di Eraclio con Eraclio Costantino ed Eracleona (632-638). Oro, g. 4,49
Nel secondo tipo di solidi invece, datato 638-641, i tre personaggi indossano tutti la corona e le dimensioni di Eracleona sono pari a quelle del fratello. Tale cambiamento si deve alle decisioni di Eraclio in materia di successione: proprio dal 638 infatti il giovane Eracleona fu associato al trono andando ad affiancare il fratello maggiore, il quale era Augusto già dal 613. Per quanto riguarda la forma della corona, essa non è molto chiara: grazie ai primi solidi di Eraclio è possibile capire che poteva essere per così dire “piatta” e maggiormente elaborata oppure più semplice e dalla forma convessa.
Solido di Eraclio con Eraclio Costantino ed Eracleona (638-641). Oro, g. 4,33
Nei successivi due secoli la rappresentazione della corona subì, da un punto di vista numismatico, un ridimensionamento evidente: pur rimanendo una delle insegne imprescindibili nella raffigurazione di tutti i sovrani che si succedettero sul torno imperiale, essa perse infatti qualsiasi connotazione per così dire “realistica” finendo per trasformarsi in un semplice diadema privo di decorazioni e formato da due linee ricurve unite nella parte centrale e sormontante da una croce; tale cambiamento, ben lontano dalla realtà, risulta molto strano se paragonato allo sviluppo di altre importanti insegne (come il loros e l’akakia) che proprio in quei secoli videro un forte sviluppo nell’iconografia monetaria proprio in chiave “realistica”.
Solido di Teofilo con i figli Costantino e Michele III. Oro, g. 4,44
Questo tipo di raffigurazione, che coinvolse le dinastie isaurica, amoriana e i primi rappresentanti della dinastia macedone (l’ultima apparizione risale al regno di Niceforo II Foca tra il 963 e il 969) fu progressivamente sostituito, a partire dal X secolo, dal ritorno ad un modello “realistico” il quale, come si vedrà, cercava di riprodurre tutti gli elementi della corona imperiale fino nei minimi particolari.
La prima apparizione del nuovo modello di corona si ritrova nei solidi di Leone VI il Saggio (886-912): il basileus, raffigurato con una ricca clamide e capelli lunghi fino alle spalle, indossa una corona formata da tre file di “punti tondi” di diverse dimensioni e un grande tondo centrale sormontato da una croce. Come vedremo, è molto probabile che questi “punti tondi” non siano altro che il tentativo di rappresentare le diverse decorazioni di cui era composta una tipica corona imperiale, vale a dire perle, pietre preziose e placchette di metallo.
L’esistenza di corone molto simili a quella appena descritta, in effetti, è confermata da molte testimonianze bizantine del periodo, sia artistiche che letterarie, le quali mostrano le insegne portate dai sovrani nelle cerimonie più importanti. È il caso, ad esempio dei mosaici dello stesso Leone VI e di suo fratello Alessandro presenti a Santa Sofia o della placchetta d’avorio in cui Costantino VII Porfirogenito, figlio di Leone VI, è incoronato da Cristo.
In quest’ultima rappresentazione si nota che la corona è arricchita da pendilia che, nella parte finale, formano una decorazione “a trifoglio”. Tali piccole variazioni, in ogni caso, non devono sorprendere; è infatti lo stesso Costantino VII che, nel suo Libro delle Cerimonie, ci informa che, per le celebrazioni religiose come quella di Pasqua, “i sovrani depongono il tzitzakion, s’avvolgono nella loro sciarpa d’oro e cingono la corona bianca o rossa, come loro piace”.
Solido di Leone VI con corona “realistica”. Oro, g. 4,30
Il fatto che i basilei potessero decidere se indossare una corona bianca o una rossa è importante in quanto ci fa capire come, in realtà, ogni imperatore avesse a disposizione vari modelli di corona tra i quali scegliere: tale affermazione è confermata proprio dalla monetazione, che si dimostra lo strumento migliore per confrontare i diversi tipi di corone indossate dai sovrani e, grazie al realismo e all’estrema accuratezza della rappresentazione, ci permette di cogliere anche le più piccole differenze.
Placchetta d’avorio di Costantino VII incoronato da Cristo (Mosca, Museo Pushkin)
In effetti il modello proposto da Leone VI subirà, tra X e XI secolo, solo lievissimi cambiamenti che andranno a modificare o aggiungere solo alcuni elementi decorativi della corona: i pendilia, già presenti nell’avorio di Costantino VII, saranno introdotti nei solidi dell’usurpatore Romano I (920-944) e continueranno ad essere raffigurati nelle monete d’oro e di bronzo dei suoi immediati successori (Costantino VII, Romano II, Niceforo II Foca). Per quanto riguarda la vera e propria decorazione della corona, essa vedrà nel corso del tempo un continuo perfezionamento della rappresentazione tanto che, nella monetazione aurea di Romano IV (1068-1071), i “pallini tondi” saranno separati da sottili linee divisorie o, addirittura, verranno progressivamente sostituiti da “rettangoli” simboleggianti le placchette di metallo che in quel periodo costituivano la reale decorazione della corona imperiale.
Tetarteron di Romano IV ed Eudocia. Oro, g. 4,00
Va notato infine che, nella propria monetazione, un sovrano poteva scegliere di farsi rappresentare con diversi modelli di corona: nei suoi tetartera infatti Romano III (1028-1034) è rappresentato con una corona in cui i pendilia terminano con tre grosse perle separate (la tipologia “a trifoglio” già ampiamente proposta in precedenza) mentre nei suoi histamena lo stesso basileus appare con dei pendilia alle cui estremità vi sono solo due perle.
Tetarteron di Romano III. Oro, g. 4,06
Histamenon di Romano III. Oro, g, 4,43
Tali differenze, anche se in apparenza di poco conto, dovevano avere comunque una stretta aderenza con la realtà e costituivano una fedele rappresentazione delle corone indossate dai sovrani di Bisanzio: tale corrispondenza è evidente se si analizzano, ad esempio, le corone indossate da Costantino IX nei suoi histamena e nel celebre affresco di Santa Sofia: in entrambi i casi si nota una grande placchetta centrale e una netta divisione tra le varie file di perle e pietre preziose.
Histamenon di Costantino IX. Oro, g. 4,38; mm. 26; h. 7
Mosaico di Costantino IX e Zoe (particolare), Santa Sofia, Istanbul
La corona dunque costituì una delle insegne del potere più importante lungo tutta la storia di Bisanzio: che fosse rappresentata in modo poco realistico o estremamente dettagliato, che apparisse nella monetazione, nei mosaici o nelle statue, essa costituì sempre un vanto per i sovrani e un grande strumento di propaganda dell’impero d’oriente, utile per stupire gli stranieri; a questo proposito basterà ricordare la testimonianza di un viaggiatore arabo del X secolo, Ibn Rosteh, il quale, descrivendo la grande statua di Giustiniano, annotò con ammirazione come l’antico sovrano “[…] cinto ha il capo d’una corona d’oro incrostata di perle e rubini (questa, si dice, è proprio la corona che appartiene all’imperatore)”.
Per approfondire i simboli del potere bizantino nelle monete
- Insegne consolari nelle monete di Costantinopoli: lo scettro
- Insegne consolari nelle monete bizantine: il “loros”
- Insegne imperiali nelle monete bizantine: la “akakia”