Un controverso denario di Tito è davvero il “fossile guida” in grado di cambiare la data dell’eruzione che distrusse Pompei? Probabilmente no, ecco perché…
nota di redazione | Pompei, la sua storia e le monete rinvenute nel sito rappresentano sempre un argomento di grande interesse. Accogliamo pertanto con piacere questa ricerca firmata dal professionista numismatico Umberto Moruzzi sulla moneta che “riscriverebbe” – il condizionale è d’obbligo, come vedrete – la storia dell’eruzione, spostandone la data. Questo contributo è stato pubblicato nel 2019 nel volume n. 6 degli Appunti di numismatica italiana all’interno della collana Il tornese diretta da Pierpaolo Irpino, che ringraziamo al pari dell’autore per aver autorizzato questa edizione online su Cronaca numismatica.
di Umberto Moruzzi | La numismatica studia le monete in tutti i suoi aspetti, siano questi tecnici, metallografici, metrologici, artistici, epigrafici o legislativi e nei suoi rapporti con la cultura, l’arte, la storia, l’economia e l’archeologia, ma non sempre i reperti numismatici vengono correttamente interpretati. Affronteremo qui il caso di una monetina divenuta centrale in un importante dibattito accademico, anche internazionale, che è stato ripetutamente ripreso dall’informazione e dalla divulgazione scientifica di massa.
La vicenda è strettamente connessa con l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., certamente uno degli eventi più catastrofici e drammatici accaduti nel mondo antico e che ancora oggi suscita grande interesse.
Bacco e il Vesuvio, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Meno certo apparirebbe invece, il momento preciso in cui è effettivamente avvenuta l’eruzione. La data tradizionalmente riconosciuta è quella del 24 agosto 79, così come è riportato in una lettera di Plinio il Giovane, giunta a noi attraverso trascrizioni successive, ma tutta una serie di indizi hanno fatto ipotizzare che l’eruzione sia avvenuta poco più tardi, in autunno, probabilmente tra il 23 e il 25 ottobre del 79.
Tra i vari elementi a sostegno della nuova datazione, utilizzati già in passato, quali il rinvenimento di frutti tipicamente autunnali, vendemmia già effettuata e vino raccolto in grandi contenitori per l’invecchiamento, è stata recentemente più volte presa in considerazione a mo’ di prova definitiva una moneta d’argento. Si tratta di un denario, che in base alla lettura che è stata fatta dei titoli in esso presenti, attribuiti all’imperatore Tito, allora regnante, sancirebbe il successo definitivo della teoria dell’eruzione autunnale. Tutto risolto, quindi? No. Vediamo perché.
Teoria “estiva” e teoria “autunnale” sulla data di eruzione
La data tradizionale dell’eruzione del Vesuvio che travolse le città di Pompei, di Oplontis e di Ercolano è stata tradizionalmente fissata al 24 agosto 79. Questa data deriva da una lettera di Plinio il Giovane, indirizzata allo storico Tacito, in cui l’autore parla dell’eruzione e che è tramandata da alcuni testi medievali, dei quali il più famoso e il più antico è il Codex Laurentianus Mediceus, del IX secolo.
Altri manoscritti recano invece date diverse, tra cui il primo novembre e il 24 ottobre. Spesso i codici copiati dagli amanuensi riportavano errori, per cui si è sempre teso a considerare più attendibile, ovvero meno suscettibile di errori, il più antico, il Laurentianus appunto.
A partire dal XVII, e in particolare dal XVIII secolo, questa data inizia ad essere messa in discussione, in base anche alle scoperte che poco a poco venivano fatte nelle città colpite dall’eruzione del 79. Il primo ad esporsi in tal senso fu Carlo Maria Rossini che, probabilmente, rifacendosi anche ad autori di poco precedenti, ipotizzò il 23 novembre come data, giustificando le molteplici versioni sulla data dell’eruzione come errori di alcuni amanuensi.
In seguito, il primo a teorizzare la data del 24 ottobre fu Antonio Sogliano, che pose inoltre l’attenzione sugli indumenti di lana indossati dalle vittime, visibili sui calchi.
Seguono, nei decenni successivi, altre teorie, volte a sostenere un’eruzione estiva piuttosto che una autunnale. A favore della prima si citano Annamaria Ciarallo ed Ernesto De Carolis, che in un loro articolo1 stabiliscono, in base alle loro conclusioni, cui sono giunti esaminando soprattutto i campionari botanici provenienti dagli scavi, che l’eruzione avvenne il 24 agosto.
Secondo invece l’archeologa Grete Stefani2 e l’archeobotanico Michele Borgongino3 i due autori precedenti avrebbero considerato erroneamente alcuni dati e, soprattutto, tralasciato alcuni elementi di rilievo, uno tra tutti, il rinvenimento di un albero di una varietà di alloro (studiato mediante il calco) che aveva fruttato, evento che accade nella stagione autunnale. Come ulteriori indizi, citano il fatto che fichi, noci, nocciole e prugne, hanno potuto conservarsi alle alte temperature dovute al flusso piroclastico, proprio perchè si trattava di frutta essiccata. Se fosse stata fresca, non se ne sarebbe avuta traccia. La raccolta di questi tipi frutta avviene tra settembre e ottobre, in particolare l’essiccazione è effettuata nel mese di ottobre.
Il vino delle aziende agricole nel territorio colpito dall’eruzione, pronto all’invecchiamento, era già chiuso e sigillato nei dolia, grandi orci che venivano interrati fino al collo. Le tracce di vinacce rinvenute negli scavi, sono un ulteriore indizio che fa pensare ad una vendemmia già avvenuta.
In questo articolo, la Stefani e Borgongino, riportano tutta una serie di elementi, che per quanto convincenti, sono soltanto indizi, a volte contrastati dai sostenitori della tesi opposta, e non delle prove definitive.
La moneta: un denario di Tito tutto “da verificare”
Tra i vari elementi a sostegno di una datazione autunnale, compare, ad un certo punto del dibattito, una moneta in argento, più precisamente un denario. Esposta dal 2001 in una vetrina del Museo Archeologico Nazionale di Napoli unitamente a una parte del gruzzolo di monete con le quali fu rinvenuta il 7 giugno 19744, fa la sua apparizione ufficiale tra gli oggetti presenti nel catalogo della mostra Storie da un’eruzione. Pompei Ercolano Oplontis5, tenutasi nel 2003 proprio presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Questa moneta, proveniente dagli scavi della Casa del Bracciale d’Oro, custodita con altre sia in oro che in argento in una teca in legno portata da uno dei fuggiaschi6, viene descritta dettagliatamente con i relativi dati pondometrici, e catalogata con il Roman Imperial Coinage (comunemente abbreviato in RIC)7.
La pubblicazione di riferimento per la catalogazione delle monete romane di epoca imperiale ma non presenta immagini né del dritto né del rovescio. Per quanto riguarda la datazione, si dice esclusivamente “Post 1° luglio 79”, poichè in quel giorno l’imperatore ottenne la nona potestà tribunizia, leggibile sulla moneta. Si riporta per completezza, la descrizione del reperto così come è presente sul catalogo della mostra:
“Argento. Casa del Bracciale d’Oro (VI, 17 ins. occ. , 42). Inv. P14312/176. Diam. cm 1,8; g 3,35. Zecca di Roma, post 1° luglio 79 d.C. D/ IMP TITVS CAES VESPASIAN AVG P M. Testa laureata di Tito a d. R/ TR P VIIII IMP XV COS VII P P.; Capricorno a s.; sotto globo. Stato di conservazione: cattivo. Bibliografia: RIC II, p. 118, n. 19 (T.G.)”8.
Circa tre anni dopo la mostra, nell’ottobre 2006, la Stefani, già coautrice dell’articolo succitato, pubblica nella rivista archeologica Archeo9 un nuovo scritto in cui la moneta in questione, già presente alla mostra, viene qui ripresentata come la prova definitiva che l’eruzione del Vesuvio del 79 avvenne dopo la tradizionale data del 24 agosto.
Anche in questo caso non viene riportata alcuna immagine della moneta bensì un disegno ben realizzato, la cui didascalia afferma essere una riproduzione del denario di Pompei. Sull’immagine, e secondo chi ha compilato la descrizione della moneta all’interno del catalogo della mostra sopra citato, si legge, nella titolatura imperiale del verso, che Tito aveva già ricevuto la sua quindicesima acclamazione imperatoria (IMP XV), al momento della coniazione della moneta.
Particolare del disegno realizzato da Cinzia Morlando utilizzato nelle pubblicazioni di Grete Stefani. La foto è tratta dalla trasmissione Superquark andata in onda il 19 luglio 2007
La Stefani, a supporto della tesi autunnale, riferisce che il riferimento alla quindicesima acclamazione imperiale presente nel rovescio della moneta è successiva alla data ufficiale dell’eruzione e riporta a prova di questa affermazione due documenti epigrafici: una lettera dell’imperatore agli amministratori di Munigua (Muncipium Muniguense) in Spagna, e un diploma militare di congedo rinvenuto in Egitto, che attestava il termine del servizio militare obbligatorio del soldato. La lettera è datata al 7 settembre del 79, mentre il diploma all’8. Entrambi, riportanti la titolatura dell’imperatore, attestano, per quei giorni, ancora la quattordicesima acclamazione imperatoria.
Ne consegue, secondo la Stefani, che l’imperatore Tito abbia ottenuta la quindicesima acclamazione dopo l’8 settembre 79 e che questa moneta sia stata coniata successivamente, comunque coniata a Roma necessariamente dopo il 24 agosto, data tradizionale dell’eruzione, e in seguito giunta a Pompei. Quindi, conclude la Stefani, pur non fissando una data precisa, la lettura della moneta prova che l’eruzione doveva essere avvenuta dopo l’8 settembre.
Diploma militare romano rinvenuto in Egitto10
Nell’opera Pompei (regiones VIVII) Insula Occidentalis, Rosaria Ciardiello, parla del denario citando l’articolo della Stefani, e indicando anche lei la moneta come prova11. In un seguente articolo pubblicato nel 2007 sul Journal of Volcanology and Geothermal Research12, viene nuovamente pubblicato il disegno della moneta. Nella didascalia si dice che è una “silver coin found in Pompeii (P 14312/176 now in National Archaeological Museum of Naples)”.
La descrizione, come nel caso dell’articolo su Archeo, fa quindi supporre che il disegno riprenda fedelmente la moneta ritrovata. In realtà non è così. Una rapida ricerca in rete permette di rintracciare la moneta da cui è stato tratto il disegno: essa si trova nel sito WildWinds.com, un database, in cui sono riportate numerose monete secondo la classificazione del Roman Imperial Coinage, pensato per facilitare i collezionisti sprovvisti di tale opera per la catalogazione delle loro monete.
Non si conosce l’esatta provenienza della moneta, ma ci è stato comunicato dal responsabile gestore del sito che molto probabilmente è parte della collezione di un privato americano. Si giunge quindi alla conclusione che il disegno non fa riferimento alla moneta che riscriverebbe la data dell’eruzione.
Immagine della moneta da cui è tratto il disegno utilizzato dalla Stefani13
Sempre nel 2007, la Stefani, in un altro articolo, non pubblica il disegno, ma in una nota afferma che data la bassa conservazione della moneta, ci si affida “alla autorevole lettura della professoressa Giove”14. Questa nota ci conferma che la moneta proveniente dagli scavi non può corrispondere a quella del disegno, che appare invece leggibile in tutte le sue parti.
La pratica di utilizzare un disegno riferito ad uno specifico oggetto appare oggi desueto, ma poco scientifico è riprodurre nel disegno un reperto diverso da quello in oggetto, indicato una volta come “disegno del denario da Pompei, con le scritte che comprovano la datazione dell’eruzione alla fine di ottobre15” e un’altra come “silver coin found in Pompeii (P 14312/176 now in National Archaeological Museum of Naples)”, ovvero “moneta d’argento trovata a Pompei”.
Per poter avere notizie più precise sull’esemplare in questione bisogna attendere il 2013. Il 28 marzo si tenne a Londra, organizzata dal British Museum con il sostegno della Goldman Sachs, la mostra Life and death in Pompeii and Herculaneum. Tra i materiali prescelti, sorprendentemente, non figura il denario: data l’importanza evocativa dell’oggetto, ci si sarebbe aspettata una posizione preminente per la moneta.
Nello stesso anno, il 22 novembre, chi scrive, in un intervento16 tenuto durante il convegno L’eredità salvata. Realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico solleva la questione, domandandosi dove fosse la moneta degli scavi, meravigliandosi che non fosse stata selezionata per essere esposta nella mostra di Londra e che non fosse ancora possibile vederla, dato che fino ad allora era sempre apparso un disegno. In una nota a margine della pubblicazione dell’intervento, la dott.sa Giove, presentando finalmente l’immagine del denario, spiegò che la scelta dei materiali fu ad opera degli organizzatori della mostra, che preferirono oggetti in buono stato. Inoltre corregge, motu proprio, la descrizione e la classifica del denario: non più quindicesima acclamazione imperatoria, ma quattordicesima. La classificazione, quindi, secondo la dottoressa, passa da RIC II, prima versione, p. 118, n. 19 a RIC II, prima versione, p. 117, n. 13.
Immagine dell’esemplare originale apparsa nel 2014 nell’articolo Riflessioni e sinergie nella numismatica italiana, nel Notiziario del Portale Numismatico dello Stato n. 5,17
Nella correzione, tuttavia, è presente un nuovo errore. Infatti viene mantenuta nella legenda del verso l’indicazione P P e si attribuisce di conseguenza ad essa un numero di RIC nuovamente errato. La corretta classifica, infatti, è: RIC II, prima versione, p. 117, n. 7, corrispondente al RIC II, seconda versione, p. 199, n. 518.
Nonostante la correzione sia stata pubblicata in calce all’intervento di cui sopra, nella pubblicazione del Portale Numismatico dello Stato, ad oggi, nella scheda relativa al denario nel sito del Portale, viene riproposta un’ennesima erronea catalogazione, frutto, per la bibliografia, della prima versione operata dalla Giove (RIC II, p. 118, n. 19) e per la descrizione del rovescio (TR P VIIII IMP XIIII COS VII PP) della seconda versione ugualmente errata19.
Alle stesse conclusioni giunse anche Richard Abdy, curatore del dipartimento di medaglie e monete del British Museum, secondo cui la moneta si presenta in basso stato di conservazione (così come già segnalato nel 2003 nel catalogo della mostra dalla dottoressa Giove). Abdy parla diffusamente del noto denario in un articolo20, pubblicato alla fine dell’anno, in cui lo studioso inglese contesta l’identificazione della moneta. A suo avviso, complice il basso stato di conservazione, la legenda del rovescio della moneta è stata interpretata in maniera errata.
Non si concorda con la dott.sa Giove e con Abdy, però, sul giudizio di conservazione del denario. La moneta, pur ricoperta da molte concrezioni che la rendono non completamente fruibile, presenta chiari ed evidenti alti rilievi e non particolari corrosioni, ma necessita di un restauro accurato. Del resto, la moneta appare chiaramente intatta nei rilievi maggiori, comprensibilmente, poiché, essendo comunque coniata poco tempo prima dell’eruzione, non avrebbe potuto presentare un’importante usura, dettata da un’eventuale lunga circolazione.
Tuttavia, osservando l’immagine della moneta, la parte della leggenda del rovescio “XV”, la più importante ai fini della datazione, non risulta leggibile, essendo il numerale, qualunque esso sia stato, fuori dal tondello coniato. Ciò però non giustifica l’errata classificazione poiché sulla moneta, contrariamente a quanto riportato nel catalogo della mostra e negli articoli della Stefani, non è presente neppure l’abbreviazione del titolo Pater Patriae, ovvero P P. Questo non è dovuto alle condizioni della moneta bensì al fatto che queste due lettere non erano affatto contemplate originariamente sul conio della moneta.
E’ molto importante, ai fini della datazione, il fatto che queste due lettere non compaiano sulla moneta proveniente dagli scavi. L’abbreviazione del titolo Pater Patriae, infatti, è sempre presente sui denari con il numerale XV, ma non sempre su quelli con il numerale XIIII. Dato che sulla moneta di Pompei non ci sono le lettere P P, ne consegue che essa appartiene senza alcun dubbio all’emissione in cui l’imperatore non ha ancora ricevuto il titolo di Pater Patriae.
I rovesci dei denari di Tito con il capricorno delle tre serie21
Ciò comporta che la moneta può genericamente essere datata dopo il 1° luglio 79, forse ai primi giorni dopo questa data, ma nulla più. Infatti, dato che il titolo di Pater Patriae è presente su monete con quattordicesima e quindicesima acclamazione, è facile che le monete con quattordicesima acclamazione prive del titolo P P siano state emesse entro il mese di luglio. Dello stesso gruzzolo da cui proviene questo denario, fa inoltre parte un altro denario di Tito, che reca la legenda TR P VIIII IMP XIIII COS VII P P e la raffigurazione di Venere (inv. P14312/52)22. Proprio la presenza delle due lettere P P pone la datazione di questo secondo denario, sempre che la lettura sia corretta, più in là, paradossalmente, rispetto al famoso denario, per i motivi suddetti.
A questo punto è bene ricordare i tre gruppi di coniazioni di denari che fanno seguito al 1° luglio 79. Ognuno include tutte le seguenti raffigurazioni: Cerere, una quadriga, una statua su una colonna rostrata, un trofeo con alla base un prigioniero, Venere e il tipo con il capricorno.
Le tipologie pertinenti ad ogni gruppo23
Ogni gruppo, pertanto, si differenzia per la titolatura. Quello identificato dalla legenda TR P VIIII IMP XIIII COS VII, è certamente il primo emesso a partire dal 1° luglio. Segue quello con legenda TR P VIIII IMP XIIII COS VII P P, che si distingue dal precedente per la presenza dell’abbreviazione del titolo Pater Patriae (P P). Questa seconda è quindi successiva all’assunzione del suddetto titolo. Il terzo e ultimo, a legenda TR P VIIII IMP XV COS VII P P si differenzia per la quindicesima acclamazione, che sappiamo, grazie al lavoro di ricerca della dottoressa Stefani, che l’imperatore ottenne dopo l’8 settembre del 79.
L’assenza, nel primo gruppo, delle lettere P P, non è riconducibile ad una svista o ad una mancanza di spazio nel conio, ma al fatto che l’imperatore non aveva ancora ricevuto il titolo di Pater Patriae. Purtroppo non sappiamo quando ricevette questo titolo, ma abbiamo provato a definire, a grandi linee, i termini temporali dei tre gruppi di emissioni, seppur in maniera empirica e non precisa.
Abbiamo ipotizzato che si possa supporre una misura temporale delle emissioni, in base agli esemplari conosciuti per i tre gruppi. Sono state prese in considerazione tutte le monete comparse nelle più importanti vendite alle aste numismatiche degli ultimi 20 anni, un campione sufficientemente ampio, per verificare la consistenza dei tre gruppi depurandoli, evidentemente, di tutti i passaggi multipli degli stessi esemplari.
Sono state prese in considerazione tutte le tipologie di ciascun gruppo, uguali per ognuno, affinchè il dato ottenuto fosse più attendibile rispetto all’analisi di una singola emissione, posto che il valore aggregato ha un’attendibilità maggiore.
Dalla nostra ricerca è risultato che n. 25 esemplari recano la XIIII Salutatio, n. 57 la XIIII con il titolo di P P e n. 53 la XV. Tutte queste monete sono state coniate nell’arco di sei mesi, dal 1° luglio alla fine dell’anno, quindi in base al campione esaminato, la proporzione degli esemplari ci fa pensare che le coniazioni delle monete con il solo riferimento alla XIIII acclamazione imperiale sia durata meno delle altre, probabilmente circa un mese. Il numero di esemplari delle altre due emissioni fa ipotizzare una durata più lunga, circa due mesi e mezzo ciascuna.
Quindi, i tipi privi delle lettere P P sono probabilmente emessi entro il mese di luglio, a seguire le emissioni con indicazioni XIIII P P apparirebbero coniate tra agosto e ottobre, e le successive con XV P P entro l’anno 79. La nota moneta non ha più, in base alla nuova e corretta catalogazione, quel ruolo di prova schiacciante attribuitole dalla Stefani, bensì di tenue indizio che va ad aggiungersi alla lunga lista già sopra evidenziata.
La presenza, nel gruzzolo di monete dagli scavi di Pompei, di un denario del secondo gruppo potrebbe contribuire a spostare con buona probabilità più in là la data dell’eruzione, certamente più di quello preso in considerazione più volte, a torto.
Nel 2014 il divulgatore e ricercatore Alberto Angela pubblica un libro dal titolo I tre giorni di Pompei24 in cui abbraccia la tesi autunnale, come si evince anche dal sottotitolo 23-25 ottobre 79 d.C.. Alla fine del suo libro, egli passa in rassegna tutti gli indizi a favore di una eruzione avvenuta nel mese di ottobre. Tra questi, figura il noto denario. Ma lo studioso afferma che “la scritta sulla moneta è molto ossidata e rovinata dal tempo. Di conseguenza la sua lettura non è così chiara e inequivocabile”25. Non è quindi convinto della lettura fatta della moneta, pertanto la cita esclusivamente per dovere di cronaca, non portandola come prova. Bisogna prendere atto della sua onestà intellettuale, in quanto lo stesso, in una puntata di Superquark andata in onda il 19 luglio 200726, parlò del denario di Pompei, adducendolo come prova e mostrando il disegno dell’articolo di Archeo pubblicato dalla Stefani. Probabilmente, rendendosi conto poi dell’incertezza della lettura, nel suo libro ha preferito non addurla come prova.
Meno corretta a questo punto, è la presentazione della moneta nella mostra, presso l’antiquarium di Pompei, dal titolo Tesori sotto i lapilli27. In questa esposizione, curata dall’archeologa Luana Toniolo e altri, vennero esposti oggetti provenienti dall’Insula Occidentalis, tra i quali la famosa moneta, messa in risalto come uno dei più importanti.
Manifesto della mostra allestita presso l’Antiquarium di Pompei e il cartellone che racconta la storia della moneta che “riscriverebbe” la data dell’eruzione del 79 d.C.
Nella didascalia che la accompagna, viene nuovamente indicata come l’oggetto che riscrive la data dell’eruzione, nonostante ormai sia appurato che non è così. Ovviamente, la notizia della presenza della moneta, e di conseguenza della sua errata lettura anche come prova, diffusa soprattutto grazie alla conferenza stampa organizzata per l’evento, ha avuto grande risalto ed eco nella stampa nazionale.
Più recentemente, il 16 ottobre 2018, viene resa nota la scoperta di un graffito a carboncino, in una casa nella Regio V di Pompei, che fa riferimento al sedicesimo giorno prima delle calende di Novembre (il 17 ottobre). Il fatto che sia stato realizzato a carboncino, materiale tutt’altro che indelebile, e che sia stata ritrovato in una casa in ristrutturazione, forse a seguito dei danni provocati da un terremoto precedente l’eruzione, hanno fatto ipotizzare che sia stata realizzato nel 79. Alcuni detrattori della teoria autunnale asseriscono che non essendovi l’indicazione dell’anno, non si può escludere che risalga all’anno precedente. Anche in questo caso, dunque, un indizio, più o meno convincente, ma non una prova definitiva.
Foto del graffito ritrovato nella Regio V di Pompei
Il graffito ha comunque suscitato molto interesse in tutti i rotocalchi nazionali e non. Se ne è occupata tra le altre anche la trasmissione RAI Timeline, nella puntata andata in onda il 19 ottobre 2018. L’ospite, il direttore del Museo di Villa Giulia, Valentino Nizzo, parlando della teoria autunnale, ha menzionato, tra le varie prove, nuovamente, il noto denario, sottolineandone impropriamente l’importanza.
Non esiste quindi la moneta che con certezza riscrive la data dell’eruzione del Vesuvio. Riteniamo che, dopo circa 16 anni di notizie e citazioni, sia il momento di accantonare il noto denario e di non utilizzarlo più come prova definitiva in quanto tale non è.
La tesi autunnale, pur non avendo a sostegno prove definitive, ha molti elementi a proprio favore e non necessita di “prove distorte”. E’ bene invece utilizzare correttamente gli elementi forniti dall’evidenza numismatica, grazie anche al grande aiuto che può dare il restauro conservativo, che nel caso specifico avrebbe agevolato l’esatta lettura della legenda della moneta. E’ anche importante nelle pubblicazioni scientifiche numismatiche, avvalersi di immagini di qualità, piuttosto che di disegni o trascrizioni improprie.
Bibliografia
- R. Abdy, The last coin in Pompeii: a reevaluation of the coin hoard from the house of the golden bracelet, in The Numismatic Chronicle (1966), Royal Numismatic Society, vol. 173, 2013.
- A. Angela, I tre giorni di Pompei, Rizzoli, 2014, Milano.
- A. Carradice & T. V. Buttrey, The Roman Imperial Coinage, Volume II, second fully revised edition, from AD 69 to AD 96, Vespasian to Domitian, Spink & Son Ltd., London, 2007
- A. Ciarallo, E. De Carolis, La data dell’eruzione, in Rivista di Studi Pompeiani, 9, l’Erma di Bretschneider, Roma, 1998.
- R. Ciardiello, VI 17 Insula Occidentalis 42, Casa del Bracciale d’Oro, in Masanori Aoyagi e Roberto Pappalardo, Pompei (regiones VIVII) Insula Occidentalis, Valtrend editore sas, 2006.
- A. D’Ambrosio, P. Guzzo, M. Mastrortoberto, Storie da un’eruzione. Pompei Ercolano Oplontis, Milano, Electa, 2004.
- H. Mattingly & E. A. Sydenham, Roman Imperial Coinage. Volume II. Vespasian to Hadrian, AD 69-138, Spink & Son Ltd., London, 1926.
- U. Moruzzi, Riflessioni e sinergie nella numismatica italiana, in atti del convegno L’eredità salvata . Realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico, pubblicato in Notiziario del Portale Numismatico dello Stato n. 5, 2014.
- G. olandi, A. Paone, M. Di Lascio, G. Stefani, The 79 AD eruption of Somma: The relationship between the date of the eruption and the southeast tephra dispersion, in Journal of Volcanology and Geothermal Research, 2007.
- G. Stefani, M. Borgongino, Intorno alla data dell’eruzione del 79 d.C., in Rivista di Studi Pompeiani 12-13 l’Erma di Bretschneider, Roma, 20012002.
- G. Stefani, M. Borgongino, Ancora sulla data dell’eruzione, in Rivista di Studi Pompeiani 18, l’Erma di Bretschneider, Roma, 2007.
- G. Stefani, La vera data dell’eruzione, in Archeo, 260.
Sitografia
- https://www.numismaticadellostato.it
- https://www.numismaticadellostato.it/web/pns/vetrine?idMoneta=2291
- https://www.raiplay.it/video/2018/10/LiscrizionechepuocambiarelastoriadiPompei TimelineFocus413e0004100d4bbb89a74f242bd38881.html
- http://www.wildwinds.com/coins/ric/titus/RIC_0030.1.jpg
- https://youtu.be/2DMlQETiEts
Note al testo
1 – A. Ciarallo, E. De Carolis, La data dell’eruzione, in Rivista di Studi Pompeiani, 9, l’Erma di Bretschneider, Roma, 1998.
2 – Oggi direttrice dell’Ufficio Scavi di Pompei.
3 – G. Stefani, M. Borgongino, Intorno alla data dell’eruzione del 79 d.C., in Rivista di Studi Pompeiani 1213 l’Erma di Bretschneider, Roma, 2001-2002.
4 – G. Stefani, M. Borgongino, Ancora sulla data dell’eruzione, in Rivista di Studi Pompeiani, l’Erma di Bretschneider, Roma, 2007, pp. 204-206.
5 – A. D’Ambrosio, P. Guzzo, M. Mastroroberto, Storie da un’eruzione. Pompei Ercolano Oplontis, Milano, Electa, 2004.
6 – R. Ciardiello, VI 17 Insula Occidentalis 42, Casa del Bracciale d’Oro, in Masanori Aoyagi e Roberto Pappalardo, Pompei (regiones VIVII) Insula Occidentalis, Valtrend editore sas, 2006, p. 77.
7 – H. Mattingly & E. A. Sydenham, Roman Imperial Coinage (RIC). Volume II. Vespasian to Hadrian, AD 69-138, Spink & Son Ltd., London, 1926.
8 – Teresa Giove, all’epoca della stesura del catalogo, responsabile del Medagliere del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
9 – G. Stefani, La vera data dell’eruzione, in Archeo, 260, pp. 10-13.
10 – Cortesia del British Museum, BM 1923,0116.1.
11 – R. Ciardiello, op. cit., p. 77.
12 – G. Rolandi, A. Paone, M. Di Lascio, G. Stefani, The 79 AD eruption of Somma: the relationship between the date of the eruption and the southeast tephra dispersion, in Journal of Volcanology and Geothermal Research, 2007, p. 94.
13 – Concessione di Dane Kurth, del sito Wildwinds.com; http://www.wildwinds.com/coins/ric/titus/RIC_0030.1.jpg.
14 – G. Stefani, M. Borgongino, op. cit., p. 205.
15 – G. Stefani, op. cit., p. 10.
16 – U. Moruzzi, Riflessioni e sinergie nella numismatica italiana, in Atti del convegno “L’eredità salvata. Realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico”, pubblicato in Notiziario del Portale Numismatico dello Stato n. 5, 2014, p. 117.
17 – Immagine tratta dal Portale Numismatico dello Stato, vetrina virtuale, num. inv. P14312/176.
18 – I. A. Carradice & T. V. Buttrey, The Roman Imperial Coinage. Volume II. Second fully revised edition, from AD 69 to AD 96, Vespasian to Domitian, Spink & Son Ltd., London, 2007
19 – https://www.numismaticadellostato.it/web/pns/vetrine?idMoneta=2291.
20 – R. Abdy , The last coin in Pompeii: a reevaluation of the coin hoard from the house of the golden bracelet, in The Numismatic Chronicle (1966), Royal Numismatic Society, vol. 173, 2013, pp. 79-83.
21 – In ordine, da sinistra a destra, provenienti da: Numismatik Naumann (formerly Gitbud & Naumann), Auction 18, lotto 577; Numismatik Naumann (formerly Gitbud & Naumann), Auction 6, lotto 363; Numismatica Ars Classica NAC AG, Auction 101, lotto 209.
22 – IV.753. Denario di Tito, argento, Casa del Bracciale d’Oro (VI, 17 ins. occ. , 42), Inv. P14312/52, Diam. cm 1,8; g. 3,6; zecca di Roma, post 1° luglio 79 d.C., D/ IMP TITVS CAES VESPASIAN AVG P M. Testa laureata di Tito a d.; R/ TR P VIIII IMP XIIII COS VII P P.; Venere stante a d. si appoggia col braccio d. a un cippo, con la s. regge un elmo e una lancia. Stato di conservazione: cattivo. Bibliografia: RIC II, p. 117, n. 9.
23 – In ordine, da sinistra a destra, immagini da: Spink, Sale 5014, lotto 419; Gorny & Mosch Giessener Münzhandlung, Auction 147, lotto 2053; Gemini, LLC, Auction IX, lotto 338; Auktionshaus H. D. Rauch GmbH, Auction 85, lotto 445; Classical Numismatic Group, Inc., Auction 376, lotto 420; Numismatica Ars Classica NAC AG, Auction 101, lotto 209.
24 – A. Angela, I tre giorni di Pompei, Rizzoli, 2014, Milano.
25 – Op. cit., p. 477.
26 – https://youtu.be/2DMlQETiEts.
27 – Presso Antiquarium di Pompei, 11 settembre 2017 31 maggio 2018.